DIARIO DI SANREMO / 6 / UNA MARATONA DA STADIO

| 14 Febbraio 2016 | 0 Comments

(g.p.)______E allora?

Inizia la serata finale con una compiuta e perfetta, finanche irritante, multi citazione – tributo a Maria De Filippi, ad Antonella Clerici e allo stesso Carlo Conti. C’è la suspense, va beh, si fa per dire, sul risultato del televoto ( a proposito, sarebbe bello scoprire chi hanno arricchito con un euro e passa a botta i tanti che han telefonato in queste sere) che decreta sull’ unico ripescaggio dei cinque esclusi; c’è il collegamento all’ estero con ‘Il volo’ in tour, con sconfinamento nell’ oggi le comiche per il ritorno dell’ audio via satellite; c’è l’ extension alla danza classica; ci sono i migliori anni della nostra vita con il karaoke – e ve l’ avevo detto: chiamiamo Fiorello, rifacciamo il karaoke e non se ne parli più – con Cristina D’ Avena.

Il medley della formula nella serata finale è di Renato Zero, grande protagonista, canzoni a parte, perché regala una apprezzabile citazione pirandelliana, alla unonessunoecentomila, non solo, ma poi ha pure il coraggio nonché l’ intelligenza di esortare i politici a pensare alle cose serie, reintroducendo nelle scuole l’ insegnamento della musica: dalle scuole elementari, fino a tutte le superiori, aggiungiamo noi, perché aver abolito l’ educazione musicale è una vero e proprio, gravissimo misfatto.

E veniamo alle canzoni finaliste: al terzo ascolto, ci sbilanciamo in un giudizio certo ancora giocoforza parziale, però già indicativo, che non esprime, ovviamente, verità assolute, ma solamente, per citare ancora Lugi Pirandello, un piccolissimo frammento di essa.

Francesca Michielin in una canzone scritta da uno svogliato e sbiadito ormai Max Pezzali a me non è piaciuta, perché doveva essere delicata, visto il tema affrontato, quanto profonda, ed è stata solamente delicata.

Debole anche l’ idea canora cantata da Alessio Bernabei in “Noi siamo l’ infinito”.

Immensa con “Cieli immensi” Patty Pravo.

Inguardabile, o meglio, inascoltabile, Clementino, con quel suo rap degenerato e depotenziato in una lagna alla Mario Merola, con tutto il rispetto per il re della sceneggiata.

Bella e dirompente “Infinite volte” di Lorenzo Fragola, un gradino sopra alla pur suggestiva “Nella borsa di una donna” di Noemi che segue sul palcoscenico del teatro Ariston.

“Vincere l’ odio” di Elio e le storie tese, semplicemente da dimenticare.

Fragile Annalisa, più corposa Arisa.

Può piacere solamente a un orecchio allenato e sofisticato “Wake up” di Rocco Hunt. Mediocre il “pezzo” di Dolcenera. Brutto proprio quello di Enrico Ruggeri: va bene che i miracoli accadono solo due volte, ma uno he ha scritto capolavori poetici come “Mare d’inverno” e “Quello che le donne non dicono” può dare di più.

Deborah Jurato e Giovanni Caccamo cantano bene, in un bel duetto di tradizione sanremese, il pezzo di un ispiratissimo Giuliano Sangiorgi.

Di gradevole invenzione sul tema eterno del rapporto padre-figlia la canzone degli Stadio.

Grigio Valerio Scanu in “Finalmente piove”; amara Irene Fornaciari, che del resto conferma come in Italia per fare il Piero Angela bisogna essere il figlio di Piero Angela.

Ore beate.

Si sa che le tre canzoni che si disputeranno il titolo di vincitrice sono quelle di Michielin, Jurato-Caccamo e gli Stadio.

Mentre si riapre e si aspetta il televoto finale, Carlo Conti non sa più quale siparietto da “Libro cuore”( senza offesa a Edmondo De Amicis, naturalmente) inventare, e nessuno sa più quale premio dare pur di tirare tardi.

Finiti e sfiniti, come tutti, pure i ringraziamenti, alla fine dell’ asfissiante maratona televisiva.

Giuseppe Fiorello, uno degli ultimi ospiti, almeno ricorda il dramma della città di Taranto vittima del mostro dell’ Ilva.

Questo, in un’ edizione del festival che vergognosamente si è autocensurata nella satira politica, in ossequio al presidente del consiglio e della sua protetta neo presidente della Rai Monica Maggioni. Una vergogna, ecco, semplicemente questo.

Alla fine, all’ una e trenta, arriva il verdetto: vincono gli Stadio, il che è poi come un premio alla carriera, la consacrazione per una volta di una vita da mediano.

All’ ultimo ascolto, nel cuore della notte, “Un giorno mi dirai” appare valida dal punto di vista musicale, attraente da quello del testo.

Ma perché un uomo non dovrebbe piangere mai? Chi è l’ uomo per eccellenza nella nostra cultura occidentale? Sicuramente Ulisse.

Come racconta Omero, o chi per lui, l’ uomo per antonomasia, il bello e buono per eccellenza, quand’ era prigioniero sull’ isola della ninfa Calipso, per sette lunghi anni, al tramonto andava in riva al mare, pensava a quello che aveva lasciato, ai suoi affetti più cari, a quello che pensava di non poter più rivedere, e piangeva.

 

 

 

 

Category: Cultura

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