LA “BUENA ONDA” CONQUISTA I BRINDISINI: CON ROCCO PAPALEO E GIOVANNI ESPOSITO RITORNA IL VERO TEATRO-CANZONE, COLORATO D’AUTOIRONIA E SAVOIR FAIRE
di Annibale Gagliani______
“Il teatro è inaffondabile e galleggia sulle storie dei racconti“. Sul momento clou della brillantata navigazione di Capodanno, la nave da crociera “Buena onda” era immersa nelle intemperie di un incendio paradossale. Micro-universo galleggiante rottamato, il comandante partenopeo Ruggero Chiaromonte sballottolato sulla routine della terra ferma, e poi tutto (o quasi tutto) avvolto dalla distruzione. Si salva solo il teatro: ma quanto è magico il teatro, un posto che si issa alla sommità del cuore per elevarne le più accese elucubrazioni.
Nelle viscere della Buena onda imperava il sound tra il leopardiano e il crepuscolare di un artista sfiorato dal largo consumo: Gegè Cristofori. Amante del dolore macerante, pessimista cosmico di lungo corso, intratteneva intellettualmente i naviganti della crociera assieme alla sua improbabile band, gli “incompresi”.
Il rapporto sofferto ed elisalarante tra il comandante (interpretato dall’azzurrissimo Giovanni Esposito) e il cantautore decadente (un Rocco Papaleo di cachemire) rappresenta il leitmotiv pensante dell’opera. Da prua a poppa riecheggiano brulicanti onde jazz and blues, Paolo Conte e Cammariere sono pur sempre due fuoriclasse del genere. Tutto è a misura d’uomo e di scaltro intelletto, l’audio in primis come preannunciato: assume un valore inenarrabile nel via vai della vita marinara gli intervalli di classe dell’annunciatore di bordo, che regalano al palato dei paganti un sapore decisamente radiofonico.
“Nonostante il naufragar m’è dolce in questo mare, è sempre meglio galleggiare“. Cristofori, devoto alla canzone dialettale lucana, e perciò incline a tradurre nella sua lingua poesie senza tempo e pezzi velatamente simbolisti, si attira le critiche del “sindaco” della cittadina galleggiante, che lo invita ad aprirsi al vastissimo campo dell’allegria (e di conseguenza della musica commerciale).
Lo showman meridionale, alternando letture da sottosuolo dell’anima, corteggiamenti da “tombe de femme” e interrogativi su albe scure e tramonti accesi, cerca di migliorare la proposta artistica assieme al suo gruppo (chitarra Francesco Accardo, percussioni Jerry Accardo, piano Arturo Valiante e contrabbasso Guerino Randolone). Cantare in stampatello e con assoluta chiarezza, esponendo una vena accentuata da “Orchestra italiana”, era la mission degli musicanti marittimi.
Un Papaleo finissimo, semplice (a pane e olio) e sensualmente irriverente, ha arricchito la scena di sfumature mai banali, che lo disegnano come un puro cavallo di razza della recitazione nostrana. Altresì, la profondità da Vesuvio al plenilunio di Esposito, a tratti sorprendente per l’efficacia narrativa, è stata una delle note più liete della messa in scena.
Vigoroso e diretto è il messaggio finale che i due attori, con l’ausilio degli altri due autori della fatica teatrale Walter Lupo e Valerio Vestoso, hanno voluto donare al pubblico: prendersi in giro anche trenta secondi al giorno, aiuta a vivere meglio. L’ironia, e nella fattispecie l’auto-ironia, è uno dei più grandi aggregatori sociali della storia, utile a limare le differenze col prossimo, spesso insormontabili per gli umanoidi più isterici.
La nostra rubrica “Cafè Barocco”, con la sua sezione speciale “E poi arrivò Godot”, dà un 8 pieno all’opera Buena onda, che ieri sera ha riempito di tenue armonia il Teatro Verdi Brindisi. Decisiva nel nostro giudizio, oltre alla qualità dell’offerta artistico-culturale, è stata la gentilezza dei protagonisti, che prima dell’inizio dello spettacolo hanno accolto i brindisini della platea con un’educazione e un garbo rarissimi in questo mondo ultra-emozionale.
Chapeau!
“Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita“. Lo disse il primo ministro del teatro italico, Eduardo De Filippo.
W il teatro, W i nostri melanconici successi, e sourtout, i più roboanti errori!
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