UN BRIVIDO NELL’ORECCHIO: RICCARDO CUCCHI RACCONTA LA SUA STORIA AD ANNIBALE GAGLIANI CON UMILE CLASSE, REGALANDO GUSTOSI RETROSCENA DI NARRAZIONE POETICO-SPORTIVA
di Annibale Gagliani______
L’ultimo prototipo di speaker da clonare – in quanto patrimonio della radio all’italiana – è con solerte passione Riccardo Maria Cucchi. Figlio prediletto della stirpe dei Carosio, Ameri e Ciotti, ha saputo carpire da ognuno di questi professori del mestiere gli input sinestesici per poter diventare ben presto il numero uno nel suo campo.
Quando si sta a contatto con dei numeri dieci che trascinano il gruppo bisogna avere l’umiltà di seguire e ascoltare, prendendo nota dei segreti intrinseci che possono regalarti spunti di crescita in esperienza e competenza. Cucchi ha assorbito il meglio dei pionieri delle FM sportive tricolori. Ha la precisione e la continuità di eloquio del primo Carosio, l’intellegibile calma con punte di euforia trainante del miglior Ameri, le note di colore che palesano un’imperturbabile creatività della voice in black Ciotti.
Nato anche lui nella città eterna, laureatosi in Lettere e assunto dalla RAI nel 1979, ha regalato perle vocali tra le emozioni sterminate del calcio, del canottaggio, della scherma e dell’atletica leggera. Divenne first voice di Tutto il calcio minuto per minuto e radio-commentatore ufficiale degli azzurri nel 1994, raccogliendo il testimone proprio da Sandrino Ciotti. Il suo timbro è mite e godibile grazie a una giusta mescola di decibel. È stato il cavalier narrante delle sfide più accese del nostro campionato, di sei Olimpiadi in giro per il globo (fantastica l’edizione 1992 a casa di Gaudi in Barcellona) e di quattro mondiali di football (con la ciliegina al miele di Germania 2006).
Nella brezza estiva del 2007 viene nominato caporedattore della redazione sportiva di Radio RAI, confermando la sensazione univoca dei radioascoltatori che da Courmayeur a Santa Maria di Leuca sintonizzano le antenne verso i ricci vigorosi del Riccardo nazionale: Cucchi è il miglior radio-commentateur degli ultimi vent’anni. Ho avuto l’onore di poter intervistarlo e lui, gentilissimo come sempre, ha ripercorso nel vortice delle feelings sportive le tappe più importanti della sua esemplare carriera, regalandoci dei retroscena romantici niente male, che difficilmente puoi ritrovare in un giornalista comune, ma solo in un uomo di sport dall’indiscutibile cifra culturale.
Vorremmo approfondire innanzitutto l’origine di Riccardo Cucchi giornalista sportivo. Come nasce la passione e attraverso quali opportunità si è concretizzata?
‹‹Nasce da bambino, avevo 8 o 10 anni, ascoltavo la radio la domenica per vivere le emozioni del calcio che è stato sempre il mio sport preferito, sognavo insieme alle voci dei grandi maestri Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Alfredo Provenzali, e questa vicinanza emotiva con queste straordinarie voci mi ha fatto innamorare della radio e soprattutto del mestiere di radiocronista sportivo. Certamente non pensavo un giorno di riuscire a coronare il mio sogno, mi sono laureato, ho studiato, ho fatto l’insegnante, ho lavorato in un carcere minorile come educatore. Poi nel ’79 la RAI bandì un concorso per la terza rete televisiva, e io vi partecipai da laureato convinto naturalmente che fosse un’opportunità difficilmente sfruttabile allora, e invece andò bene.
