VENTI ANNI DOPO, LA SUA MORTE OGGI E’ DIVENTATA LEGALE / IL DESTINO COSI’ FRAGILE, COSI’ VIOLENTO DI YLENIA CARRISI
di Giuseppe Puppo______La notizia è di oggi, perché oggi l’hanno battuta le agenzie, ma risale al primo dicembre: il tribunale di Brindisi, espletate la prassi legale di rito e tutti gli adempimenti burocratici, ha decretato la morte presunta di Ylenia Maria Sole Carrisi, la figlia di Al Bano e di Romina Power, scomparsa a New Orleans, negli Stati Uniti, il 31 dicembre del 1994, all’età di 24 anni, in circostanze mai del tutto completamente chiarite.
In questo modo finisce – almeno dal punto di vista giuridico, perché questa sentenza vale come l’affermazione di un vero decesso – un caso che ha appassionato un po’ tutti, senza che nessuno ne sia mai venuto a capo, e che per tanti versi rimane ancora avvolto nel mistero.
Ci sono ferite che non si rimarginano, perché ogni volta, per una ragione o per l’altra, si riaprono dolorosamente.
Vent’anni dopo, come il primo giorno, anche perché non c’è una tomba, non c’è un colpevole, e non c’è una spiegazione plausibile.
Le inchieste svolte all’epoca dagli Americani fanno acqua da tutte le parti, e non sono riuscite ad andare a fondo della questione, sfiorando, ma soltanto sfiorando, responsabilità che pure in un caso come questo devono comunque esserci e tanto meno fornendo una ricostruzione attendibile, in particolare sul ruolo avuto nella vicenda da un maturo musicista di strada, a metà fra l’incantatore di serpenti e il filosofo esistenzialista all’acqua di rose.
L’unico testimone di qualcosa di quella notte maledetta sulle rive del Mississippi, il guardiano del locale acquario, ha affermato di aver visto una figura femminile, da lui ritenuta a posteriori compatibile con Ylenia, lasciarsi scivolare in acqua, senza però fornire certezza alcuna, anzi, alimentando i dubbi, sul come e perché abbia speso quelle parole, vista l’ anomalia del mancato ritrovamento del corpo in quel tratto.
Purtroppo, non hanno mai trovato certezza alcuna nemmeno le tante segnalazioni, che periodicamente si susseguono, di Ylenia viva e vegeta, nascosta in un convento, o rinchiusa in una comunità.
In effetti, contro la tesi dell’allontanamento e della sparizione volontaria ostano le motivazione dei profondi legami famigliari, che ragionevolmente impediscono di pensare a una sorte di questo tipo espressamente da lei voluta, senza nemmeno un minimo di comunicazione.
Rimane dunque, oggi che è morta per la legge italiana, una profonda amarezza per il destino di questa ragazza solare come il secondo nome che portava, che a Lecce aveva fatto gli studi e che a Lecce aveva tante amicizie, dalla vicina Cellino San Marco. Poliglotta, colta, ricca di sogni e disprezzatrice dei beni materiali, avida di conoscenza e inquieta quanto basta per volersene andare a scoprire il mondo, fra i villaggi del Sudamerica sulle orme di Bruce Chatwin, o sulle grandi strade piene e i vecchi alberghi trasformati della sua seconda patria americana, appresso a Jack Keruac, per trovare la sua città per cantare.
Una fatalità, un crimine, una leggerezza, non lo sapremo mai, rimarrà forse per sempre il mistero, su un destino che dalla tragicità trova la sua grandezza, e destinato a restare in maniera imperitura in quello che abbiamo imparato a chiamare l’immaginario collettivo. Sappiamo però che di sogni si vive, ma si può anche morire. Di sicuro Ylenia Carrisi è morta inseguendo i suoi sogni, e questo nobilita il suo ricordo, questo segna per sempre la sua grandezza.
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