DIARIO DI SANREMO / 2 / CI SIAMO ADDORMENTATI UN PO’ TUTTI, COME IL PAPA’ DELLA GHENEA IN ROMANIA
Cattiva la prima. Il sessantaseiesimo festival di Sanremo parte male, noioso, soporifero, come per il papà della Ghenea in Romania, e addirittura indisponente.
Questo al di là delle valutazioni propriamente musicali, sui brani in gara, dei primi dieci così detti big ascoltati, mediamente di un certo livello e comunque superiore alla scarsissime proposte vecchie e nuove delle tante ultime edizioni.
Il limite, proprio nella formula, dilatata all’ impossibile, per ragioni squisitamente televisive, e cioè commerciali, pubblicitarie insomma. Ma soprattutto – e più che un limite, una condanna, addirittura – la formula, esaltata all’ eccesso dalla conduzione artistica e tecnica di Carlo Conti, incentrata sull’ indistinto sistema di commistione fra le televisioni, in questo guazzabuglio pressoché inestricabile, vero e proprio potere unico, fra servizio pubblico ed emittenza privata, di tante facce interscambiabili e sovrapponibili, che diventano una sola, indistinta.
Ecco, Sabrina Ferilli, nella versione proposta dall’ imitatrice comica Virginia Raffaele, proprio tale e quale show, ne può essere il volto più rappresentativo, diviso in una maschera a due pezzi, Rai e Mediaset, sotto l’ egida renziana: insopportabile, con quel suo riproporsi senza motivo, con quel suo eloquio romanesco imposto come se fosse lingua ufficiale, con quei suoi accenni politici del tutto fuori luogo e all’ acqua di rose di Sanremo.
Gli ospiti fissi co-conduttori, poi, completamente sbagliati. Non c’ entravano niente con una manifestazione come Sanremo, e l’ hanno ampiamente dimostrato alla prova dei fatti, contribuendo a ingrigire la serata, la modella romena Madalina Ghenea e l’ attore di fiction Gabriele Garko.
Irritanti poi le varie marchette di questo e quello degli ospiti, venuti – così pareva – a riproporre sé stessi irrimediabilmente invecchiati e le stanche ultime attività, dal disco al film.
Dopo venticinque anni di carriera, per esempio, la prima volta di Aldo, Giovanni e Giacomo è stata uno sconforto senza limiti.
Uniche emozioni, dagli ospiti di questa sera, il medley nazional-popolare di Laura Pausini, con “La solitudine” e “Strani amori”. Poi, su tutte, un capolavoro come la prima “uscita” storica, scritta con Bernie Taupin, di Elton John, “Your song”, e pure l’ altra, eseguita rigorosamente da solo al pianoforte, “Sorry seems to be the hardest word”.
Ma possibile, che non ce ne siano state altre? Un po’ triste, come sono tristi le cose che invecchiamo senza trovare continuità, quelle che hanno tanto passato, poco presente e niente futuro; le rimpatriate fra commilitoni, le cene e gli incontri fra vecchi compagni di scuola.
Dei dieci così detti big, nessuno ha lasciato traccia evidente, almeno al primo ascolto, pur nella certa qualità di fondo di tutti, o quasi. Sono tutte canzoni da risentire.
Niente polemiche, l’ esibizione di Elton John è filata via senza le paventate, e pure forse sperate, da un po’ tutti, esternazioni sulle unioni gay, e sul palco, e meno male, era senza marito e senza figli.
Il dibattito sul tema, già ridotto agli insulti, e alle riesumazioni post e tardo ideologiche patetiche, ne avrebbe avuto il colpo letale. Pericolo scongiurato.
Domani, arridateci Orietta Berti, pure accompagnata da suo marito, l’ Osvaldo, con figli e nipotini al seguito.
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Certo, non si può avere di più. Se l’Italia canora è quella di San Remo siamo messi male. Elton John e Pausini a parte che hanno illuminato il grigio delle altre esecuzioni,eccetto Arisa che ha cantato veramente bene un bel brano melodico e il duo. Morgan, che musicalmente è preparato, non dovrebbe al momento cantare e certo darsi meno arie gli farebbe bene. Ha rappresentato assieme alla Foraciari e Ruggeri il momento più basso della serata. Non mi aspetto oggi niente da Dolcenera ed altri. Spero in PATTI PRAVO, almeno saprà distinguersi.