A QUARANTA ANNI DALLA MORTE. FU A LECCE L’ ULTIMO DISCORSO IN PUBBLICO DI PIER PAOLO PASOLINI / QUELL’ INCONTRO DECISIVO CHE MI HA CAMBIATO LA VITA
di Giuseppe Puppo______
Tutto nella nostra vita comincia con un incontro. Molti sono importanti, perché ci aprono nuove prospettive e ci danno le conoscenze necessarie per intraprenderle.
Pochissimi, rari a tal punto da diventare una fortuna quando avvengono, sono però quelli capaci di cambiare l’ esistenza. Sono questi gli incontri decisivi.
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L’ incontro con Pier Paolo Pasolini ha cambiato la mia vita.
Avvenne giusto quaranta anni fa, in una mattinata del lento e tiepido autunno salentino.
L’ ho rievocato varie volte in passato, l’ ultima pochi mesi fa, parlando a Grottaglie, dove vive, con Alfredo Traversa, attore e regista teatrale, che lo scorso settembre ha messo in scena, al “Tarentum”, appunto di Taranto, “PPP”, in cui esso rivive, nel finale dello spettacolo, attraverso l’ intensa interpretazione di Maurizio Ciccolella.
Ne scrissi spesso, infatti, negli negli anni Ottanta e Novanta, quando la testimonianza di un Pasolini diverso, come per il suo rapporto con Ezra Pound, dall’ oleografia ufficiale in cui la sinistra lo aveva imbalsamato, faceva scandalo, a tal punto da provocare accesi dibattiti che ancora ricordo. Del resto, Pasolini continua ad essere una spina nel fianco per la cultura di sinistra, quel che ne rimane, così come Ezra Pound continua ad essere una spina nel cuore per la cultura di destra, che, tout court, non c’è più.
Oggi che destra e sinistra sono termini senza più significato attuale, ma mantengono un senso solamente in prospettiva storicistica, è forse per me finalmente possibile una rievocazione non ideologica di questo mio incontro decisivo.
E’ quanto vorrei provare a fare adesso, tralasciando polemiche politiche e omettendo particolari marginali, in occasione del quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini, di cui si sono aperte le celebrazioni, con un grande concorso e con la sempre intensa attenzione che egli è capace di suscitare.
Già, perché egli, a conclusione di un percorso salentino iniziato nelle settimane precedenti, venne a Lecce pochi giorni prima di morire. Parlò al “Palmieri”, dove io frequentavo l’ ultimo anno del classico, ai professori abilitandi e ai rappresentanti di classe.
Non fu la sua ultima apparizione in pubblico. Fu poi a Stoccolma (devo ad Alfredo Traversa, con il quale abbiamo ricostruito date e spostamenti, pur senza riuscire a individuare il giorno esatto) per un evento cinematografico. Ma di sicuro quello al “Palmieri” di Lecce fu il suo ultimo discorso pubblico, poco prima di tornare a Roma e andare incontro al suo tragico destino, che, credo, sia pur inconsciamente, quale un martirio, egli stesse cercando.
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Ripensare il passato è sempre un esercizio meritorio: per quanto a volte possa scendere un velo di tristezza sui bilanci che non quadrano mai, consente di aguzzare l’ingegno, storicizzare le esperienze, sperimentare la maturità che nel frattempo dovrebbe essere sopravvenuta. Un esercizio che andrebbe sempre fatto a occhi asciutti e non abbagliati, nell’ ottica del futuro, anche se:
“Piange ciò che ha fine e ricomincia…
Piange ciò che muta,
anche per farsi migliore.
La luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci:
è qui, che brucia
in ogni nostro atto quotidiano,
angoscia anche nella fiducia
che ci dà vita”.
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Pasolini aspettò pazientemente che nell’ aula, riempitasi al massimo, tutti riuscissero a trovare una qualche sistemazione.
Il viso scarno, aveva addosso un paio di jeans, una camicia di flanella a quadroni e stivaletti ai piedi.
Cominciò a parlare convinto e convincente, riprendendo e sviluppando, in una sorta di fresco riepilogo, molti spunti delle sue clamorose polemiche.
Se la prese con Mike Bongiorno e con la televisione, denunciandone l’ omologazione e l’ asservimento prodotti.
Approfondì la tematica del linguaggio nazionale, specificatamente la tesi della lingua che ci farebbe uguali, da lui confutata, naturalmente.
Lo stesso preciso argomento della traccia del tema, mutuata da don Lorenzo Milani, che sarebbe poi uscita all’ esame di maturità di quell’ anno.
Tratto pure dell’ educazione didattica, della scuola, ovviamente, ma poi pure, lungo, dei dialetti.