Il capo della commissione d’esame era Sergio Zavoli, superai la prova scritta e all’orale fui interrogato, mi fu chiesto in particolare, nel caso in cui l’azienda avesse voluto assumermi, cosa avrei voluto fare all’interno dell’azienda, e io dissi con molta naturalezza a Sergio Zavoli “io vorrei fare il radiocronista sportivo”. Lui rispose “fammi vedere come sai fare una radiocronaca”, e io m’improvvisai una radiocronaca di fronte alla commissione, e tra l’altro loro non potevano saperlo questo era il mio gioco preferito dell’infanzia, facevo le radiocronache inventandole, e quindi fu per me una passeggiata inventarmi una radiocronaca. Li colpì molto e mi fecero entrare, mi fecero fare la radiocronaca in zone periferiche, a Campobasso in modo particolare in Molise. In occasione di una gara di Coppa Italia tra il Campobasso appena promosso in Serie B e la Fiorentina vice campione d’Italia, il radiocronista designato per quella partita non poté venire perché si ammalò, mi chiesero se volevo farla io, la feci, e da lì cominciò tutto.
Mi chiamò Mario Giobbe che allora era responsabile dell’informazione sportiva nel girone B, piano piano mi fecero fare un po’ di esperienza nel basket, nella pallavolo, e piano piano sono arrivato dove sono oggi. Il sogno si è coronato per un serie di fattori imprevedibili, fortunati, e sono molto felice di questo.››
Ciotti e Ameri sono stati due suoi maestri, che cosa ha imparato da loro?
‹‹Un’emozione straordinaria incontrare Enrico Ameri e Sandro Ciotti, sono stati i miei maestri in assoluto. Anche se non insegnavano, ho rubato da loro i trucchi del mestiere, la loro frequentazione non è stata solo una scuola professionale ma una vera e propria scuola di vita.››
Com’è la preparazione di Riccardo Cucchi all’evento sportivo? Che cosa studia?
‹‹Su questo ho preso molto da quello che vedevo fare ai grandi del passato, allora i grandi del passato non andavano allo stadio con troppi appunti, ma andavano allo stadio con piccole cose scritte e soprattutto cercavano di entrare in sintonia con la partita e di raccontarla sul piano delle emozioni e oltre che naturalmente sul piano tecnico, e io ho fatto così e continuo a fare così. Sono convinto che tutto ciò che è importante da dire nella fase di preparazione rimane comunque nella memoria, tutto quello che non ti rimane in mente vuol dire che non è davvero importante. Io non arrivo allo stadio con un foglio pieno di appunti, arrivo con poche cose, quelle essenziali naturalmente, e soprattutto mi lascio trasportare dalla partita. Credo che l’ascoltatore della radio non abbia voglia di sentire troppe statistiche, troppi dati, troppi ricorsi storici, credo che abbi a voglia di emozionarsi, soprattutto di poter vedere attraverso la sua fantasia quello che io cerco di descrivere nella mia voce, quindi serve questo rapporto diretto che si instaura fra noi e gli ascoltatori che trasforma la mia emozione in un’emozione collettiva.››
Quali sono le differenze di ritmo tra cronaca sportiva in tv e in radio?
‹‹Faccio un esempio per far capire la differenza tra radio e televisione. Immagina la pagina di un quotidiano e una fotografia stampata lì in mezzo, nella fotografia appare una didascalia, la didascalia di quella fotografia ti racconta l’essenziale, la guardi e ti dice quello che c’è dentro la foto. La telecronaca è una didascalia perché si ha gli occhi per vedere la trasmissione. Mentre la radio è il racconto della fotografia, devi raccontarla, devi raccontare che cosa succede, il personaggio, che cosa sta facendo, da chi è circondato, da quali colori vi sono intorno a lui, in che posto si trova, quale soglia sta varcando, devi raccontare la fotografia. E questa è la radiocronaca.››
Racchiude ancora un retrogusto poetico la radio? Lascia sempre un velo intatto d’immaginazione?
