SE NE VA L’ANGELO DEGLI UMILI / DON DONATO PANNA, UN’ESISTENZA TRASCINANTE DONATA AGLI ULTIMI, AGLI ESCLUSI, AGLI EMARGINATI DELLA SOCIETA’
di Annibale Gagliani______
Tutti amano Mahatma Gandhi, ne apprezzano la resistenza pacifica offerta per la salvezza del popolo indiano, ma chi lo imita davvero al giorno d’oggi? Tutti pronunciano quella frase infallibile del pastore black che da Atlanta fino a Memphis distese un arcobaleno di educazione e saggezza senza precedenti: Yes we can! Thanks King Martin! Ma chi ne capisce davvero il senso? Tutti sono pronti ad esibire le foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle giornate della legalità, oppure a provare compassione per la vita di privazioni che Roberto Saviano si appresta ad affrontare o ancora a credere che a Lampedusa ci vuole davvero un fegato d’acciaio per arrivare al tramonto senza tremila lacrime che ti graffiano il viso: ma chi davvero prende alla lettera tali poderose gemme sociali?
Oggi, alle dieci in punto, l’insormontabile campanile della chiesa di San Donaci, proprio quello che veglia su tutte le anime vorticose come fosse un guardiano senza tempo, ha cominciato a suonare, e non era la solita melodia dei vespri spigolosi o delle domeniche mattina al miele, era un pianto irrefrenabile.
Il paesino in questione, che conta ai censimenti all’in circa settemila cuori – coi rispettivi quattordicimila occhi curiosi e le altrettante quattrordicimila orecchie aguzze – ha perso il suo figlio più lucente: Donato Panna. Un prete come pochi, un amico incredibilmente leale, l’orgoglio di tutti. Vi narro dell’uomo doc, di quelli che ne nascono uno ogni centoventi anni terrestri, capaci di passare con signorile disinvoltura sulla disperazione dell’ellisse e di colorarne le pagine più tetre, affidandosi solo a un sorriso kilometrico e alle impagabili buone azioni.
C’è chi dice fosse un ultrasettantenne, errore grave. Solo chi avuto la fortuna di stargli accanto in questi ultimi anni può capire come la sua anima non abbia mai perso l’energia dei vent’anni, restando proiettata verso quella trasmissione infinita di carica cosmica che offriva toujours ai suoi giovani.
Nel pieno delle forze e della stima spirituale da parte di tutta la comunità, decise di lasciare il posto caldo della parrocchia d’origine, diventando un missionario che ripudiava la frontiera. In questa chiesa dove le nuove indulgenze feriscono ancora di più di quelle combattute da Lutero, e in generale ai piedi di questo mondo devoto totalmente al totem profitto, la sua decisione rappresentò una goccia di latte su un mare di olio di ricino.
L’Africa divenne la sua seconda casa, il Kenya – una delle lande più martoriate dalla guerra civile – la sua ragion d’essere. Si trovò ad affrontare un fuoco inestinguibile (più arduo di quello di Prometeo), toccò con mano tremante la fame ontologica dei Masai. Johann Wolfgang Goethe sosteneva che per vivere felici bisognava viaggiare con due borse, una per dare, l’altra per ricevere, Don Donato seguì il millenario diktat. Riportò in Italia tutte quelle tracce tangibili che potevano far bruciare la coscienza ai propri conterranei: durante il catechismo, in chiesa, in piazza per un qualsivoglia evento, le brutture del mondo dovevano andare in primetime!
Solo così qualche anima pia ebbe l’accortezza di commuoversi, altri se ne sbatterono puntualmente – criticando la scelta del parroco di portare opere di carità troppo lontano dal Salento – mentre valorosi gruppi di ragazzi decisero di seguirlo lasciando a casa la paura: l’aiuto al terzo mondo, la fratellanza reale e la voglia di tornare dalla sfida soltanto dopo aver alleviato i mali delle ferite più insensate erano trascinanti.
