ULTIM’ORA / ERGASTOLO, PER MASSIMO BOSSETTI E’ ARRIVATA LA SENTENZA DELLA CORTE D’ASSISE DI BERGAMO
(f.g.)______E’ durato un anno, il processo, quello vero, non le infinite puntatone dei talk show televisivi, spesso scadute nello squallido, che invece ci hanno marciato su per anni. E’ finito ‘stasera, con la sentenza, dopo una camera di consiglio durata dieci ore e mezzo, a due anni e mezzo dall’ arresto. Quello di quando un minuto prima il ministro degli interni aveva già anticipato il verdetto.
Senza telecamere, il dispositivo è stato letto alle 20.4o. Ergastolo, come richiesto dall’ accusa.
Un’ attenzione mediatica da record assoluto. Oggi poi c’ erano curiosi fin dall’ alba, davanti al Tribunale, sede della corte d’ Assise di Bergamo. Un evento, insomma, con l’ Italia, come al solito, spaccata in due fra innocentisti e colpevolisti, e, nella fattispecie, diventati anche un popolo di scienziati esperti di dna.
La questione scientifica, la così detta “prova regina” che non sbaglia mai. Non sbaglia mai? Essa stessa? E/o gli altri che la muovono? Con tante documentazioni che attestano il contrario.
Perché poi, tanti indizi. E basta. Ecco il punto. In tutti gli altri casi, il dna è servito ad identificare un colpevole, confermato poi tale, dopo l’ identificazione, da tutta una serie di prove. Qui no.
Massimo Bossetti, 45 anni, in aula, come da consuetudine, ha avuto l’ ultima parola, con una dichiarazione letta da un foglio scritto di suo pugno:
“Non vedevo l’ora di potervi guardare negli occhi per spiegarvi che persona sono, che non è quella che è stata descritta da tanti in quest’aula. Sono una persona che per quarantacinque giorni ha presenziato e non si è mai rifiutato di sottoporsi agli interrogatori. Sono una persona normale, semplice e simile a tante altre. Ancora oggi sono alla ricerca della verità. Ho adottato a distanza un ragazzo, il figlio di una famiglia messicana molto indigente. Questo per farvi capire che persona sono: buona di cuore e affettuosa, pronto ad aiutare il prossimo tutti i giorni. Questa persona è stata degradata e umiliata. Istigata a confessare qualcosa che non avrebbe mai potuto fare. Mi è stato attribuito senza un minimo di rispetto una cosa vergognosa nei miei confronti. Dico a tutti voi che non sono un assassino.
Sarò anche stupido, un ignorantone, un cretino, ma non sono un assassino; questo sia chiaro a tutti. Sono convinto che la verità sull’omicidio debba essere portata alla luce. Vorrei incontrare i signori Gambirasio, anch’essi vittime di chi non ha ancora saputo trovare il vero colpevole o i veri colpevoli. Ripeto: sarò un ingenuo, ma non un assassino. Quel dna non è mio, vi imploro, ripetete il test! Accetterò il verdetto qualunque esso sia perché pronunciato, ne sono convinto, in assoluta buona fede. Ma ricordatevi che se mi condannerete sarà il più grave errore giudiziario di questo secolo. Mi rendo conto che è molto difficile assolvere Bossetti, ma è molto più difficile sapere di aver condannato un innocente”______
LA DOCUMENTAZIONE
Yara Gambirasio scompare nel pomeriggio del 26 novembre 2010. All’epoca aveva 13 anni e l’ultima volta che viene vista viva sta lasciando la palestra di Brembate di Sopra, il paesino in provincia di Bergamo dove tuttora vivono i suoi genitori.
Il suo cadavere viene ritrovato dopo tre mesi, il 26 febbraio 2011, a 10 chilometri di distanza da quella palestra, in un terreno incolto di Chignolo d’Isola.
In quelle settimane, l’attenzione degli inquirenti si concentra su Mohammed Fikri, un marocchino arrestato mentre si trova su un traghetto diretto a Tangeri. A incastrarlo un’intercettazione la cui traduzione risulta in seguito sbagliata, per cui Fikri viene definitivamente scagionato.
Dopo il ritrovamento del corpo di Yara gli inquirenti riescono a trovare sugli slip e sui suoi leggins una traccia di sangue diversa da quella della 13enne. Vieni così battezzato il profilo di ‘Ignoto 1’ che, dopo indagini lunghe e complesse, secondo l’accusa risulterebbe essere Bossetti.
Massimo Bossetti, muratore di 45 anni, viene arrestato, dopo aver raccolto con una scusa il suo dna, il 16 giugno 2014. Le indagini a suo carico vengono chiuse nel febbraio del 2015, con la richiesta di rinvio a giudizio.
Il 3 luglio 2015 si apre il processo a carico di Bossetti, con l’accusa di omicidio pluriaggravato, davanti alla Corte d’Assise di Bergamo, presieduta da Antonella Bertoja.
Per l’accusa, rappresentata dal pm Letizia Ruggeri, a incastrare l’imputato è la “prova regina” del dna, oltre che alcune immagini di una videocamera che riprenderebbero il suo furgone passare davanti alla palestra pochi minuti prima della scomparsa di Yara.
La difesa, affidata agli avvocati Paolo Camporini e Claudio Salvagni, sostiene che la traccia di dna mitocondriale, che indica la linea materna, non corrisponde al loro assistito: per gli avvocati, infatti, “solo il dna nucleare ha valore forense“, senza tralasciare il fatto che quello prelevato è stato “contaminato” e che le modalità di custodia e conservazione rappresentano altri “tallone d’Achille” di un processo solo “indiziario”.
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