L’ INTERVENTO / DOPO LA GIORNATA DELLA DONNA / RICORDIAMOCI DEI DIRITTI, SPESSO NEGATI, DELLE BRACCIANTI AGRICOLE
di Daniela Donno * (senatrice M5S)______
Sono per la maggior parte donne. Si vedono di schiena, chine nei campi di pomodori e ortaggi per la raccolta stagionale, sotto il sole pugliese che d’estate picchia sino a quaranta gradi. Pagate anche due euro l’ora per una giornata di lavoro che comincia prima dell’alba e finisce solo quando proprio non si vede più nulla. Sfruttate e sottopagate, senza diritti ma solo doveri, quelli che stabilisce il caporale di turno.
Nella giornata internazionale delle donne desidero ricordare Paola Clemente, la bracciante 49enne morta mentre lavorava nei campi pugliesi di Andria il 13 luglio scorso. Vittima di un fenomeno, il caporalato, che sfrutta la manodopera di migliaia di lavoratori, la maggior parte giovani, donne, extracomunitari, costretti a lavorare in agricoltura in condizioni inaccettabili e disumane.
Un fenomeno che assume connotazioni sempre più gravi, al punto da considerarsi una moderna forma di schiavitù in agricoltura. Da quanto riportato dall’ultimo rapporto “Agromafie e caporalato” della FLAI-CGIL si apprende che: “secondo stime sono circa 400mila i lavoratori che potenzialmente trovano un impiego tramite i caporali.
I lavoratori impiegati dai caporali percepiscono un salario giornaliero inferiore di circa il 50 per cento di quello previsto dai contratti nazionali e provinciali di lavoro, cioè circa 25/30 euro per una giornata di lavoro che dura fino a 12 ore continuative. A questo bisogna aggiungere le ‘tasse’ da corrispondere ai caporali dovute al trasporto (circa 5 euro), all’acquisto di acqua (1,5 euro a bottiglia) di cibo (3,5 euro per un panino) e commissioni varie dovute all’impossibilità di accedere a beni di prima necessità come il cibo e i medicinali.
In molti casi, soprattutto al sud, i lavoratori sono costretti anche a pagare l’affitto degli alloggi fatiscenti nei tantissimi ghetti lontani dai centri urbani e da occhi indiscreti. I lavoratori non scelgono di vivere in questi contesti fatiscenti, ma sono costretti a farlo, visto che solo in quei luoghi troveranno un caporale che gli offrirà una giornata lavorativa.
In Commissione agricoltura in Senato è all’esame il DDl di iniziativa governativa sul contrasto al lavoro nero a allo sfruttamento del lavoro in agricoltura, e già facciamo i conti con una stesura delle disposizioni sommaria e distratta. Se l’intento era quello di inasprire la disciplina sull’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il risultato che viene fuori lascia dei dubbi. A partire dalla disposizione sulla confisca, foriera – già da ora – di dilemmi e connesse incertezze applicative.
Nella nuova formulazione della confisca obbligatoria la norma è scritta male: o il governo si è accidentalmente dimenticato di riprodurre l’inciso “anche indirettamente o per interposta persona”; oppure è un inspiegabile tentativo di depotenziare lo strumento della confisca con riferimento al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Il condannato per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, cioè, avrà la pena detentiva/pecuniaria prevista, ma i soldi che si è fatto alle spalle dei lavoratori sfruttati, se è stato così furbo da affidarli ad un altro, non glieli tocca più nessuno. È l’ennesima dimostrazione dell’assoluta incapacità di questo esecutivo di fare qualcosa di buono per il Paese e per le fasce deboli.
Il Movimento 5 stelle ha presentato una risoluzione alla Camera le cui proposte sono confluite, per gran parte, in quella unitaria a cui hanno contribuito tutte le forze politiche. Tra queste ricordiamo: il cosiddetto ‘numero rosso’ per denunciare maltrattamenti e abusi; la messa a sistema di tutte le banche dati nazionali esistenti (ministero del Lavoro, Agenzia delle Entrate, Agea, Inail, Inps e Centri per l’impiego); l’adesione alla Rete del lavoro agricolo di qualità solo per quelle aziende che rispettano il contratto collettivo nazionale.
Siamo convinti che i diritti non siano negoziabili nè procrastinabili. Ci siamo battuti e ci batteremo per questo.
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