EZECHIELE LEANDRO, DA “PAZZO” A ECCELLENZA ILLUSTRE DEL TERRITORIO

| 6 Dicembre 2014 | 0 Comments

di Valerio Melcore______Chi come noi conosce la storia di Ezechiele Leandro ben comprende il titolo dell’articolo. Aveva dipinto per decenni, o come dicevano i suoi compaesani, “nquacchiatu”, i muri della sua casa, i pezzi di compensato e di cartone che trovava tra i rifiuti, oppure dava forma “alli pupazzi”, ossia alle sue sculture  impastando cemento con il quale teneva insieme rifiuti di ogni genere trovati in giro per il paese. 
Pietre, barattoli, pezzi di bicicletta e qualsiasi altro oggetto che trovava per strada, erano i materiali con i quali dava concretezza alle forme che la sua fantasia gli suggeriva.

Ezechiele “lu pacciu” così veniva definito nella sua comunità, ma senza cattiveria, con la bonarietà con la quale una volta la comunità si teneva unita anche salvaguardando in qualche modo quei cittadini  più fragili, e con quell’aggettivo “lu pacciu” – il pazzo – venivano messi al riparo dalla reazione di qualche forestiero che poteva incappare in questi strani personaggi, magari fraintendendo qualche loro strano comportamento.
I lavori di Leandro non li si poteva non vedere, erano per così dire, esposti permanentemente a San Cesario, sui muri, sul prospetto della sua casa, le sue sculture erano presenti sul muretto di cinta che dava sulla strada, e quando la porta era aperta si intravedevano quelle presenti nel giardino.
Oggi, quelli che parlano bene,  “la casa te lu pacciu” l’hanno chiamata IL SANTUARIO DELLA PAZIENZA, vedete come suona diverso, benedetta forza delle parole.

La prima volta che ho visto i suoi lavori all’interno di una galleria,  fu oltre trent’anni fa,  a Lecce presso la Società Operaia posta a due passi da Piazza S.Oronzo, sul via Vittorio Emanuele II, la strada che porta al Duomo.
La mostra gliela aveva organizzata il mio compagno di classe, nonchè di battaglie giovanili,  Giovanni Albanese, che esponeva  i suoi lavori insieme a quelli di Leandro.
Gianni all’epoca viveva ancora a San Cesario, qualche tempo dopo fece una scelta radicale, seguendo i Padri Comboniani anche se da laico. 
A lui chiesi come mai una mostra insieme a quel “matto”, e lui mi disse che era un uomo particolare che era vissuto ai margini della società, che, come tante persone della sua generazione, non aveva avuto modo di studiare, ma che  a suo modo era un artista, e che avendo avuto in eredità una casa dai genitori, questa era stata trasformata in laboratorio e contemporaneamente in mostra permanente, dove quest’artista naif viveva e lavorava.
 Io gli obiettai che non si poteva parlare di un artista naif, in quanto eravamo in presenza di un uomo che non viveva nella giungla o nel deserto, isolato dal resto del mondo, lui viveva in una società civilizzata con la quale in qualche modo interagiva, e dalla quale era condizionato, e che se anche non era una persona colta era comunque un uomo che vedeva quanto gli accadeva intorno, che entrava in contatto con la società moderna attraverso riviste, immagini, disegni, anche se raccattati tra i rifiuti.
Il mio amico replicò, lo ascoltai con molta attenzione, ma più per l’affetto e per la stima che nutrivo per lui, e per il rispetto che si deve alle persone più fragili, che non per le argomentazioni portate.

Gianni volle farmelo conoscere, me lo presentò, gli domandai cosa significassero quelle immagini stilizzate,  e lui mi rispose indicandomi delle immagini indistinte rappresentate nel dipinto: “quiddhi suntu li cristiani te San cesariu ca ni minanu te mangiare allu puercu, e lu pUercu suntu ieu”.
Era una persona anziana, mite, che parlava a bassa voce, io ero molto imbarazzato per quanto mi aveva appena detto, lo ringraziai salutai Gianni e andai via. 
Non l’ho più incontrato ma di lui ho avuto molte volte avuto modo di parlare, con lo stesso Gianni, con il nipote di Leandro e con i tanti amici di San Cesario.
Ancora oggi che sento uomini del mondo della cultura e delle istituzioni salentine, parlare dell’arte di Leandro non so cosa pensare: un uomo, un artista, per quanto primitivo che avesse un progetto? o una persona dall’animo semplice che impastava e colava cemento come un bimbo fa con la sabbia sulla spiaggia? Certo è, che non riesco a togliermi dalla mente, un altro personaggio altrettanto eccentrico che viveva a Merine.

