XYLELLA E LUBIXYL: L’ENZIMA DEL LATTE, UN CONSORZIO E LE IMPLICAZIONI IN SALENTO
di Eleonora Ciminiello______Il 18 aprile scorso avevamo lanciato la notizia dell’esistenza di una ricerca che vedeva protagonista un’enzima del latte, la lactoperossidasi, capace di agire su xylella fastidiosa inibendola. Visto il solito ed inspiegabile silenzio, abbiamo deciso di attivarci, cercando di capire innanzitutto quanto di vero ci fosse nella notizia, la sua validità scientifica e soprattutto quali risvolti potesse avere in Salento.
Dalla documentazione è emerso che all’interno del Laboratorio di Phitopatologia Plant Agrobiotech Gembloux dell’Università di Liegi, il professore e direttore del dipartimento Haissam Jijakli, assieme al suo team, ha cominciato a studiare le reazioni dell’enzima lactoperossidasi sui batteri, virus e funghi delle piante intorno al 2010.
I partner di questo progetto sono il laboratorio di Phitopatologia Agrobiotech, l’azienda Taradon e l’ente operativo di economia, ricerca ed occupazione della Vallonia. Cardine della ricerca è proprio l’enzima della lactoperossidasi, presente nel latte crudo fresco. Secondo lo studio, presentato ufficialmente il 17 giugno 2014, accettato il 19 agosto e pubblicato il 16 settembre 2014 (è questo il processo naturale che rende uno studio una pubblicazione scientifica ufficiale), la lactoperossidasi non ha effetto antibatterico di per sé ma è in grado di ossidare lo ione tiociano in presenza di perossido di idrogeno. E’ questa combinazione, definita “sistema perossidasi” che riesce a neutralizzare i virus ed i batteri gram-negativi nell’uomo ed in tutti gli animali. Partendo da questi presupposti i ricercatori di stanza presso la Agrobiotech hanno provato ad utilizzare il “sistema lactoperossidasi” sulle piante. I risultati sono stati sorprendenti: in particolare è stata provata l’efficacia della lactoperossidasi sulla peronospora che colpisce la vite e i pomodori, ma l’enzima è risultato efficace anche contro funghi e muffe che attaccano le mele e gli agrumi.
La ricerca portata avanti da questi ricercatori, coordinati dal professor Haissam Jijakli, ha inibito 10 funghi e 3 batteri in vitro, è risultata non tossica per tutti i modelli testati tranne due, ed ha dimostrato di poter poter essere utilizzata nelle vesti di protezione per le piante dagli agenti patogeni.
Gli anni in cui Agrobiotech si occupa di testare l’enzima sulle specie vegetali sono gli anni in cui in Salento viene fatta esplodere l’emergenza Xylella Fastidiosa, ritenuto, indebitamente, come la causa del disseccamento rapido degli ulivi. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo alla ricerca. Con ogni probabilità verso i primi mesi del 2015, in piena emergenza xylella in Salento il team di ricerca prova a testare in vitro gli effetti della lactoperossidasi su xylella, concentrandosi sulle subspecie fastidiosa e multiplex.
In vitro i risultati sono sorprendenti: entrambe le subspecie risultano debellate, quindi l’enzima lactoperossidasi è in vitro risolutivo. Ovviamente questo test non basta ad accertarne l’efficacia: il passo successivo è la verifica della citotropicità della lactoperossidasi, ovvero della sua assorbibilità all’interno dei vasi xylematici dell’ulivo, ma in quanto enzima dovrebbe essere assorbibile, anche perché è risultato tale sia su vite, sia su pomodoro, sia su agrumi, sia su mele.
La ricerca di Agrobiotech si trasforma circa un anno e mezzo fa, come conferma il professor Cristos Xiloyannis durante la tavola rotonda organizzata dalla portavoce del M5S al Parlamento Europeo, Rosa d’Amato presso la Regione Puglia, ieri 18 maggio, in un progetto: Lubixyl. Lubixyl è un consorzio scientifico industriale francese il cui nome sta per Lutte Biologique contre Xylella Fastidiosa, il cui scopo è innanzitutto di porsi sulla scena come un gruppo di studio, ricerca, sperimentazione multidisciplinare, capace di affrontare il disseccamento rapido degli ulivi a 360°.
All’interno del gruppo sono presenti batteriologi, epidemiologi, ma anche esperti di pratiche agricole, microbiologi del suolo e fisiologi della pianta. Fanno parte del progetto oltre a ricercatori e scienziati anche 32 università, 34 laboratori e 15 organismi tecnici e professionali provenienti da 15 paesi del mondo. Il progetto include realtà molto diverse: enti brasiliani come dell’Iran, ma anche organismi europei e dei paesi del Mediterraneo. Un progetto che certamente suona come una speranza concreta per la tutela, la sopravvivenza ed il ripristino del paesaggio salentino e pugliese, ma che solleva anche delle perplessità, che riteniamo legittime, sulla sua nascita e sulle personalità coinvolte.
Abbiamo detto che il progetto nasce circa un anno fa, quando il professor Xiloyannis conferma di aver preso parte alla nascita di LubiXyl. Il 27 Ottobre 2015 il professor Cristos Xiloyannis dell’Università della Basilicata (da subito parte del progetto) e coordinatore del gruppo WP4 della ricerca, corrispondente alla fase sperimentale “Pratiche in campo”, assieme a Didier Ousset, responsabile del consorzio scientifico-industriale Lubixyl, incontrano l’assessore regionale alle Politiche agricole della Basilicata Luca Braia e il dirigente dell’Ufficio fitosanitario regionale, Ermanno Pennacchio, informandoli del progetto.
