PEPPINO BASILE: UN RICORDO “MILITANTE”
Nove anni fa veniva assassinato Peppino Basile, Consigliere provinciale Dell’Italia dei Valori, il Movimento fondato dall’ex Magistrato di “Mani Pulite” Antonio Di Pietro.
A tutt’oggi i colpevoli di quell’omicidio sono sconosciuti, nulla è cambiato rispetto due anni fa quando scrivemmo queste righe per ricordarlo, per questo ve lo riproponiamo.
(v.m.)_____A distanza di sette anni, con gli assassini ancora in libertà, vorremmo dire tante cose, ma sappiamo che altri hanno scritto e meglio di noi scriveranno di questi sette anni, delle indagini, degli imbarazzi delle istituzioni e della stessa cittadina di Ugento che ha dovuto, e deve fare i conti con un omicidio ancora irrisolto.
Vogliamo ricordare la figura di Peppino Basile, insieme a quanti lo stanno facendo in questi giorni, questo si, ma vorremmo anche farlo, se è possibile, tentando di dire qualcosa di più, qualcosa di diverso.
Noi che non lo abbiamo frequentato, che non possiamo dire nulla sulla persona se non per quello che abbiamo letto, però non ci risulta difficile immaginare il personaggio, decifrarlo, visto che conosciamo il suo percorso politico, il partito in cui è nato e della cui cultura politica si è cibato. E conosciamo anche le battaglie combattute, da quelli come lui, che correvano rischi quotidianamente, ma confidando sempre nella buona stella, speranzosi che le minacce non si sarebbero concretizzate, o quanto meno non sino a perdere la vita.
Audentes fortuna iuvat, questa una delle frasi che i rompiscatole amavano ripetere…si la fortuna aiuta gli audaci, e Peppino Basile di coraggio ne aveva da vendere.
Gli attivisti mettevano in conto di poter essere appostati sotto casa e magari prenderle di santa ragione, al più ricevere una coltellata, magari una pallottola in una gamba, ma escludevano l’ipotesi di lasciarci la pelle.
E questo valeva anche per Basile, che raccontava agli amici che un giorno o l’altro lo avrebbero fatto fuori, ma senza esserne convinto veramente.
Anche perchè era convinto che il dare battaglia gridando le sue denunce ai quattro venti era il sistema migliore per salvaguardare la propria incolumità.
Chi era Peppino Basile, era un attivista politico. Già, lui era rimasto uno di quelli che una volta si chiamavano attivisti politici. Non solo, aveva come tanti, il complesso di Robin Hood, sempre dalla parte della giustizia, dalla parte dei più deboli, anche quando scelse la parte politica in cui militare scelse un movimento messo all’angolino, perseguitato, deriso e a volte criminializzato. Il Movimento Sociale Italiano.
Già in questo partito Basile si era formato politicamente, qui aveva assorbito quei valori che non lo abbandoneranno mai, la rabbia e la capacità di dire no, anche quando tutti e tutto era contro di lui, e ironia della sorte, ma non tanto, gli scontri politici più duri, li avrà proprio con coloro con cui aveva condiviso la militanza giovanile.
Peppino era un muratore, uno di quelli che a suo tempo amavano definirsi e venivano definiti, i fascisti duri e puri, per niente valorizzato nel suo partito, spesso deriso dai suoi concittadini perchè il suo italiano non era sempre perfetto; ma aveva qualcosa che gli atri non avevano. Aveva dentro di sè il fuoco sacro della politica, che fa la differenza, perchè molti sono gli spiriti liberi, ma quelli che alla libertà sanno coniugare anche un grande coraggio, non sono moltissimi.
Ecco chi era Peppino Basile.
Oggi lo potremmo definire un volontario della politica, un missionario, che sacrifica buona parte dei suoi interessi personali, anche affettivi oltre che economici, per la comunità a cui appartiene.
Certo ai giorni nostri è impensabile pensare che qualcuno possa fare o aver fatto politica, nel modo appena descritto, e pure è così, o meglio era così.
C’è stato un tempo, e sopratutto in certi ambienti politici e culturali, dove la comunità, lo stato, la nazione e la bandiera, venivano prima dell’interesse personale.
La propia crescita culturale e sociale avveniva all’interno di un gruppo politico.
Il proprio interesse materiale e morale era concepito solo all’interno di una comunità sana.
Ed era buona abitudine bacchettare sopratutto quelli che erano più vicini, quelli che sostenevano di condividere le stesse idee, perchè, l’onestà, il coraggio, la fedeltà a un’idea, a se stessi, che altro non è che tenere fede alla parola data, erano valori che dovevano concretizzarsi tutti i giorni.
Insomma si trattava di essere un Uomo e non un ipocrita chiaccerone, e di questi ve ne erano tanti nella società italiana.