La sua casa era decorata grosso modo come quella di Leadro, e quando bambino mio zio insieme ai cuginetti ci portava al mare di San Foca, io gli chiedevo di fermarsi un attimo davanti a quella casa che tanto mi affascinava. Mio zio rallentava, guardava il mio sguardo di bimbo stupefatto, e mi diceva:” ci sape se su pacci iddhi, oppuru simi paccia nui ca fuscimu tutta la semana cu putimi scire a mare la tumineca”, ossia ” chi lo sa se sono pazzi loro, o invece siamo noi i folli che corriamo tutti i giorni per poter andare al mare la domenica”.
E la domanda oggi risulta ancora più attuale.
Sono pazzi coloro, il cui animo semplice li porta  a rifugiarsi entro nicchie lontani dalla modernità, rappresentando i moti dell’animo, che seguono il loro sentire più profondo, esprimendosi come più e meglio riescono, o noi che siamo costretti a correre, ad affannarci all’interno di una società che si definisce civile, alla ricerca di un benessere economico, che difficilmente potrà essere anche benessere dell’animo.
Il pazzo di Merine, morì piuttosto giovane,  se fosse vissuto sin in età avanzata, magari oggi saremmo qui a ricordarlo con un mostra.

Ed ecco il comunicato stampa.

Sarà inaugurata il 12 dicembre alle 18.30 presso il MUST, museo storico della città di Lecce, la mostra-omaggio a Ezechiele Leandro, con 18 dipinti, 3 sculture e 12 fogli manoscritti, tutte opere provenienti da una collezione privata. In tale occasione sarà presentato il catalogo della mostra, con testi di Toti Carpentieri e Renzo Margonari e una biografia a firma di Antonio Benegiano e Ambra Biscuso.

Ezechiele Leandro. I denti del leone, questo il titolo della nuova mostra del MUST, il Museo Storico della Città di Lecce, che vede insieme il Comune del capoluogo salentino e il Comune di San Cesario di Lecce, e che ci accompagnerà nel passaggio dal 2014 al 2015, in continuità con quanto proposto sino ad ora nell’ambito di “MUSTINART. Generazioni a confronto”, il format che identifica l’attività espositiva dell’Istituzione museale leccese sin dalle tre mostre iniziali, quelle che costituivano la proposta di “Lavori in corso. Corpo 1”. E sempre con il chiaro proposito di “valorizzare l’identità culturale del Salento (i territori di Lecce, Brindisi e Taranto), sviluppando da un lato la conoscenza e la fruizione dei beni monumentali cittadini nella rete del SAC – Sistema Ambientale Culturale di cui il MUST Museo Storico Cittadino è il fulcro centrale, dall’altra, offrendo, attraverso un’attenzione all’arte contemporanea, un riconoscimento alle ‘eccellenze’ indigene valorizzando i talenti e stimolando il sorgerne di nuovi tra i giovani”, come abbiamo avuto più volte occasione di rammentare e di ribadire.

Ma questa mostra, a quasi centodieci anni dalla nascita dell’artista salentino, vuole innanzi tutto confermare il suo essere, ben oltre ogni altra e possibile definizione, un “primitivo”; come ben evidenziano la semplificazione formale delle sue opere e l’assenza in esse dei soggetti narrativi, in una sorta di espansione del concetto d’arte e nel proposito manifesto ed esercitato di riconquistare la libertà primigenia. Ma, ancor più, vuole confermare il suo status di artista totale, con quel suo muoversi dalla ricca e particolare produzione pittorica alla scultura anche ambientale (l’assoluta unicità del “Santuario della Pazienza”, finalmente vincolato dal Ministero dei Beni Culturali”) alla letterarietà dei tanti suoi scritti (i denti del titolo della mostra sono, appunto, questi tre aspetti espressivi), tra significati pedagogici, etici e simbolici, oltre estetici.

 

“Ed eccoci, ora, alla ri/affermazione di quel suo voler essere primitivo e originale, concetti questi, più volte precisati e difesi, che lo rappresentavano e che lo rappresentano. Ieri, ma ancor più OGGI, nel momento in cui sarebbe opportuno, in linea con il suo pensiero, porsi dinanzi alla realtà avvalendosi di una sorta di necessario e doveroso filtro morale, guardando al bene e al male, e al conflitto tra i due termini e le due contemporanee modalità del vivere. Evidenziando il senso dell’inquietudine e della sofferenza umana, nell’evidente elogio del brutto, della reificazione dello scarto e dell’esaltazione dell’oggetto (ben oltre dada e Schwitters e in una precisa anticipazione della trash art), scoprendo con grande forza espressiva i mostri dei suoi sogni. Bestiari moderni di un visionario che non è contro, ma fuori da ogni regola. Libertario e moralista, quindi ma ancor prima uomo senza maestri, profeta, primitivo e rupestre”. (Dal catalogo della mostra).

“La mostra – secondo Toti Carpentieri – è finalizzata a far comprendere come Leandro non sia un naif ma un primitivo, e come alla base del suo lavoro ci sia inequivocabilmente un progetto”.

 

 

Category: Cultura

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