‹‹È questo il vero succo della radiocronaca. Noi dobbiamo fare in modo attraverso il nostro racconto che si introduca nella mente del radioascoltatori il campo, le maglie, che si introduca la diversione degli attacchi, si attacca verso destra, si attacca verso sinistra, facendo capire dov’è la palla. Se tu mi dici che cos’è la radiocronaca? Io ti risponderò in questo modo, fondamentalmente il racconto di dov’è la palla, perché l’ascoltatore deve poter capire attraverso il mio racconto dove si sta sviluppando l’azione, dove il pallone sta rotolando. Ai 15 metri? Nel cerchio di centrocampo? All’altezza del lato corto dell’area di rigore? Nell’area del corner? Sul lato destro? Sul lato sinistro? Bisogna raccontare questo. L’ascoltatore in questo modo se ha dei riferimenti dei tuo racconto, può visualizzare il campo ed essere al tuo fianco come allo stadio, introdurre nella sua mente attraverso il nostro racconto quella che è esattamente la fotografia della partita.››
Qual è stato l’evento sportivo che da speaker lo ha emozionato di più?
‹‹Indubbiamente non posso che risponderti in un modo, avendo avuto io la grande opportunità di raccontare la finale mondiale tra Italia e Francia a Berlino nel 2006 e aver avuto anche l’occasione di gridare “Italia campione del mondo”. Immaginerai che quella è stata la più grande soddisfazione della mia vita, anche perché prima di me soltanto due volte Nicolò Carosio nel ‘34 e nel ’38, e una sola volta Enrico Ameri nel 1982 hanno avuto la possibilità di dire “Italia campione del mondo”. Essere la terza voce della radio a gridare “Italia campione del mondo”, è qualcosa che ancora oggi io ci penso e mi fa venire la pelle d’oca, pensa che un grande radiocronista come Sandro Ciotti non ha avuto questa possibilità, la finale che raccontò nel 1994 negli Stati Uniti Italia-Brasile purtroppo fu persa dall’Italia. Ripeto, Carosio, Ameri, il mio modestissimo nome Cucchi affiancato a questi grandi giganti della parola e della radio è qualcosa di straordinario, che ancora oggi mi fa sentire i brividi lungo la schiena.››
E da ascoltatore qual è stato l’evento che lo ha emozionato di più?
‹‹Dico una cosa che forse in pochi sanno. Enrico Ameri, oltre ad essere stato un grandissimo radiocronista di calcio e di ciclismo, è stato anche uno straordinario radiocronista di eventi che avevano a che fare con la conquista dello spazio. Se io ti dico la conquista della luna, tu ricorderai la telecronaca di Tino Scanio in televisione, ma contemporaneamente a quella strepitosa telecronaca di Tito Scanio andata in onda in tv, Enrico Ameri raccontava l’allunaggio dell’Apollo attraverso la radio, e io ero naturalmente attaccato alla radio e ascoltavo Enrico Ameri che raccontava questa straordinaria impresa dell’equipaggio americano e di tutta l’umanità, fu una radiocronaca emozionantissima.››
Quale evento sportivo non ancora commentato le piacerebbe fare da speaker?
‹‹Ho fatto tante finali di Champions, la prima fu nel 1996 Juventus-Ajax dove i bianconeri vinsero ai calci di rigore, quello fu un periodo molto fortunato con tre finali consecutive giocate dalla Juve, poi la finalissima di Manchester quella storica , direi epocale tra Milan e Juventus dell’Old Trafford. Ho raccontato tante Olimpiadi dal 1984, poi la scherma, il canottaggio, l’atletica leggera per tanti anni, con la finale dei cento metri di Ben Johnson che poi fu cancellata dalla storia perché Johnson fu trovato dopato. Diciamo che ne ho raccontate molte. Cosa manca? Beh manca un titolo europeo per la nazionale italiana, ho raccontato la finale di Rotterdam tra Italia e Francia che finì male con il golden goal di Trezeguet. Mi manca un’Italia campione d’Europa…››.
Grazie maestro, rimarrà per sempre nelle nostre orecchie quel brivido che dal timpano riscaldata il cuore e ci faceva amare tremendamente le grigie domeniche che in pochi istanti di venivano un arcobaleno di gioia sportiva senza limiti.
Chapeau!