IL PIZZAIOLO INNAMORATO
Pizza Pop
La missione dell’artigiano innamorato
“Chiuso per amore”: la foto pubblicata pochi giorni fa (https://www.leccecronaca.it/index.php/2014/07/23/storie-di-citta-oggi-chiuso/) è indubbiamente nel suo stile e, la sua essenza, ha fatto venire nella mente di chi scrive un ricordo, meglio, un’intervista realizzata quasi un anno fa. Un racconto su un uomo che ha messo la passione davanti a ogni altra cosa.
Hanno definito le sue ricette “troppo piene” e non poteva essere altrimenti, infatti, lui osa complicare la semplicità della regina dell’essenzialità: la pizza. L’ha rivestita mettendola al servizio di un luogo: Pizza Pop. Sostanzialmente, un palcoscenico: “io sono come un attore e questo è come se fosse il mio spettacolo. Vado in scena ogni sera”, tra pizze, Miles Davis di sottofondo ma a variare, congas, libri animisti e foto di mondi lontani.
Antonio Napolitano non vede la televisione da più di sei anni, ha quarant’anni ed è nato a San Savero, in provincia di Foggia, il paese di Andrea Pazienza che è uno dei suoi miti. All’età di due anni segue la famiglia in Francia, vicino Lione. Il viaggio è il primo di una serie che lo porta, più tardi, a sentirsi cittadino del mondo. Ritornato in Puglia cresce, irrequieto e vivace, incontrando il calcio all’età di sei anni. Un’ala destra veloce e una promessa per tutti. Pochi anni più tardi prova a sfondare con il Foggia di Zeman. L’adolescente si presenta ai provini ma viene cacciato “perché senza accompagnatore”. Il calcio lo delude e lui lo abbandona. Poco più tardi, in una comune sera da adolescente, assiste in villa comunale ad un delitto mafioso e si chiede “cosa ci faccio qua, non aspetto il diploma”. Durante il quarto superiore lascia la scuola e il paese natio, prima però un ultima scoperta: le percussioni. Con loro si trasferisce a Roma per cinque anni, in mezzo un viaggio per ritrovare i ricordi da bambino a Lione, giusto un paio di mesi in cui lavora anche come aiuto cuoco. Tornato nella capitale “con due bottiglie di Pastis Ricard Cinquantuno, il migliore” parte prima per Reggio Emilia dopo per Milano, fa di tutto: “dall’aiuto in cucina fino al volantinaggio con il djembe che mi segue sempre, perché la musica è comunicazione, come il cibo”. Poi è la volta di Bologna dove un amico gli offre un lavoro in un locale fino al Duemilatré, quando vola a San Francisco per partecipare alla marcia della pace e seguire in tour i Linea 77 come addetto alla vendita dei gadget. Di ritorno a Bologna, fingendosi un cuoco esperto di cucina salentina, ottiene un lavoro, il bluff funziona perché le sue ricette piacciono. In estate i proprietari lo invitano a lavorare nel Salento, vive in un trullo, senza luce né acqua, ma conosce il grande amore con cui fa un viaggio in Senegal per suonare e “cucinare per tutti”. Trasferitosi definitivamente a Lecce, nel Duemilaquattro, cambia mestiere e per più di sei anni fa l’artigiano. Costruisce insieme alla compagna “collane di conchiglie che trasudavano amore, perché lo vivevo” solo sporadicamente fa il cuoco fino al Duemilaundici.
L’anno di Pizza Pop: “ho aperto questo posto perché ero innamorato, volevo una famiglia e mettere su radici, come se fosse una missione”. Il posto giusto è un’ex cioccolateria in vendita, di fronte al Convitto Palmieri in via Cairoli, la compra con l’aiuto dei genitori e con qualcosa messa da parte negli anni. Apre una pizzeria, come quella del padre a San Severo, per “la volontà di riscatto e di farmi conoscere non solo come artigiano”. Il logo, ispirato da una copertina di un disco dei Franz Ferdinand, lo crea un’amica di New York che gli suggerisce anche il nome. Il risultato è un’attività di circa cinquanta metri quadri, dall’appeal internazionale come lo è la pizza e l’anima del proprietario. Il risultato è una bottega all’interno della quale vivono sapori e adori che sanno di meticcio e contaminazione. Come la ricetta che va per la maggiore: “con zucchine, patate, crema di meloncello, gamberetti con la scorza di limone e l’olio con menta che glasso in frigo”. Una ricetta all’insegna della mescolanza i cui ingredienti sono piegati dall’intuito e dalla creatività dato che “le ricette sono spudoratamente inventate non per cercare l’originalità ma per puro istinto”. Le sue preferite, invece, sono quelle a base di frutta come la “fichi e prosciutto” oppure, quelle con l’intramontabile essenzialità della “pomodoro semplice”. Un luogo dove l’unico classicismo che rimane intatto è la rotondità della pizza e l’amore verso i prodotti sani e genuini. Il resto è invenzione e cottura elettrica. Come in un atelier dal sapore antico e dal gusto contemporaneo non ci sono aiuti, il proprietario ogni giorno apre, cucina, vende, suona le percussioni per i clienti, pulisce e chiude, finanche dieci ore consecutive. Pizza Pop infatti è aperta dal mercoledì al sabato, dalle diciotto e trenta fino a notte inoltrata, che vuol dire fin quando tutto non è finito. Il segreto, della pizza più contaminata del Salento, è la pasta preparata rigorosamente il giorno prima e poi messa in frigo. Come fosse un mistero, alchemico e gastronomico al tempo stesso, il creatore sostiene di capire che è pronta “quando fa le bolle”. I prezzi sono concorrenziali perché “pop sta anche per popolare” come popolare è diventata anche l’attività su Tripadvisor, attualmente seconda più segnalata dai visitatori. Ma tutto ciò non basta: “Pizza Pop è in vendita già da qualche mese, complici tasse e spese, ma soprattutto ho capito che la famiglia qui non si farà più”. Il grande amore se n’è andato il giorno stesso dell’apertura, due anni or sono e con esso la missione sembra essere tramontata per sempre, ma mai dire mai e una cosa è certa: ciò che la creatura ha donato al suo creatore. Ovvero: “l’opportunità di credere in me stesso, di rinascere quando forse ero morto, mi ha dato un nuovo lavoro e un viaggio alle Canarie dove ho suonato in un gruppo reggae”. In tanti fanno la pizza, certo nessun musicista la vende, in molti la commercializzano in svariati posti del mondo, eppure, Antonio Napolitano pensa che la sua è diversa per due ragioni: “non faccio un Lira e ci metto amore”. (Ciro Masciullo)
Category: Costume e società