L’ ANALISI / LA SCOMPARSA DI NOEMI / ‘FRAGILI E SPAVALDI’: LA DIFFICOLTA’ DI DIVENTARE QUELLO CHE SI E’

| 12 Settembre 2017 | 4 Comments

di Eliana Forcignanò______ 

Con le loro tute larghe in felpa e i pantaloni a vita bassa, le minigonne e le magliette firmate, oppure nascosti dietro ampie lenti da sole, una sigaretta fra le labbra e la bretella dello zaino che casca leggermente dalla scapola, il gergo lesto e insieme introverso, perché la missione è dire senza tradire, è parlare senza raccontare mai nulla di sé. Ché gli adulti potrebbero non capire, potrebbero non accettare. Ché gli adulti potrebbero, mentre uno smartphone non giudica: sembra costruita appositamente quella piccola tastiera, per accogliere i rigurgiti talvolta sgrammaticati di questi adolescenti che, a buon diritto, Pietropolli Charmet definisce in una pubblicazione di qualche anno fa “fragili e spavaldi”.

Sono fragili perché hanno paura e, certo, tutti ne abbiamo, benché con l’età s’impari a dissimularla e, forse, a gettarla nell’oblio temporaneo del subconscio.

Sono spavaldi, perché mascherano la loro paura di crescere dietro un’aggressività mutacica e ostile verso l’emisfero adulto che, sotto la falsa promessa di un’accoglienza incondizionata, non si fa scrupolo di costruire un mondo in cui non vi è alcun posto per loro. E vagano, come piccole ombre sperse, finché accade che si perdano davvero e chi è colpevole della loro scomparsa, ammesso che un colpevole esista, interessa senza dubbio alla giustizia penale, ma un po’ siamo tutti colpevoli, nel senso di quella che Jung definiva “colpa collettiva”, ossia non imputabile propriamente a nessuno eppure avvertita da tutti.

Noemi Durini, sedici anni, da nove giorni non torna a casa o, forse, è opportuno chiamare la realtà con il proprio nome: Noemi è scomparsa e su di lei aleggia l’ipotesi inquietante del sequestro di persona. O forse peggio.

A nulla, per il momento, sono valsi gli appelli della madre, gli sforzi congiunti delle forze dell’ordine e degli abitanti del borgo di Specchia in cui la giovane abitava per ritrovarla. Noemi, che altre volte si era allontanata dalla propria dimora per un moto di spontanea ribellione, ora sembra svanita nel nulla.

Inquieta sempre che una persona scompaia, ma quando si tratta di un adolescente, ulteriori domande si affollano nella mente degli adulti. Una su tutte, quella classica: dove abbiamo sbagliato?

Sia che ci sia stato un allontanamento volontario, sia che qualcuno abbia compiuto un sequestro, la domanda investe retroattivamente le persone vicine agli scomparsi e ne suscita altre, sovente contraddittorie: più sorveglianza?

Si è, forse, sentita costretta?

Ha commesso un’ingenuità, cercando appoggio in chi sembrava garantirle sicurezza?

Era troppo sicura di sé e non ha compreso il pericolo cui andava incontro?

Non pochi ritengono che rispondere a queste domande rappresenti una possibilità di afferrare il bandolo dell’intricata matassa, in realtà ci si perde soltanto in un gioco d’ipotesi funzionale a contenere l’angoscia, anche se in minima parte. D’altronde, il funzionamento del pensiero ossessivo è questo: rimuginare e arrovellarsi è utile a contenere l’ansia e, soprattutto, impedisce di focalizzare il vero problema e di lavorare per rimuoverlo.

Il vero problema, quello di Noemi, forse, e di molti altri adolescenti che scompaiono, riguarda dinamiche psicologiche che non possono essere ridotte al senso comune e che investono in ugual misura tutti noi, perché si svolgono sul piano delle relazioni d’oggetto. La domanda che ci si deve porre è più universale dei singoli interrogativi che abbiamo esposto sopra e riguarda gli investimenti affettivi dei nostri adolescenti e, per estensione, degli adulti. Riguarda quella difficile arte di attribuire il giusto peso alle cose e di diventare, per citare Nietzsche che riprendeva il poeta greco Pindaro, ciò che si è, ma secondo misura, ossia accettando i propri limiti e adattandosi a vivere in un mondo che quasi mai soddisfa le nostre attese, pur senza rinunciare alla dimensione desiderante.

