XYLELLA – INDAGATI IN 10, MA SUL PATIBOLO C’E’ POSTO PER TUTTI
di Eleonora Ciminiello_____________«Il tempo trascorso vi dà la dimensione della cautela con cui ci siamo mossi». Così il procuratore capo Cataldo Motta, affiancato dall’aggiunto Elsa Valeria Mignone e dal sostituto Roberta Licci, apre la conferenza stampa che ha avuto luogo all’interno dell’edificio della Procura salentina.
I reati contro cui si procede, sono Inquinamento ambientale, per la compromissione e deterioramento della biodiversità anche agraria, Deturpamento delle bellezze naturali, e Diffusione colposa della malattia del disseccamento rapido dell’olivo. «Tutte ipotesi colpose, nelle quali è contestato un aspetto di imprudenza e d’imperizia e comunque di colpa anche generica», conclude Motta.
Ad esser raggiunti dalla notifica 10 volti noti dell’affaire, primo fra tutti il Commissario straordinario per l’emergenza xylella Giuseppe Silletti, 62 anni, autore dei due piani emergenziali, che da lui prendono il nome, contenenti le misure necessarie a fronteggiare la “calamità naturale” costituita dal piccolo batterio e dall’insetto sputacchina, presunto“colpevole” del trasporto da un comune all’altro di xylella. Certo, dopo questa notifica, il Commissario avrà dovuto abbandonare il suo sogno di un Terzo Piano di distruzione degli ulivi, fermato dalla Giustizia appena in tempo.
Il secondo indagato per i reati ascritti, Vito Nicola Savino, 66 anni, docente dell’Università di Bari e direttore del centro ricerca Basile Caramia di Locorotondo. A proposito di Studi e Studiosi non potevano non far capolino fra i “nominati” anche Francesco Nigro, 53 anni, docente di Patologia vegetale presso l’Università di Bari, Donato Bascia, 58 anni, responsabile della sede operativa dell’Istituto per la protezione sostenibile delle Piante del CNR, Maria Saponari, 43 anni, ricercatrice presso il CNR e Franco Valentini, 44 anni, ricercatore presso lo Iam di Valenzano.
Indagati anche i dirigenti ed ex dell’Osservatorio fitosanitario regionale di Bari, da Antonio Guario, 64 anni a Silvio Schito, 59 anni, per continuare con il dirigente del Servizio agricoltura Area politiche per lo sviluppo rurale della Regione Puglia, Giuseppe D’Onghia, 59 anni, e il capo dipartimento delle Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del servizio fitosanitario centrale , Giuseppe Blasi, 54 anni.
Nomi noti quindi, ma chi ha seguito la vicenda avvertirà delle assenze, come quella di chi per primo disse “E se fosse Xylella?”, così come quelle dei volti di tutti coloro i quali, per due lunghissimi anni, ed anche oltre, hanno occupato le pagine dei media, gli schermi televisivi, le piazze e le sale convegni, producendo parole di stima e di vicinanza alla tesi dello sradicamento delle piante, e della necessità di sostituire i patriarchi di Puglia, con “pupetti” d’altra origine, ma altamente redditizi. Sarebbe interessante sapere questi individui cosa pensano ORA.
Il procuratore conferma tutti i dubbi che da tempo il Popolo degli Ulivi, le associazioni come Spazi Popolari, il CSV Salento, Peacelink, i cittadini più responsabili, gli attivisti, i difensori del territorio, proponevano e riproponevano all’attenzione pubblica da tempo. Secondo Cataldo Motta l’abbattimento degli ulivi è inutile, non solo perché non è stato confermato il nesso di causa ed effetto fra disseccamento e xylella, ma anche perché in alcuni ulivi che apparivano sanissimi era presente xylella, in altri disseccati no, come confermano le analisi condotte dai tecnici. «Inoltre – continua Motta – l’eradicazione del batterio (e non dell’ulivo) ha senso solo se (la sua presenza) è recente»: le ricerche degli inquirenti dimostrano come il batterio xylella fastidiosa abbia prodotto nel tempo 9 ceppi a riconferma del fatto che essa è presente almeno da 15 o 20 anni sul territorio. La presenza per tutto questo tempo del batterio in Salento prefigura pertanto l’ipotesi non di emergenza ma di endemicità.
Se il batterio era nel nostro territorio da più tempo, se alcuni alberi disseccati non presentano nemmeno il batterio, qual potrebbe essere la causa di un focolaio individuato nel Gallipolino? Chi è il colpevole di quello che è passato sotto i riflettori come il cimitero degli ulivi?
Ricordo le sperimentazioni Monsanto, il progetto GIPP, probabilmente svoltosi proprio in quei luoghi, ricordo l’uso indiscriminato di pesticidi, erbicidi, insetticidi, che hanno appestato la terra salentina negli ultimi 30 anni, ricordo la mancanza di cura, l’assenza di amore verso l’olivicoltura, divenuta a seguito dei sussidi europei, un introito, senza sforzo, senza il bisogno di dimostrare l’impegno che ci si stava mettendo.
Non si può fare a meno poi di chiedersi PERCHE’? Come è potuto succedere tutto questo? Come è stato possibile che dei ricercatori, degli studiosi esperti, dei tecnici, abbiano sbagliato così? Certo che l’immenso vuoto generato dallo sradicamento degli alberi sarebbe stato visto da alcuni come una manna dal cielo.
