SALOTTI BUONI, LOGGE MASSONICHE E MANCANZA DI OPPOSIZIONE / SOPRAVVIVERA’ LA CITTA’ DI LECCE AL 2019?
di Giuseppe Puppo______Il recente insuccesso nella “gara” per diventare capitale europea della cultura nel 2019, col contentino di essere nell’anno che sta per arrivare, sia pure in comproprietà, capitale italiana, non ha sviluppato quella riflessione che sarebbe stata doverosa, oltreché utilissima, sul destino di questa città, fra realtà e prospettive: non si è andati oltre sterili polemiche politiche, rilievi tecnici e amministrativi, e la pur giustissima richiesta di trasparenza e correttezza nella rendicontazione.
E’ mancata del tutto non tanto l’autocritica dei responsabili, quanto un’analisi organica e profonda su quello che siamo stati e siamo diventati, e su quello che dovremmo e potremmo diventare, se riuscissimo ad indicare, quanto meno, se non ad aprire concretamente, nuove strade indispensabili per l’immediato futuro.
Un esercizio di analisi in uno sforzo di sintesi in tal senso pare quindi prezioso.
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L’operazione “Lecce 2019” è stata gestita a uso e consumo di quel “blocco di potere” che in maniera occulta comanda in città a proprio uso e consumo. Sono i salotti bene, le logge massoniche, i politici di lungo corso, i signori delle mille preferenze, i costruttori cementificatori, i professionisti integrati e funzionali al sistema. Un sistema chiuso, in cui si entra per cooptazione, o per lessico famigliare, che solo così si auto-rigenera e si perpetua da decenni.
Ecco perché ha fallito: perché non ha coinvolto gli intellettuali, gli artisti, le energie creative superstiti, rimanendo fermo nelle proprie logiche che con la cultura, quella vera, non quella delle sagre paesane, non quella dei mister chef abbinati, ha ben poco a che spartire.
Lo stesso vale per “il brand Salento”, che ha le stese caratteristiche, tanto che non è riuscito ad andare oltre la convegnistica occasionale, o l’abbuffata agostiana, ottenuta per di più sollecitando il turismo più effimero, futile e becero.
Peggio, non c’è nei fatti la minima cura del territorio, a parole tanto osannato, ma in pratica lasciato in balia delle speculazioni, delle discariche a cielo aperto, delle cementificazioni e delle centrali vecchie e nuove, di cui la Tap a San Foca, fra il carbone di Cerano e l’acciaio di Taranto, costituisce l’apoteosi della distruzione, di quello che ancora rimane.
La modernizzazione degli ultimi anni ha portato una crescita infelice, ad esclusivo vantaggio del sistema di cui si diceva prima, a suo uso e consumo, per cui i profitti di pochi privilegiati crescono, e tutti gli altri, verso cui il divario si allunga a dismisura, rimangono dove sono, alla faccia del bene comune, in una posizione di marginalità e di esclusione evidente.
La città dei salotti buoni, da un lato, e quella del ceto medio, una volta pieno di decoro e di valori, che adesso non c’è più, scivolato come è oltre le soglie della precarietà, se non della vera e propria povertà, dall’altro, con i pensionati, i precari, i sottopagati e sfruttati, e i disoccupati che crescono in maniera esponenziale, quelli che il lavoro non ce l’hanno e anzi nemmeno lo cercano più.
Per il resto, ha stravolto l’identità, e ha lasciato tutti i problemi di prima, ancora più aggravati, perché la modernizzazione andava governata, e valorizzata nel solco della tradizione.
Per fare un esempio. Che cosa è la malattia misteriosa dei nostri ulivi, che i nostri politici vorrebbero, anzi, stanno risolvendo, ammazzando gli ammalati in un genocidio di massa, se non il prodotto di un’ agricoltura che ha abbandonato secolari e salutari metodi di coltura, per abusare di prodotti chimici venduti dalle multinazionali?
Per fare due altri, dalla coltura alla cultura. Al leccese più prestigioso al mondo, ad un artista del calibro di Carmelo Bene, abbiamo dedicato una piazza che tutti continuano a chiamare”ex Foro Boario” e per il resto ce ne siamo completamente dimenticati, mentre abbiamo adottato un oscuro regista turco, che ha trasposto le proprie fissazioni in due film in cui la città appare retrograda, pettegola e provinciale, roba al cui confronto finanche una fiction sgangherata come il giudice Mastrangelo appare un capolavoro cinematografico.
