CARTA CHE VINCE, CARTA CHE PERDE… / IL GIOCO DEL PD

| 13 Gennaio 2016 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo______

A volte, la memoria “storica” aiuta. Certo, è strano come a volte ritornino in mente persone, personaggi ed interpreti di circostanze che sembravano dimenticate. Ma mai niente avviene per caso. Se ho ricordato, il motivo c’è. Io l’ ho trovato, ora ve lo dico: è a proposito delle liti continue, apparenti, ma concrete, almeno a giudicare dalle notizie che si accavallano da più fronti – gli argomenti principali di cui trattiamo in questi mesi: tap, trivelle, xylella, la “chiusura” degli ospedali buon ultimo, decisivi per il futuro del nostro territorio –  all’ interno del Pd, fra esponenti istituzionali l’ un contro l’ altro armati e su posizioni, sempre apparentemente, diciamo così divergenti, per non dire opposte. Almeno, nelle esternazioni  e nelle manifestazioni.

So che è un argomento che vi interessa e che vi sta particolarmente a cuore. Ieri abbiamo messo – per dovere di cronaca – la foto della bandiera del Pd di Gallipoli a difesa dell’ ospedale che il Pd di Bari vuole ridimensionare, icastica rappresentazione del “partito di lotta e di governo” secondo la celebre definizione di quarant’ anni fa, e abbiamo fatto un tale record di visualizzazioni della nostra home page, che mi sono stropicciato gli occhi. A proposito, grazie dell’ attenzione sempre crescente con cui ci seguite e partecipate al nostro giornale: ehi, ci state facendo diventare “importanti”…Grazie, ma lo stiamo facendo tutti insieme, soprattutto voi con le vostre proposte, le vostre riflessioni e i vostri commenti, anche – e meno male – quelli critici.

A lettori tanto partecipi e appassionati, non sfugge la questione, che poi riguarda tutti gli argomenti decisivi che ho ricordato prima: perché lo fanno? perché manifestano contro sè stessi? E che cosa succederà alla fine?

Beh, non lo so. Però una mezza idea ce l’ ho. Non ve la dico, ognuno di voi si è già fatta, o si farà, la sua. Ma è proprio per questo che ho ricordato, un fatto di quarant’ anni fa, appunto, con relativi personaggi ed interpreti. E questo, il fatto che ho ricordato, adesso ve lo racconto.

Siamo nella trepida e  sapida Lecce degli anni Settanta. Al “Palmieri”, dove all’ epoca frequentavo il liceo classico.

I personaggi sono il preside, i professori e lo studente rivoluzionario. Per anni hanno recitato a soggetto. Più o meno il copione si ripeteva sempre uguale. Il preside ci emanava le direttive. I professori – non tutti, certo: ma buona parte sì – ci indottrinavano. Lo studente rivoluzionario ci chiamava a lottare contro le direttive del preside e contestava gli indottrinamenti dei professori, “cinghia di trasmissione dell’ ideologia borghese“, così diceva, me lo ricordo  perfettamente. Sorrido. Ne taccio il nome perché non voglio infierire, sui suoi trascorsi con l’ eskimo addosso, contro la “parcellizzazione” –  ecco, vedete come mi ricordo perfettamente tutto? – del lavoro, contro lo sfruttamento delle multinazionali, contro la guerra imperialista, posizioni incredibili, se paragonate a quelle che ha ora, quantum mutatus ab illo, e sorrido di nuovo: vedete che ho fatto il classico? E vi prego di credermi, tutto quello che sto raccontando è vero.

Bene, quando il preside decideva su qualcosa mediava con le direttive nazionali, ma poi attuava. I professori cominciavano allora gli indottrinamenti dotti sulle varie questioni, talmente pieni di “analisi” (sempre come si diceva allora) ideologiche, che la metà bastava a farti andare in confusione, con distinguo, ipotesi, e, infine, proposte estemporanee, in un guazzabuglio pressoché inestricabile di “soluzioni alternative“. A questo punto, entrava in scena lui, lo studente rivoluzionario: chiamava a raccolta noi studenti, “uniti nella lotta” e occasione dopo occasione, assemblea dopo assemblea, diventava con ciò sempre più leader carismatico, criticando preside, professori e l’ universo mondo.

Poi, alla fine, il preside faceva qualche concessione di maniera, dava qualche aggiustamento di facciata, concedeva qualche spunto insignificante. I professori spiegavano dall’ alto delle  loro cattedre le nuove suggestioni – mai di sostanza, sempre di forma – nel frattempo sopravvenute, con ciò avallandole. Infine, lo studente rivoluzionario esaltava le magnifiche sorti e progressive delle conquiste ottenute con la lotta, cioè le polemiche, le critiche e le opposizioni.

Così, in buona sostanza, per tutto, e per anni.

Risultato? Alla fine, si faceva sempre quello che voleva il preside, cioè il potere. Si capiva sempre quello che dicevano i professori, cioè la cultura. Ma il consenso andava sempre lo stesso allo studente rivoluzionario, che con la sua “opposizione” guadagnava in popolarità .

Vinceva sempre il banco, e vincevano sempre tutti loro, in quel gioco straordinario delle tre carte.

Gli altri, tutti gli altri, noi studenti, perdevamo sempre, perché alla fine, volenti, o nolenti, ci toccava sempre quello che volevano loro.

Beh, io non l’ avevo capito bene, allora, come funzionasse. Cominciai a capirlo solo dopo un bel po’ di tempo. Un giorno, infatti, per vie traverse e fortuite, mi capitò fra le mani un volantino a diffusione interna – cicl. in prop. –  inerente una riunione dell’ allora Pci leccese. Mi stropicciai gli occhi, e quella volta anche altro. Quella sera – si raccomanda la massima partecipazione – c’ era un’ importante riunione degli iscritti della federazione provinciale del Pci leccese per decidere delle prossime iniziative del partito. I nomi dei relatori? Il preside. Qualcuno dei professori di cui ho detto. E lo studente rivoluzionario.

 

 

 

 

 

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Category: Politica

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