Se è un dato vecchio quanto il mondo che le fughe da casa costituiscano un tentativo di cercare se stessi, esse celano anche un meccanismo di desiderio e frustrazione dello stesso che, come insegna Melanie Klein, investe l’infante che passa dalla posizione schizo-paranoide a quella depressiva e da quella depressiva a una sempre maggior integrazione con se stesso e con il mondo circostante.

Tuttavia, è proprio quest’ultimo passaggio che fa difetto ai nostri adolescenti – ma non solo a loro – e che genera disagio. Perché, dalla psicoanalisi alla filosofia, difficilmente ci si integra con ciò che non si riesce a riconoscere e gli adolescenti non riconoscono la dimensione adulta che viene loro proposta e tale mancato riconoscimento può dipendere da un insieme di fattori interni ed esterni.

Certo che, a sedici anni, se litighi con il tuo fidanzato ti crolla addosso il mondo, ma oggi si assiste a reazioni sempre più amplificate da messaggi e social da un lato, dall’altro, da un disorientamento sempre più diffuso che pone in serio pericolo persino l’istinto di autoconservazione, poiché lo offusca in un tentativo disperato e spasmodico di ricerca di punti di riferimento. Non è dato ancora sapere se Noemi sia fuggita un’altra volta di casa, ma, in ogni caso, la fuga non può essere minimizzata né definita “una bravata”: si tratta, invece, di un marcato segnale di disagio e di non integrazione, fosse anche una fuga con finalità dimostrative ed esibizionistiche.

Non è dato ancora sapere se Noemi sia stata rapita, ma, se così fosse, bisognerebbe esaminare scrupolosamente l’insieme degli accadimenti per capire quale urgenza induca una sedicenne ad abbandonare la propria casa in piena notte, seppur esortata o incalzata da qualcuno, ammesso che sia vera l’ipotesi che la ragazza sia uscita sua sponte dalla propria abitazione.

Il timore del buio, la paura di varcare la soglia della propria casa di notte appartiene a quell’istinto ancestrale che oggi ha perso mordente, considerando la facilità impressionante con cui ragazzi e ragazze di ogni età paiono persino dominare la notte per poi sentirsi estranei in casa propria. Viene alla mente l’inizio de’ Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello: meglio esser creduti morti che non esser creduti per ciò che si è veramente.______

LA RICERCA

nel nostro articolo di sabato scorso, con tutti gli aggiornamenti successivi

https://www.leccecronaca.it/index.php/2017/09/09/paura-a-specchia-per-noemi/

 

 

Category: Cronaca

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Comments (4)

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  1. Fausto ha detto:

    quest’articolo non c’entra proprio niente con la scomparsa della ragazza, mi sembra più un misero tentativo di fare inutili sofismi.

  2. Daniela Amato ha detto:

    complimenti all’ autrice per la profondità delle interpretazione e la lucidità del commento su questo fatto di cronaca

  3. Tancredi ha detto:

    Questo è un caso ancora da chiarire. Sicuramente la ragazza è una vittima, che ha lasciato a casa gli effetti personali, per cui ha varcato la soglia di casa non perché ha perso mordente, ma forse semplicemente per risolvere un conflitto pendente col suo ragazzo. Questo intento di fare analisi sociali non ci azzecca nulla col caso specifico, dove c’è, probabilmente, una vittima, una donna, non un’adolescente complessata. Scomodare Jung e Pirandello è inutile, bastava una semplice considerazione sui fatti e sulla condizione femminile al giorno d’oggi. Un po’ di sano femminismo non guasterebbe, non credi?

  4. Cosimo ha detto:

    Ottima analisi sulla condizione giovanile contemporanea. Chi sostiene che l’articolo non centra niente con quanto accaduto,forse non ha compreso che l’analisi, prendendo spunto dal caso di Noemi, è una dura riflessione sulla odierna vita dei giovani.Le citazioni, anziché appesantire il contenuto, dimostrano la profonda cultura di colei che scrive. Ripeto è una analisi e non una mera descrizione di quanto accaduto.

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