ECCO, ORA CERCHIAMO DI CAPIRE A CHI GIOVA DAVVERO LA MISTERIOSA MORTE DI GIULIO REGENI, PER SCOPRIRNE I RESPONSABILI
di Amani Sadat * (giornalista freelance egiziana, per leccecronaca.it)______
La vicenda Regeni, il ricercatore italiano brutalmente torturato in Egitto, rappresenta un caso dalle mille contraddizioni, dove l’ipotesi maggiormente avvallata dall’insistenza mediatica è quella del delitto politico posto in essere dal regime egiziano.
Come in altre occasioni, senza nemmeno aspettare le indagini della magistratura e della polizia e soprattutto a pochi minuti dalla scoperta del cadavere, tutta la stampa e i media sapevano già esattamente come era andata.
Il corpo di Giluio Regeni è stato ritrovato in un fosso, in una zona di periferia del Cairo con ben impressi i segni delle torture subite, che secondo la versione in voga sarebbe la normale prassi dell’apparato egiziano di Al Sisi.
Improvvisamente un così afferrato dittatore ed i suoi servizi segreti, capaci a detta dei media di far sparire decine e decine di persone, non sono stati in grado di occultare il cadavere di questo “scomodo” giornalista, ma ancora più sorprendentemente lo hanno fatto ritrovare e restituito con i segni delle torture in bella vista.
Che si tratti di un assassinio politico su questo non credo ci siano dubbi, tuttavia la tesi ufficiale resta per nulla convincente e tantomeno logica o sensata.
Punto primo è del tutto improbabile che servizi segreti di un paese facciano fuori così imprudentemente uno straniero, mettendo a repentaglio rapporti stabili ed eccellenti con un paese del tutto amico, come lo è l’Italia per l’Egitto. L’Italia è il primo partner commerciale europeo dell’Egitto e con Renzi all’ultima visita al Cairo, si sono conclusi accordi commerciali e industriali per miliardi, tra i quali quello dell’Eni su un mare di gas davanti alle coste.
Allora Al Sisi deve essere proprio autolesionista da guastare i rapporti con un partner così importante, oltre al fatto che l’Egitto di Al Sisi era già in forte crisi sul piano del turismo, la prima voce delle sue entrate, dopo la caduta dell’aereo russo nel Sinai e l’attentato di settembre a Luxor.
Ma l’omicidio sta servendo al sistematico bombardamento mediatico scagliato contro il presidente egiziano Al Sisi, dagli stessi che continuano ad urlare contro Putin o contro l’Iran e che in precedenza urlarono contro Saddam che non aveva armi di distruzione di massa, o contro Gheddafi, massacrato perché ostacolava gli interessi occidentali. La solita strumentalizzazione e propaganda per avviare campagne contro i leader di Paesi da radere al suolo.
Sicuramente questa è una delle parti a cui giova con ragionevole certezza questa strumentalizzazione, l’altra è quella di matrice terroristica.
Data la portata strategica dell’Egitto c’è chiaramente tutto l’interesse a destabilizzare il precario equilibrio politico egiziano. L’Egitto non piace ad una parte dell’Occidente perché si è schierato con la Russia, con quei Russi che hanno rovinato i piani occidentali di annientamento della Siria. Tutto ciò accentuato dal fatto che l’Egitto sta svolgendo un importante ruolo di riequilibrio positivo, soprattutto nella crisi libica, sostenendo, anche militarmente, il governo laico di Tobruk. Rappresenta, per la stabilizzazione del groviglio libico una soluzione alternativa a quella colonialista bramata dalla Nato, e parzialmente già in atto.
In sordina è ovvio, che l’Egitto costituisce uno degli ultimi freni contro l’ISIS e i creatori e i finanziatori di questa organizzazione lo sanno benissimo, ma purtroppo con l’asservimento dei fatti e con l’aria antiaraba che gira, passa il messaggio che l’Egitto sia una dittatura con una deriva autoritaria e repressiva. Insomma così come cercano di convincerci che l’Iran, la Russia o la Siria siano paesi “pericolosi”.
Perché analoghe critiche non vengono mosse alla Turchia di Erdogan, all’Arabia Saudita o ad Israele, dove le libertà e la dignità umana valgono zero? È talmente evidente che non servirebbe neanche porre la domanda: sono tutti preziosi alleati.
Dall’altra parte si ripete all’infinito la sequela delle efferatezze e dei presunti crimini del “dittatore” Al Sisi con gli inopportuni paragoni con il presidente deposto Morsi. E allora la vicenda diviene strumentale anche ai fini della fratellanza “musulmana”. Ma si trascura il fatto che il regime Morsi è stato a tutti gli effetti un regime integralista e autocratico, che non faceva gli interessi degli egiziani, ma essenzialmente gli interessi del proprio partito politico usando la religione, cosa inaccettabile per una nazione strutturalmente laica.
I Fratelli musulmani hanno provato a realizzare un regime dittatoriale e a restare al potere per sempre, ma non ci sono riusciti. Ad un anno dalla sua elezione Morsi fu deposto e spazzato via, prima ancora che dai militari, da una rivolta di venti milioni di egiziani, dei quali alcuni milioni in piazza Tahrir. Al Sisi è stato portato al potere da moti di massa, ed è stato poi confermato con le elezioni.
Il problema è che chi esprime giudizi e interpretazioni strumentali sull’Egitto, in Egitto non ci è mai stato. Dove erano gli “islamisti”, che oggi si indignano per la morte di Giulio regeni, quando Morsi e i fratelli musulmani arrestavano e torturavano? D’altronde è risaputa la natura ipocrita di tale partito, nemmeno recentemente ci sembra di averli visti protestare contro le persecuzioni perpetrate dal fratello musulmano Erdogan nei confronti degli accademici.
Ma è un’occasione da non perdere per attaccare il governo di al-Sisi e demonizzarlo. La mazzata è arrivata sistematica ad una nazione ricca di gas e libera da condizionamenti esterni e soprattutto, come storicamente è sempre stato, riferimento politico ed economico per gli Stati e per l’intera regione. Con enorme dispetto degli Stati Uniti, di Israele e dei loro vassalli sauditi, turchi e del Golfo.
In un anno di presidenza Sisi è stato realizzato prodigiosamente il raddoppio del Canale di Suez e con la scoperta, per il partner ENI, del più vasto giacimento di gas del Mediterraneo, l’Egitto diventa la prima potenza energetica che si affacci sul questo mare.
Il fatto che Regeni scrivesse presumibilmente per il “manifesto” e soprattutto che lo facesse sotto pseudonimo, sembra essere l’unica prova della colpevolezza del Sisi, senza considerare tutti gli altri, che dal Cairo criticano, insultano o attaccano con grande veemenza il governo Al Sisi, in prima linea i Fratelli Musulmani, o la tv Al Jazira, per non parlare dei corrispondenti del New York Times, del Guardian e tanti altri che firmano con nome e cognome. E gli egiziani popolo incontenibile che dalle canzoni alle barzellette alle conversazioni ai caffè non tralasciano nulla.
Una cosa è certa le conclusioni avventate e precipitose su quanto accaduto al Cairo, le certezze incrollabili fin dalle prime ore della notizia del ritrovamento, dovrebbero destare forti dubbi. Ora è chiaro che la vicenda è stata utilizzata per tentare di mettere nell’angolo al Sisi, il “colpevole” senza presunto.
Category: Cronaca