IL LESSICO POETICO DI NICHI VENDOLA
(g.p.) La politica è passione, è responsabilità, è tensione, tutte cose che a volte fanno perdere la testa. Succede, succede a tutti, figurarsi se non può succedere a un politico, che per giunta fa il presidente di regione, il leader di partito, o di quel che ne rimane, e fa tante altre cose ancora.
Per un vaffa in più o in meno nessuno può scandalizzarsi più di tanto.
Ma quello che è successo in consiglio regionale, con un Nichi Vendola che, sull’orlo di una crisi di nervi, prorompe in epiteti vetro – marxisti e parolacce tradizionali nei confronti di chi contestava il provvedimento in via di approvazione un po’ meraviglia.
Quanto accaduto meraviglia almeno un po’, perché conoscevamo un amante della poesia e poeta egli stesso; un esegeta del buonismo di maniera, del politicamente corretto ostentato formalmente, a mascherare la sostanza dei fatti; e conoscevamo l’immagine naif, ingenua, disincantata, fanciullesca, tardo giovanilistica, che copre i fallimenti della sostanza, e l’ occupazione sistematica del potere, che ha scientificamente attuato, dall’energia, alla cultura.
Nicchi Vendola ha una sfasatura infantile della politica, ridotta ad affabulazione trasognante, tutta giocata sulle capacità straordinarie nella comunicazione e nella costruzione dell’immagine e quindi del consenso, piena di suggestioni, da incantatore di serpenti, che incanta, appunto, grazie alle sue capacità e così facendo fa dimenticare, in codesta versione post comunista del nuovo secolo e del nuovo millennio, i fallimenti di governo, nei fatti concreti che interessano realmente i popoli e le persone.
Aveva.
Perché appunto quanto accaduto gli ha fatto perdere di colpo tutto quanto questo, e segna perciò pure l’inizio, per altri versi già segnato, del viale del tramonto.
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