CAFE’ BAROCCO / NELL’EMPIREO DEL GRANDE SCHERMO SULLE ALI DEL CINECLUB

| 15 Marzo 2016 | 0 Comments

di Annibale Gagliani______

Pasolini, Bergman e Polanski: quando il teatro seduce les films d’art. Pirotecnico tramonto al Cineporto di Lecce la scorsa sera, grazie a una delle iniziative culturali meglio riuscite nell’ultimo decennio: il Cineclub universitario.

Capo tribù di questo accattivante fuoco è il docente di Cinema e Fotografia all’Università del Salento Luca Bandirali  (a destra nella foto), che assieme ad Apulia Film Commission e un team lodevole di studenti del terzo anno di Scienze della comunicazione, squarcia il velo di Maya della Lumière machine. Titolo delle stimolanti ore di proiezione e talk time è stato “Tutto lo schermo è palcoscenico: Il cinema incontra il teatro”.

La scintilla scocca con la visione di una pellicola irredentista del poliedrico Pier Paolo Pasolini: Edipo Re (1967). Il castello intellettuale costruito nel post-film da Bandirali e della guest Carlo Augieri (a sinistra nella foto, critico letterario e professore di Narratologia all’Università del Salento) rompe gli schemi con il classico complesso di Edipo freudiano.

L’onnivoro regista friulano nel periodo di gestazione del film leggeva ardentemente Marx, diluendolo con gocce di Vico e gargarismi della Scuola di Francoforte. Naturalmente buttò un occhio al buon Freud, tessendo una trama ideologica come al solito violentata dai classicisti.

“Abbiamo un superamento della ridondante matrice psicoanalitica, Pasolini rappresenta un racconto sulla colpevolezza dell’innocenza… se si vede e non si interviene si è colpevoli…”.

Ecco l’analisi di Bandirali, che riconosce questa riscrittura di Sofocle come un attacco sceneggiato a quel potere faucaultiano che istigherà l’occidente sessantottino a graffiarsi col maggio francese.

Si passa dall’Italia fascistissima degli anni trenta a quella del boom economico, tenendo bene a mente l’evento-archetipo dell’Edipo. Tale chiave psicoanalitica nella visione pasoliniana non appartiene alla consueta famiglia piccolo-borghese, ma al centro nevralgico del Kratos.

“Il padre detiene il potere del limite, ogni generazione uccide chi impone un limite…”.

Augieri scava in un’evoluzione storica, che si alimenta di ribellione e tagli netti al cordone ombelicale della moderazione stagnante.

I presenti sono stati calamitati dalla profondità tragica che gli sguardi dei protagonisti emanavano, portatori di una cruenta espressività.

Il secondo round della serata ha visto il proscenio occupato da uno dei migliori drammaturghi italiani, Salvatore Della Villa, che ha introdotto il cinema teatrale e assorto di Ingmar Bergman. L’opera “Dopo la prova” (1984) ha trasportato il pubblico in una Svezia che si lecca i baffi col delicato Stendhal. Per un ora e mezza a farla da padrone è stato un crepitio amichevole di tre labbra: le prime di un regista quasi rassegnato, le seconde di un’attrice in erba dall’impeto penetrante, le terze di una spasimante di mezza età dall’audacia scandinava.

Il dialogo tra i tre, sorto in un teatro desolato, è l’emblema dell’animale più camaleontico della terra: l’attore. La chiusura per il manage filmico del Cineporto è toccata al discusso Roman Polanski, con la sua fatica cinematografica “Carnage” (2011), ristrutturazione per il grande schermo dell’affascinante opera teatrale “Il dio del massacro” della bleus Yasmina Reza.

A comporre le tessere discorsive dell’atipica drammaturgia è stato un distinto esperto della quinta arte: Franco Ungaro. Registri comunicativi piacevoli, stili espressivi contrastanti e che impongono una costruttiva riflessione. Il Cineclub universitario vola sulle ali della nuova scoperta narrativa, invitando gli appassionati a risalire sulla sua giostra emozionale lunedì prossimo con un super omaggio a Elvis Presley.

Mancare è un delitto, poiché il cinema richiede un’intelligibile affezione. La quinta arte si interseca con la vita di ognuno e la vita di ognuno punta a emulare i più fieri kolossal. E pensare che non erano in tanti a crederci all’inizio, nemmeno i più estremisti: “La mia invenzione è destinata a non avere nessun successo commerciale…”. Lo disse un certo Louis Lumière, mica un passante qualunque.

 

Category: Costume e società

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