Nessun docente dell’università, che vanta eccellenze accademiche riconosciute solamente altrove, è stato coinvolto a livello decisionale nell’operazione della casta di politica ed affari che ha gestito “Lecce 2019” (un nome per tutti quelli che avrebbero meritato: un uomo di straordinario valore, abbinato a una profonda umanità, come il preside della facoltà di lettere Rosario Coluccia, accademico della Crusca) mentre abbiamo chiamato a guidarla un incantatore di serpenti che sarebbe andato bene per una convention di Mediaset, per di più regalandogli 112.000 euro, che ancora gridano vendetta.
Non sono elementi occasionali, sono conseguenze inevitabili, per chi e come gestisce Lecce così e si sceglie testimonial simili alla sua sostanza, alla Fabio e Mingo, e non è una boutade, proprio il Mingo della straordinaria carriera accademica che tutti conoscono è diventato l’altro artefice della comunicazione istituzionale del comune di Lecce, con buona pace di tutti gli altri, da Quinto Ennio, a Tito Schipa.
In compenso, continuiamo imperterriti a fare mingate: come quella di conferire l’incarico di vagliare e organizzare i progetti culturali prossimi venturi a un prestigioso intellettuale quale il topo – manager della società partecipata che si occupa di smaltimento dei rifiuti urbani, e, per i miei amici non di qui, giuro che non è una boutade, non si tratta di una barzelletta, ma è la semplice verità, purtroppo.
Poi dice che uno si getta a Matera…
Continuiamo a fare battaglie di retroguardia, come cercare di far riconoscere il barocco patrimonio dell’Unesco, un’operazione cui ci accingiamo con cinquant’anni di ritardo, quando avrebbe avuto un senso, mentre non ne ha più nessuno ora, che l’Unesco ha riconosciuto patrimonio dell’umanità praticamente tutto il riconoscibile, invece di cercare il progettare e costruire il futuro.
L’altra verità è che questi la cultura non la amano, se ne vogliono solamente servire, come di tutto il resto, per la visibilità, per la notorietà, per qualche conferenza – stampa in più, per qualche video promozionale da aggiungere, per vanagloria: oltre che per prendere e gestire soldi, da far girare all’interno dei salotti bene e delle logge massoniche che detengono il potere a Lecce.
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A complicare la situazione, al sistema, nella nostra città, non esiste un’opposizione. Il M5S, che alle ultime politiche era il più votato, era arrivato troppo tardi per le precedenti comunali. Quando adesso qualcuno dei suoi attivisti va da semplice cittadino in consiglio, per proporre alle commissioni iniziative di partecipazione, viene ignorato nel migliore dei casi, e se si permette di segnalare qualche anomalia, viene redarguito come se fosse un intruso.
Così, chi la fa l’opposizione in consiglio? Il Pd…? Quello che è già all’opposizione di sé stesso e appare schizofrenico, quando, come accade sempre più spesso, critica i provvedimenti presi dai suoi governanti a Roma, che invece nelle correnti interne sostiene organicamente? Chi la fa l’opposizione, a Lecce? Loredana Capone? L’artefice primaria del sistema città-regione, in un tutt’uno organico?
Quel Pd che comunque in anni recenti governò la città, e pure la Provincia, con Salvatore Salvemini e Giovanni Pellegrino, senza lasciarne traccia, senza cioè incidere minimamente nel sistema, di cui viceversa appare organico e funzionale?
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Non dico l’opposizione, comunque la denuncia, il controllo, l’inchiesta d’attualità, dovrebbero farla i giornalisti.
A Lecce i giornalisti sono come Sasà, il capo di Giancarlo Siani, il giovane cronista ucciso dalla camorra, nel film “Fortapasc” di Marco Risi: hanno scelto, un po’ per quieto vivere, molto per dazione ambientale, di fare gli impiegati, non i giornalisti.