Siamo al 27 ottobre: in Basilicata non vi è alcuna emergenza. In Puglia sì. Ed allora perché non ci si è rivolti subito alla Regione Puglia? Perché non informare subito la Regione colpita dal disseccamento dell’esistenza del progetto? E se i membri di Lubixyl l’hanno fatto chi ha ritenuto irrilevante il lavoro di Agrobiotech?
Perché il professor Xiloyannis, membro della task force, non ha comunicato della sua partecipazione a questo progetto all’interno del consesso? Sebbene comprendiamo che la ricerca sia coperta da segreto, lui che si è sempre speso per il territorio salentino, perché non ha informato chi di dovere in Puglia, anziché ad ottobre 2015 chiedere appoggio alla Regione Basilicata? Avrebbe potuto, in virtù di una comunicazione tempestiva potuto fermare o deviare verso altri percorsi le scelte della Regione Puglia, evitando le potature severe previste nell’ultimo piano degli interventi?
E se il sistema lattoperossidasi inibisce xylella, trattandolo alla stregua di un qualsiasi batterio, è pensabile che a test ultimati xylella non verrà più considerato un batterio da quarantena compreso nella lista EPPO1?
Qualcuno in Puglia sapeva dell’esistenza del progetto? La risposta è sì, se il 17 febbraio 2016 il consorzio Lubixyl propone la sua candidatura ad Horizon 2020 con un progetto multidisciplinare che intende porre al vaglio il batterio, i possibili vettori, ma anche la cura degli ulivi e dell’ecosistema in genere. Qualcuno lo doveva sapere, perché all’interno del progetto Cristos Xiloyannis non è l’unico volto noto da chi ha seguito la vicenda xylella fastidiosa in Salento.
Figurano tra i partner del progetto l’Università di Studi Aldo Moro, ma non si specifica quale dipartimento dell’Università prende parte alla ricerca né tanto meno quali sono i ricercatori aderenti. Figura anche il CNR, anche qui senza specificare se è il CNR nazionale o regionale. Tra i partecipanti a Lubixyl anche l’Università di Foggia, la quale mediante i ricercatori Lops e Carlucci ha avuto un ruolo molto attivo all’interno della questione xylella salentina. Tra le associazioni sostenitrici e partner del progetto anche COPAGRI, UNAPROL e l’Associazione Nazionale Vivaisti Esportati, mentre tra le regioni, la sola Basilicata.
Grandi assenti, oltre alla Regione Puglia, anche le associazioni di categoria, in particolar modo CIA e Coldiretti, i quali negli ultimi anni hanno spinto per il reimpianto di altre varietà di ulivo, volgendo l’agricoltura salentina verso quell'”innovazione” e quella meccanizzazione che avrebbe fatto indubbiamente bene più al portafoglio che all’ambiente.
A coordinare il progetto scientifico, il laboratorio Terra e Vita dell’Università Cattolica di Louvain diretto dal professor Claude Bragard, referente per Xylella presso l’EFSA. Il coordinatore del progetto fa parte del gruppo di esperti EFSA che, in ultimo, ha pubblicato una relazione stilata da alcuni degli indagati dalla procura di Lecce facendola passare per una pubblicazione scientifica.
Ora il consorzio ha proposto la sua candidatura ad Horizon 2020 e conoscerà, verosimilmente, il risultato del bando entro giugno 2016: a chi andranno i prossimi 7 milioni di euro stanziati dalla Commissione Europea? Dovendo scegliere certamente propenderemo per una potenziale soluzione piuttosto che per un’altra relazione priva di contenuto risolutivo, ma ci resta l’amarezza per tutto il tempo sprecato, per tutti gli ulivi caduti e per quelli tragicamente avvelenati. Forse si potevano salvare.
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La vicenda Xylella è una perfetta fotografia della fallibilità della scienza e della corruzione mentale e spirituale indotta dal potere del denaro. A raccontarla, dopo i processi, ci dovranno pensare gli storici e gli antropologi
“Perché il professor Xyloiannis, membro della task force, non ha comunicato della sua partecipazione a questo progetto all’interno del consesso? Sebbene comprendiamo che la ricerca sia coperta da segreto, lui che si è sempre speso per il territorio salentino, perché non ha informato chi di dovere in Puglia, anziché ad ottobre 2015 chiedere appoggio alla Regione Basilicata? Avrebbe potuto, in virtù di una comunicazione tempestiva potuto fermare o deviare verso altri percorsi le scelte della Regione Puglia, evitando le potature severe previste nell’ultimo piano degli interventi?”
Probabilmente NON “Avrebbe potuto, in virtù di una comunicazione tempestiva potuto fermare o deviare verso altri percorsi le scelte della Regione Puglia” altrimenti penso proprio che lo avrebbe fatto.
L’enzima in laboratorio ha mostrato la sua efficacia ed è molto probabile che faccia la stessa cosa anche in vivo, cioè in campo, ma non elimina le cause del CoDiRO. Alla Tavola Rotonda del 18 maggio 2016, organizzata dal M5S, presso la Regione Puglia, ho evidenziato questo aspetto alla presentatrice francese Françoise Bafort (ricercatrice presso la Facultés de Gembloux e in rappresentanza del Consorzio scientifico industriale francese Lubixyl), la quale nel rispondere alla mia domanda ha detto che è un aspetto al quale cercheranno di dare importanza in seguito. Xiloyannis e Scortichini, nel corso dei loro interventi mi hanno dato ragione: è sulle cause vere della patologia che puntano le loro ricerche. E le vere cause del CoDiRo sono di natura ambientale. Non mi stancherò mai di sottolinearlo: nella stragrande maggioranza dei casi i patogeni sono degli opportunisti. Attaccano quando le piante diventano vulnerabili. E diventano vulnerabili quando l’uomo le trascura o le avvelena.