Sicuramente di lui ne avrebbe scritto un poeta incompreso (ma nel simbolo lancinante davvero talentuoso) come Giovanni Pascoli, e magari gli avrebbe riservato proprio questo lirica:
Cielo e Terra dicono qualcosa
l’uno all’altro nella dolce sera.
Una stella nell’aria di rosa,
un lumino nell’oscurità.
I Terreni parlano ai Celesti,
quando, o Terra, ridiventi nera;
quando sembra che l’ora s’arresti,
nell’attesa di ciò che sarà.
Tre pianeti su l’azzurro gorgo,
tre finestre lungo il fiume oscuro;
sette case nel tacito borgo,
sette Pleiadi un poco più su.
Case nere: bianche gallinelle!
Case sparse: Sirio, Algol, Arturo!
Una stella od un gruppo di stelle
per ogni uomo o per ogni tribù.
Quelle case sono ognuna un mondo
con la fiamma dentro, che traspare;
e c’è dentro un tumulto giocondo
che non s’ode a due passi di là.
E tra i mondi, come un grigio velo,
erra il fumo d’ogni focolare.
La Via Lattea s’esala nel cielo,
per la tremola serenità.
Perchè in questo ventunesimo secolo (che viaggia alla velocità della luce e non guarda in faccia nessuno) una religione deve essere in grado di dare una mano “umana” alle altre, evitando stupide discriminazioni e guerre di estrazione medievale. Perchè la chiesa (o la sinagoga, la moschea e la sala) devono essere in grado di accogliere tra le sue mura un credente omosessuale che voglia intraprendere il cammino di fede ritenuto più opportuno. Perchè la religione non è un’azienda e di certo non può creare profitto.
E soprattutto perchè esistano ancora uomini veri come Don Donato, che era in grado di accontentarsi tutti i giorni di mangiare cicorie, donando tutto quello che aveva al reale sfortunato di turno. Lui non si è mai permesso di non tendere la mano a un ateo, a un gay, o a chi ha commesso errori madornali nel percorso terreno. Ha intrapreso una rivoluzione pacifica che centinaia di giovani cristallini sposano senza ripensamenti. Caro Don Donato, sei stato l’angelo degli umili! Hai cercato con tutto te stesso di gettare le basi per il tanto auspicato cambiamento del globo (mission impossible sicuramente, ma never say never).
Aldilà di ogni religione, razza, cultura ed estrazione sociale, la tua esistenza fu in grado di redargudire il potere, dando respiro agli ultimi. Adesso che non diventi però la classica pantomima della “dedica di una statua”, “di una piazza” o “del nuovo parco giochi sandonacese”. Cari compaesani, cercate di meditare sul modus vivendi donatiano, traetene favoloso esempio!
Le cose contano niente, sono i fatti, i sentimenti e l’educazione a portarti sulle vette più immacolate della società. Questo amato parroco, ormai immortale, è ufficialmente il cittadino più importante della storia di San Donaci. Probabilmente non ne parleranno i libri a scuola, ma la memoria cittadina conserverà nei secoli la sua traccia indelebile.
Ciao Don Donato, per favore, non fermarti!
Continua a illuminare le menti, anche da lontano…
Bellissima parole. .descrizione precisa di un uomo che ha illuminato la vita di chi come me avuto la fortuna di VIVERLO …mi mancherà e sarà nel mio cuore x sempre ..
Mi dispiace di non aver conosciuto una persona con le qualità che hai descritto, raramente si ha la fortuna di incontrarle, difficilmente si riesce ad apprezzarle quanto meritano. La semplicità, la naturalezza con la quale ogni giorno compiono opere grandiose, occupandosi del prossimo, le fanno apparire come “uno dei tanti”.
Sarà sempre presente nella vita di chi lo ha conosciuto.
Io l ho conosciuto don donato panna…uomo speciale….se ne e andato…ma nel cuore la sua grandiosità d animo rimane x sempre