Una società, una nazione, la cui ipocrisia veniva da lontano, da quando invece di riconoscere che aveva perso una guerra, ed era stata costretta a sottomettersi culturalmente, economicamente e politicamente agli americani, si raccontava la fovola che quattro partigiani avevano liberato l’Italia sconfiggendo l’esercito tedesco.
Invece di riconoscere la sconfitta militare e da lì ripartire, come avevano fatto Germania e Giappone, si crogiolava nella retorica dell’antifascismo, fino a negare le evidenze storiche.
L’ipocrisia, era ed è l’aria che si respira in Italia e al sud in particolare.
Anche nel M.S.I., c’erano gli ipocriti, che parlavano bene e razzolavano male…anzi…parlavano bene e razzolavano meglio.
Si erano integrati, e si muovevano allo stesso modo dei loro avversari, dopo averli combattuti per tanti anni, si erano accordati. Del resto, buona parte della classe politica che si definiva antifascista era composta da uomini, che avevano goduto dei favori del regime durante il ventennio, e quando questi cadde nel 1943 cambiarono bandiera e casacca.
Per Peppino, come per tanti altri era inaccettabile.
Continuò le sue battaglie, e quando arrivò sulla scena nazionale il Magistrato Antonio Di Pietro, colui che in televisione, faceva schiumare la bocca a Forlani, uno degli uomini più potenti d’Italia, a tanticittadini non sembrava vero, per cui molti pensarono fosse arrivato finalmente il giustiziere che avrebbe fatto pulizia della becera partitocrazia.
Oggi fa un pò sorridere, ma sono in tanti a ricordare Di Pietro a Lecce, a Bari, con la gente che gli andava dietro come si va in processione dietro al santo patrono.
Chi si è avventurato, a San Sepolcro, intrufulandosi in quella prima riunione dove si accedeva per invito, ha avuto modo di vedere, persone che erano lì, provenienti dalle più disparate esperienze politiche, con Di Pietro che diceva che il Movimento non sarebbe stato nè di destra nè di sinistra. In quella sede mi capitò, di sedermi a fianco due signori uno dei quali portava al collo della giacca un occhiello con la falce e martello e l’altro una spilletta sulla maglietta con il fascio littorio; e quando glielo feci notare si sorrisero e diedero una vigorosa stretta di mano.
Questo per dire il clima.
L’Italia dei Valori, il partito di Di Pietro, a Basile, come a tanti di noi, è sembrato il posto ideale dove poter realizzare quel modo di far politica che si aveva nel cuore, e che il M.S.I. ci aveva negato.
Lui continuò, le sue battaglie divenne uno dei punti di riferimento dell’Italia dei Valori in Provincia di Lecce, riuscì farsi eleggere in Consiglio Provinciale, ma il suo maggiore interesse rimase sempre la sua comunità, quella dove viveva, i cittadini con i quali si confrontava tutti i giorni.
Qualche suo amico ha dichiarato che era un solitario.
Perchè, vi domando, conosciamo qualcuno che quando combatte contro il potere, a qualsiasi livello e di qualsiasi tipo, sia esso politico, o economico, per non parlare di quello mafioso, vi risulta che trovi molta gente disposta ad accompagnarlo? Vi risulta che Beppe Alfano, che fu ucciso per gli articoli che scriveva, senza neppure avere il tesserino di giornalista, l’ordine dei giornalisti glielo inviò dopo morto, fosse in compagnia? O che non fossero soli persino magistrati del calibro di Borsellino dopo che Falcone era stato colpito?
Peppino aveva un carattere burbero, a volte sembrava avercela con il mondo intero, questo ci hanno raccontato quando abbiamo chiesto di lui.
E perchè non doveva avercela con una società che notoriamente è corrotta a tutti i livelli, un paese l’Italia, che non ti permette neppure di lavorare se vuoi rispettare leggi e regole, un paese dove lui aveva tentato di fare l’imprenditore e quell’azienda era fallita.
Pensate che sarebbe fallita se avesse curato amicizie con il Pd, con Forza Italia o magari con A.N.?
Peppino covava in segreto, ma non tanto, il desiderio di governare la sua cittadina? Certamente si! Avrebbe voluto dimostrare a se stesso prima che agli altri, che era possibile amministrare in maniera diversa senza piegarsi agli interessi dei potentati economici, ma mettendo innanzi a tutto gli interessi della propria comunità. Sarebbe stata la dimostrazione che tutti gli sforzi di una vita non erano stati vani, che alla fine aveva avuto ragione. Con la sua morte non lo sapremo mai.
Non resta che consolarci ricordando le parole di un altro e più noto Peppino, Mazzini che scrisse :”gli spiriti migliori devono ardere sull’altare della Paria perchè la Nazione viva”.
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