Condizionati, è vero, in primis economicamente, poi nella organizzazione del lavoro, in maniera pesante, dai loro editori, senza che ciò li assolva, o li giustifichi: quella “Gazzetta del Mezzogiorno” gloriosa, che, al di là dei mutanti assetti finanziari interni, è da sempre asservita al capo del governo di turno, dai tempi di Francesco Crispi, fino a Matteo Renzi, per raccogliere i vantaggi del potere e veicolarlo fra la classe dirigente regionale; quel “Nuovo quotidiano di Puglia” che risponde a quel formidabile crogiuolo di interessi economico-finanziari del gruppo romano dei Caltagirone.
Per quanto in declino – i quotidiani cartacei oramai li leggono solamente gli over cinquantenni – i giornali leccesi svolgono la funzione di contenere e infiocchettare i pacchi del sistema: ogni tanto, ne aprono uno, quando vuole la dottoressa, accettano l’offerta e ci trovano i soldi.
Purtroppo, da un bel po’, sono già scomparsi del tutto, morti e sepolti, quei settimanali che a Lecce erano nei decenni precedenti l’ossigeno della partecipazione politica e della proposta culturale, oltreché fucina di talenti.
Erano giornali vivaci e propositivi, che ogni settimana alimentavano una polemica a volte feroce, ma sempre costruttiva, seguiti e apprezzati, paradossalmente davvero liberi, nient’affatto costretti nelle gabbie ideologiche, o negli interessi partitici dell’epoca, cui pure si richiamavano: indimenticabili, “la Tribuna del Salento” di Ennio Bonea, e “Voce del Sud” di Ernesto Alvino.
Oggi, che sono morti, se ne sente ancora la mancanza, mentre i quotidiani stanno morendo, e pure le tv non stanno affatto bene.
Le tv a Lecce – parliamo delle principali realtà consolidate – sono poi la cassa di risonanza del sistema.
Comincia il Tg3 della Puglia, che, al di là di qualche utilità di servizio, fa gli spot a Nichi Vendola, come li faceva a Raffaele Fitto, in un gioco di rimbalzi dall’uno all’altro, e agli interessi e agli uomini che li muovono ad essi collegati, ai Papa Nichi, ai Fitto boys, in un’informazione ingessata, istituzionale, baricentrica e oltretutto pure noiosa.
Non va meglio per le altre due televisioni private, Telerama e Telenorba: consapevolmente, o inconsapevolmente, confezionano quotidianamente servigi (nell’irriverente gergo giornalistico, per la verità si chiamano in altro modo: ma non vorrei urtare la suscettibilità di qualcuno diventando volgare) al sindaco, all’assessore, all’ospite di turno, senza criticità, senza raziocinio, seguendo pedissequamente e passivamente le tematiche da essi imposti per proprio tornaconto.
Un sistema di tardo – berlusconismo in salsa salentina, anch’esso sulla via del tramonto: perché i soldi pubblici che lo alimentavano, via organismi regionali a ciò preposti, si stanno riducendo e la concorrenza dei nuovi media fa il resto.
Non è rimasto altro a questi editori sedicenti puri, in realtà attigui e collusi al sistema del potere, che andarsene a cercare altri, che hanno trovato, coerentemente in linea con le battaglie in difesa del territorio che a parole dicono di fare, in quelli elargiti come inserzioni pubblicitarie dal consorzio preposto a costruire il gasdotto della rovina.
Rimangono, rimarrebbero, i quotidiani on line, di cui c’è gran spolvero: ma essi stanno compiendo ancora i primi passi; è vero che saranno l’informazione del prossimo futuro, ma sono ancora troppo deboli, frammentari e “liquidi”per incidere significativamente nella consolidata vita sociale salentina. Sia chiaro, noi di leccecronaca.it inclusi. Al momento, certo, ma questo è: in anticipo di qualche anno, in attesa di modifiche strutturali, sia del mezzo, sia dei costumi.
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Con questo sistema di potere, senza opposizione, Lecce senza controllo e senza governo consapevole e lungimirante ha attraversato le delizie della nel frattempo sopraggiunta globalizzazione.
Ne è uscita stravolta.
Nei suoi abitanti è sopravvenuta una vera e propria modificazione antropologica, proprio fisica, intendo: basta guardare le foto dei leccesi di qualche decennio fa, comparandole all’aspetto di quelli di adesso, per avere un’evidenza dirompente dell’omologazione al ribasso.