Dalle conversazioni pasoliniane a Lecce fu poi tratto il “Vulgar eloquio”, un’ opera pasoliniana che, per quanto minore, rimane un fondamentale trattato di linguistica sull’ uso e sul ruolo del dialetto nella società moderna.
Parlando di Ezra Pound, che chiamò “maestro”, sul quale io lo invitai a pronunciarsi, sapendo dei suoi trascorsi, sostenne (nel clima parossisticamente ideologizzato di quegli anni!) che la così detta “cultura di destra” possedeva autori e tematiche che non era possibile continuare a ignorare, mentre bisognava analizzarla e accettarne i valori positivi.
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Pasolini mi ha trasmesso un amore incondizionato per la cultura, nei suoi valori fondanti, senza schemi ideologici, senza fanatismi, senza pregiudizi, partendo da un momento come allora in cui tutto era schematizzato ed ideologizzato.
Poi, certo, ho dovuto aspettare decenni, come è successo solo da poco, e in pochi, e faticosamente, per cominciare a vedere anche in altri come sia possibile e quanto sia giusto “andare oltre” la destra e la sinistra e aprirsi a “idee” per il futuro, non a idee per il passato.
Se devo dirla tutta, ho visto, e finalmente, tutto ciò, attuato, solamente da tquattro anni, nel Movimento 5 Stelle.
Per i “grillini” di allora, i radicali di Pannella, del resto Pasolini aveva già scritto l’ intervento che avrebbe dovuto tenere al loro congresso, al quale era stato invitato, e che invece, dati gli eventi, fu letto postumo, ma cui fece cenno già nel discorso al “Palmieri” e da cui io trassi l’ altro grande insegnamento pasoliniano, sul compito egli intellettuali.
Una lezione validissima cui ho cercato sempre di ispirarmi e di cui mi piace riportare per esteso le conclusioni, perché, in epoca renziana, le trovo di una validità, anche in questo, come per tanti altri versi delle sue lucide analisi profetiche, sconvolgente:
“So che sto dicendo delle cose gravissime. D’altra parte era inevitabile. Se no cosa sarei venuto a fare qui? Io vi prospetto – in un momento di giusta euforia della sinistra – quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita.
Il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili.
Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera. Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili.
Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare”.
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Infine, sul tema, voglio levarmi qualche sassolino dalla scarpa.
Negli anni scorsi, ritornato a Lecce, sono andato in qualche occasione a parlare con gli assessori alla cultura di Provincia e Comune, alla quale e al quale presentai pure un progettino teatrale, sull’ ultimo discorso in pubblico di Pasolini a Lecce.
L’ ho fatto, sarà bene specificare, non per motivi personali, perché non avevo e non ho niente da chiedere (le mie opere sono state rappresentate in decine di alte posti), ma per amore della mia città.
Io credo che essi non solo non conoscessero l’ episodio, che ci sta; non solo che non ne abbiamo capito l’ opportunità, che ci può stare; ma che pure sulla figura e l’ importanza stessa di Pasolini avessero, diciamo così, idee abbastanza vaghe.
Naturalmente, non mi hanno dato risposta alcuna.
Per scrupolo, sono andato pure, tanto per, dalla preside, anzi, dalla dirigente scolastica, come si chiama adesso, attuale, del “Palmieri”, ottenendo lo stesso sconfortante esito.
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Come è noto, Pier Paolo Pasolini fu anche a Matera, dove, nel lontano 1964, girò “Il Vangelo secondo Matteo”.
Da allora, a Matera celebrano e direi quasi venerano Pier Paolo Pasolini, e per il presente e il futuro, non per il passato, tanto da aver saputo attualizzare questa circostanza storica in termini di attualità.
Credo che anche tutto ciò possa contribuire a far capire perché Matera è diventata a pieni voti capitale europea della cultura, mentre Lecce è arrivata ultima, a zero voti.
Category: Cultura
Gentilissimo dr. Puppo,
scrivo a rettifica di quanto dice a proposito del Liceo Palmieri, di cui sarò onorata di averla ospite.
Non solo il quarantennale di Pasolini non passerà inosservato, ma l’intero anno sarà dedicato a una serie di eventi in suo onore, a partire dal prossimo 6 novembre.
Ne troverà informazione sui giornali, sempre che ne daranno spazio.
La prego di contattarmi, se vorrà partecipare: sono Veronica Mele, la docente referente dell’organizzazione.
Mi è molto dispiaciuto leggere del suo intervento, a fronte dell’enorme dispendio di energie da parte di tutti quanti ci stanno lavorando.
Spero di poterla presto conoscere.