SERATA – INCANTO. PAOLO RUMIZ HA PRESENTATO A BRINDISI – E DOVE, SE NO? – IL SUO RACCONTO DI VIAGGIO A PIEDI LUNGO L’ APPIA ANTICA. E CON L’ INVIATA DI leccecronaca.it HA PARLATO DI TERRE D’ORIGINE, PUNTI DI PARTENZA E D’ ARRIVO, E DI DIALETTI
di Francesca Pagliara______
Ammirazione, cultura, e umiltà. Questa la sintesi della serata di ieri vissuta presso l’ex Convento Santa Chiara, nella splendida cornice del centro storico di Brindisi.
Protagonista eccellente il giornalista e scrittore Paolo Rumiz, lì per parlare della sua ultima fatica letteraria: “Appia” (Edizioni Feltrinelli), nome legato inevitabilmente alla celeberrima via che collega Roma a Brindisi, la “via numero uno dell’umanità” così definita da Rumiz. Una versione moderna della satira V di Orazio, per intenderci.
Il giornalista, noto per la sua carriera fatta di viaggi e voglia di scoperta, ha infatti percorso la via Appia a piedi, insieme al regista e musicista Alessandro Scillitani, che ha curato le musiche e i filmati del documentario (anch’egli presente ieri sera), e ad un numero indefinito di camminatori, irpini e archeologi, i quali hanno preso parte del viaggio strada facendo.
“Ci avevano sconsigliato di percorrerla a piedi, ci hanno detto che era rischioso ma con la macchina non avrebbe avuto lo stesso significato” – così lo scrittore sulla scelta di non utilizzare alcun mezzo di locomozione se non le proprie gambe.
Ammirazione appunto dicevamo, per un uomo che non si è mai risparmiato, nonostante la non più giovanissima età e che ancora prova stupore e curiosità verso ogni singola persona e ogni singola storia che incontra sul suo cammino.
Parole da tenere a mente quelle che spende sui viaggiatori, anzi camminatori, come li chiama lui: “Colui che cammina è un grande San Tommaso, che non si fida che delle proprie percezioni. Ma dalla altra parte il camminatore, proprio perché camminando subisce una grande metamorfosi che lo rende parte del paesaggio che attraversa, è un grande visionario che riesce proprio attraverso il cammino a far rivivere epoche ormai tramontate.”
Il pubblico era assolutamente rapito ed incantato ad ascoltarlo. Me compresa. Ecco un’altra parola che descrive la serata: Incanto.
Termine utilizzato dal Maestro anche per descrivere questo percorso da Roma a Brindisi. Viaggio fatto di incanto sì, ma anche di indignazione.
Rumiz non usa mezzi termini: “Ho vissuto l’ incanto per tutte le meraviglie di questo paese, ma allo stesso tempo l’indignazione continua per come gli italiani trattano la loro storia e la loro memoria e per come questa via, come in nessun’altro paese sarebbe successo, sia stata dimenticata e non valorizzata.” Come dargli torto?
La presentazione del libro è stata poi seguita dalla visione di alcuni stralci del documentario curato da Scillitani, particolarmente interessante soprattutto per i vari personaggi incontrati sul sentiero.
Rumiz non ha dimenticato di parlare della Terra dei Fuochi attraversata da Capua a Mondragone, dove l’aria pulita è un lusso. Terre dove ogni agricoltore, operaio o uomo comune aveva due sole frasi da utilizzare: “i politici stanno a Roma, noi siamo qua” oppure “i giornalisti non ci pensano a noi”. Un abbandono quindi, tutt’altro che inosservato.
Noi di leccecronaca.it alla fine della serata abbiamo chiesto allo scrittore se dopo una vita passata con lo zaino in spalla e sempre nuovi orizzonti da osservare, ci fosse ancora qualche tappa che vorrebbe esplorare.
Questa la sua risposta: “Data l’età e il periodo della mia vita mi piacerebbe dedicarmi di più alle terre di casa mia, quella bella poesia di Costantino Cavafis dice: << se la meta del tuo viaggio è Itaca, quindi casa tua, fai in modo che il tuo viaggio sia il più pericoloso e difficile possibile, fai modo di incontrare ciclopi e lestrigoni perché avrai tanto da raccontare.>>
E ha poi così continuato:
“In realtà la vita è un punto di partenza dalla propria terra d’origine per ritornarci. I sono molto fortunato perché, pur viaggiando tanto, non mi sono mai allontanato da Trieste. Adesso ho voglia di dedicarmi a Trieste, scrivere delle storie che riguardano i miei luoghi , valorizzare l’inimitabile dialetto delle mie terre.
Il nostro dialetto è una lingua apparentemente poco romantica ma in realtà è una lingua perfetta per l’amore. Se tu litighi con la tua donna in dialetto, è molto meno grave che litigare in italiano. Ci si trova su un terreno comune, alla fine si ride insieme.”
Infine, ha concluso così: “Voglio dedicarmi alla mia terra, al mio dialetto, un po’ come ha fatto Camilleri col siciliano.”
E noi auguriamo a questo scrittore, giornalista, ma soprattutto maestro di vita, di tornare a casa. Il suo viaggio è stato tortuoso. Da raccontare ci sarà tanto, tantissimo. Ne siamo sicuri.
Perché a Lecce non si riescono a fare iniziative così belle, di valore assoluto?