Poi, il “core presciatu” ha subito un infarto, la carica di umanità un ictus, la “posa” simpatica un collasso.
Le alterità preziose che rivendicava sono ridotte oramai al lumicino. Della città di cultura abbiamo detto. Della città elegante, c’è traccia solamente nelle ristrette vie del centro, con un’ostentazione e un effluvio dei loghi delle multinazionali uguali a quelli di tutte le altre città del mondo, qui a uso e consumo dei privilegiati autoctoni e di passaggio.
La città pulita, poi, tout court, non esiste proprio più, basta farsi un giro di giorno e di notte per constatarlo.
La bellezza del centro storico è rovinata dai permessi al traffico, finanche nel piazzale di Palazzo dei Celestini, finanche in piazza Sant’Oronzo ci sono sempre e continuamente macchine.
Le periferie sono isolate e degradate.
Le marine versano in uno stato di incuria pauroso.
I processi industriali si sono rivelati, queste sì, un’utopia.
Il degrado pare dunque, per effetto della globalizzazione, dirompente.
La città è precipitata agli ultimi posti, proprio in coda, di tutte le classifiche che con parametri certi e dati scientifici misurano la qualità della vita.
I dati epidemiologici, quelli disponibili solo parzialmente, segnalano una preoccupante anomalia di morti per tumore rispetto alle medie nazionali: vado con i piedi di piombo, dico solo che vorremmo tutti sapere se si tratti di un caso bizzarro, oppure esista una qualche relazione con la centrale a carbone di Cerano, l’Ilva di Taranto, le discariche palesi ed occulte di rifiuti non smaltiti e sostanze tossiche.
Pure lu sule, lu mare e lu ientu ci vogliono levare?
Ogni giorno, una brutta notizia.
Un processo inarrestabile?
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A Lecce i giovani, quei giovani che dovrebbero essere il futuro di questa città, o sono emigrati e rimasti altrove, o lo stanno facendo. Quelli che rimangono, tranne i rampolli delle ristrette elite di potere che abbiamo prima delineato, i ragazzi del popolo, sopravvivono senza speranze.
Ecco, la mancanza di progettualità, l’incapacità di costruire il futuro, la totale assenza di prospettive sono gli elementi che colpiscono e dispiacciono maggiormente.
La piaga della droga, almeno quella così detta “leggera”, a Lecce praticamente e da tempo generalizzata, visto che si fuma tranquillamente dappertutto, con gli effetti di stordirsi e rovinarsi, oltre che alimentare la criminalità, che così si sostiene, si rigenera e si espande, fa il resto, unitamente alla droga legale dell’alcool.
Manca completamente un’opera di informazione, di prevenzione, di speranza.
Così, aspettando le piccole pensioni dei nonni e i magri stipendi dei genitori, in questo perverso meccanismo che fa pur sopravvivere, appena al di sopra della soglia di povertà, condannati alla precarietà del just in time, alla parcellizzazione del lavoro, alla mancanza di occupazione e di possibilità di crearsela, i giovani rimasti a Lecce del declino sono pure la causa, oltre che l’effetto.
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Lecce 2019 capitale europea della cultura non ci sarà, allora. Ma state la situazione che ho cercato di riassumere sulla base di quello che vedo e sento, ora c’è da chiedersi se Lecce stessa ci sarà nel 2019, divenuta data simbolica. Il tempo stringe. Il lustro che avanza prolungherà irrimediabilmente la crisi fino a cancellare l’identità rimasta e negare del tutto la civiltà della città, se non si farà qualcosa per fermare il declino.
Cosa?
Partecipazione, confronto, dialogo, informazione condivisa, rivendicazioni di diritti, non più elemosinati come conquiste, o merce di scambio del consenso, da parte dei cittadini. Ritiro delle deleghe ai politici del sistema, occupazione dei salotti buoni, ribaltamento delle logge massoniche. Progettualità e speranza, nell’ agio di porsi contro per superare il disagio, nella proposta organica, in luogo dell’alibi dell’impossibilità a reagire.
Soltanto se queste dinamiche sociali e culturali si metteranno in atto nei prossimi mesi, nei prossimi anni, allora avremo la città futura.
Category: Costume e società
L’articolo è interessante e stimola la riflessione su pregi e difetti della citta di Lecce (non è tutto oro quello che luccica….)