“Questa terra è la mia terra…”. I SIOUX ‘SUL PIEDE DI GUERRA’ IN NORD DAKOTA CONTRO L’ OLEODOTTO DAPL CHE DEVASTEREBBE IL LORO TERRITORIO (CON QUALCHE UTILE LEZIONE PER PIU’ VICINO A NOI)
di Giuseppe Puppo______
Più leggevo e più vedevo, per documentarmi, con difficoltà (in Italia, gli affari esteri purtroppo sono parecchio trascurati) e più mi sembrava di leggere e di vedere un fumetto di Tex Willer, della mia infanzia: una di quelle storie, fra le sterminate praterie del Nord America, in cui speculatori senza scrupoli si davano da fare per accumulare ricchezze, sterminando gli Indiani.
E dai tempi del Far West, dall’ altro secolo ancora, là le cose non sono cambiate poi di molto, quanto a devastazione del territorio, a vantaggio di approfittatori di ogni risma, banchieri e finanzieri dell’ alta finanza internazionale, con la benedizione dei politici.
Sempre in nome del progresso, ben inteso, anzi, di ‘opere strategiche’, diremmo adesso, diremmo qui da noi…
Già, perché questa storia, benché arrivi da lontano, ci riguarda da vicino, qui nel Salento, a mio modo di ragionare, un ragionamento che voglio condividere con tutti i Salentini che si oppongono, o sono contrari, alle devastazioni del nostro territorio.
In questi giorni, come oramai avviene da mesi, gli Indiani, i nativi Americani, i Sioux, protestano contro la costruzione del Dakota Access Pipeline (Dapl), un oleodotto da quattro miliardi di dollari, che dovrebbe snodarsi attraverso Sud Dakota, Nord Dakota, Iowa e Illinois per duemila chilometri di tubi.
Lo fanno perché ne avrebbero il territorio devastato: i lavori del Dakota Access Pipeline modificherebbero il paesaggio delle loro terre, lo altererebbero, e violerebbe il loro diritto alle tradizioni, come all’ acqua pulita.
Protestano, non per il passato, ma per il futuro: “Distruggono le nostre terre sacre e così mettono in pericolo i nostri figli non ancora nati”.
Avevano avuto una pausa (elettorale?) dei lavori direttamente dal presidente Obama, ma è servita poco e punto.
Da bravi Sioux, si fidano ben poco del ‘grande padre bianco di Washington’, anche se è nero.
E non si fidano per niente di nessuno dei due candidati a prenderne il posto: l’ una, espressione degli ambienti finanziari, l’ altro, diretto azionista del progetto, puoi capire.
Cosa hanno fatto? Si sono rivolti al giudice federale.
Ma la giustizia ha dato loro torto, e ti pareva.
Cosa hanno fatto allora?
Si sono accampati in una zona dove dovrebbe passare l’ oleodotto.
Prima uno, poi dieci, poi cento. E ora sono diverse centinaia. Altre diverse centinaia di esponenti delle associazioni ambientaliste li hanno raggiunti, e aumentano ogni giorno di più
E stanno là.
Che faranno ora, i costruttori?
Che farà la Polizia?
Faranno migliaia di denunce?
Faranno migliaia e migliaia di sollevamenti da terra?
Io non lo so, come andrà a finire, in Nord Dakota.
Io però ora so che cosa dovremmo fare noi Salentini, dalle parti di Melendugno e dintorni.
E se saremo denunciati per manifestazione non autorizzata, occupazione di suolo pubblico, e quant’ altro, ci sporcheremmo la fedina penale, ma ci laveremmo la coscienza.
Ma ti voglio vedere, a fare migliaia di denunce e migliaia di processi…
Del nostro ‘grande padre bianco’ di Bari, meglio non fidarsi.
E se l’ ultimo giudice ci darà il prossimo 30 novembre torto al Tribunale di Lecce, la risposta, l’ ultima sarebbe quella loro, quella dei Sioux.
Che è poi gandhiana, pacifica, non violenta.
Sottolineo: pacifica e non violenta, perché in Val Susa hanno sbagliato proprio in questo.
Visto che non c’è più, nella realtà, nessun Tex Willer, dai modi spicci, ma efficaci, al quale scrivere per chiedere aiuto, rimane questa sola alternativa, per chi ci sta, e sono proprio curioso di vedere chi ci sta, perché a parlare e a scrivere ci vuole poco. E’ a fare i fatti, che ci vuole molto.