Mi vengono in mente a tal proposito le numerosissime pagine scritte dal docente dell’Università degli Studi di Bari, Angelo Godini, il quale, il 9 febbraio 2008 sosteneva in un’intervista a “Il Cannocchiale” che, assieme al professor Francesco Bellomo, era giunto “alla conclusione che la nostra bellissima olivicoltura “tradizionale” non fosse ristrutturabile, e che pertanto occorresse inventare o trovare qualcosa di veramente innovativo per affiancare l’esistente e per consentire all’olivicoltura pugliese di continuare ad essere competitiva nei confronti di quella mediterranea (e non solo mediterranea) nel futuro prossimo venturo”.
Le ragioni che spingono Godini e Bellomo a sostenere la necessità di una ristrutturazione agricola possono essere ricercate, secondo il loro punto di vista, in due elementi essenziali: il consolidamento del libero scambio aperto ai paesi del Mediterraneo del sud , e il paventato taglio dei sussidi da parte dell’UE a tutti i comparti agricoli, olivicoltura compresa, dall’altro. L’apertura dell’area di libero scambio avrebbe prodotto, secondo Godini, un inevitabile scontro fra l’olio d’oliva prodotto a bassissimo costo nelle aree mediorientali, e l’olivicoltura italiana.
È una questione quindi soprattutto di profitto e reddito che, con l’avvento dell’industria agricola a basso costo, sarebbe stato sottratto alle casse delle associazioni di categoria italiane. Le soluzioni di Godini e Bellomo, ai quali si aggiunge a partire dal 2003 anche Salvatore Camposeo, allora collaboratore e membro del gruppo di ricerca di Godini, sono ben enunciate in molteplici pubblicazioni che appaiono su riviste, ma anche come atti di convegno, o addirittura come studi conclusivi pubblicati presso l’Accademia dei Georgofili, di cui questi docenti sono membri. Godini scrive in più occasioni il suo punto di vista: la soluzione migliore sarebbe lasciare pochi terreni ad oliveto di pregio per una produzione di nicchia, e trasformare il resto dei terreni olivetati in superintensivo. I millenari? Rinchiusi in pochi parchi paesaggistici. E come si fa con gli ulivi difesi dalla legge? Le istituzioni dovranno intervenire e fare la loro DOLOROSA SCELTA.
Per risollevare le sorti dell’agricoltura pugliese quindi, Godini e Bellomo, assieme al collaboratore Camposeo hanno una soluzione: l’agricoltura superintensiva promossa e messa in atto in Spagna. Quest’intuizione arriva durante un primo viaggio nel 1999 presso i campi di Agromillora Group, azienda spagnola che a partire dal 1993 ha cominciato a mettere in piedi campi coltivati con olivi a crescita contenuta, a basso costo perché propagati per talea, a entrata in produzione molto precoce, entro il terzo anno di età, a produzione stabilizzata a partire dal 5° anno; le operazioni che vanno dalla messa in dimora sino alla raccolta sono completamente meccanizzate e non necessitano dell’intervento umano.
Dopo il primo viaggio in Spagna per visionare personalmente gli oliveti a superintensivo, i ricercatori baresi decidono di avviare una sperimentazione in Italia, la prima nel 2001 in un campo a Cerignola, in provincia di Foggia, la seconda nel 2002 a Cassano delle Murge e la terza nel 2006, presso l’Azienda didattico-sperimentale “P.Martucci” dell’Università di Bari Aldo Moro in agro di Valenzano. A seguito di queste sperimentazioni, considerate un successo dai ricercatori baresi, Camposeo, in nome e per conto dell’Università di Bari, stipula un contratto con Agrimillora Group SL (la più importante azienda vivaistica mondiale nella produzione di fruttiferi, vite e olivo) al fine di individuare un gruppo di selezioni pre-commerciali ottenute, preferibilmente, mediante l’incrocio diretto tra le cultivar Arbosana e Leccino.
Il contratto ha come obbiettivo primario quello di Valutare, Brevettare e Commercializzare nuove Selezioni di Olivo a Bassa Vigoria. L’Università di Bari, dalla nuova varietà creata guadagnerebbe il 70% delle royalty sul fatturato annuo, oltre a possedere, ovviamente, il 50% della proprietà del brevetto o dei brevetti.
La prima bozza d’accordo viene stipulata fra l’Università ed Agromillora il 19 dicembre 2012, ripresa il 29 maggio 2013 in cui curiosamente si scrive “Il Presidente, inoltre e per motivi di urgenza pone in approvazione il verbale”, sino a giungere al contratto vero e proprio che è sottoscritto il 22 ottobre 2013. Il 29 ottobre 2013 entra in scena in Puglia ufficialmente Xylella Fastidiosa con la Delibera della giunta regionale 2023 che si attiva per mettere in atto “Misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e la eradicazione del batterio da quarantena Xylella fastidiosa associato al “Complesso del disseccamento rapido dell’olivo”.
Da qui comincia tutta una vicenda, intricata, complessa e combattuta che oggi spinge a riflettere anche su storie come questa, che lasciano l’amaro in bocca soprattutto in chi alle coincidenze ha smesso di credere ormai da un pezzo.
Per alcuni oggi è tempo di riflettere ma anche di tirare un sospiro di sollievo, per altri, di rivedere la propria vita e le conseguenze delle proprie azioni ed attendere il giudizio implacabile della Legge.
Category: Costume e società, Cronaca, Politica, reportage
Ma è mai possibile che nessuno ma proprio nessuno nelle alte sfere, abbia avuto il benchè minimo dubbio sullo scempio che si stava facendo? Che cosa legava queste persone ad avere un “pensiero unico” a proposito di Xilella? Qual è il “cemento” che ha tenuto unite tutte queste opinioni e prese di posizione rivelatesi come minimo “infondate”?
Poi ci si chiede perché la gente non ha fiducia nelle istituzioni.
A distanza di anni questo articolo si conferma carta straccia. Complottismo da quattro soldi smentito dalla storia e dalle cronache giudiziarie.