LA STRAGE DI ROVETTA COMPIUTA DAI PARTIGIANI – COMMEMORAZIONE

| 25 Maggio 2014 | 0 Comments

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DA WIKIPEDIA.

La resa

 

 

Dalla fine del mese di ottobre del 1943 la 1ª Divisione d’Assalto “M” Tagliamento venne trasferita nel bresciano, in particolare in Val Camonica, con il compito di difesa delle linee di comunicazione della Wehrmacht e di presidio dei cantieri dell’Organizzazione Todt, oltre a essere impiegata in operazioni dirette a contrastare le formazioni partigiane. Data la contiguità territoriale la sua presenza si allargò anche alla bergamasca[1].

 

Il 26 aprile 1945 un gruppo di suoi militi di presidio presso la località Cantoniera della Presolana, comandati dal Sottotenente Roberto Panzanelli, venuti a conoscenza della resa nazifascista attraverso alcune comunicazioni radiofoniche, decisero di abbandonare il presidio per raggiungere Bergamo[2]. Si incamminarono quindi armati lungo la valle, preceduti da una bandiera bianca portata da Alessandro Franceschetti, l’albergatore presso il quale i militi erano alloggiati al Passo della Presolana[3] e giunti a Rovetta decisero di deporre le armi e di consegnarsi al locale Comitato di Liberazione Nazionale. Qui, il loro ufficiale prese accordi con i rappresentanti del CLN locale per ricevere tutte le garanzie quali prigionieri di guerra. In tale occasione il loro ufficiale, Sottotenente Panzanelli, fece sottoscrivere e sottoscrisse un documento a tutela dei prigionieri, a firma sua, del parroco Don Bravi membro del CLN locale, del Maggiore Pacifico ed altri.

 

Questo comitato CLN si era autoproclamato tale, non aveva poteri effettivi e le sue garanzie non avevano alcun valore, cosa che il Panzanelli ignorava. I militi, lasciate le armi, vennero trasferiti nei locali delle scuole elementari del paese in attesa di essere consegnati alle autorità del Regno del Sud o agli eserciti regolari degli Alleati.

 

La fucilazione

 

Il 28 aprile arrivò in paese un gruppo di partigiani composto da appartenenti alla 53ª brigata Garibaldi, alla Brigata Tredici Martiri, alla Brigata Camozzi e alle Fiamme Verdi, che prelevarono i militi dalla scuola e li scortarono presso il cimitero del paese. Durante lo spostamento verso il cimitero uno dei prigionieri, Fernando Caciolo, riuscì a fuggire per poi nascondersi e trovare rifugio nella casa di don Bravi, dove troverà riparo per tre mesi prima di fare ritorno ad Anagni, suo paese d’origine[4]. Il Panzanelli tentò di far valere lo scritto in suo possesso con le garanzie sottoscritte, ma il foglio con le firme gli fu strappato di mano e calpestato. Giunti presso il cimitero vennero organizzati due plotoni d’esecuzione e 43 dei prigionieri, di età compresa dai 15 ai 22 anni, vennero fucilati.

 

Tre di loro furono risparmiati per la loro giovane età[5]. Uno dei militari, il ventenne Giuseppe Mancini, prima di essere ucciso, per ultimo, fu costretto ad assistere alla fucilazione di tutti i suoi camerati, in quanto i partigiani scoprirono essere figlio di Edvige Mussolini, sorella di Benito Mussolini[6].

 

Le responsabilità della strage

La responsabilità del massacro è attribuita a Paolo Poduje detto il Moicano, che in qualità di agente del SOE diede ordine di prelevare i militi dalla scuola di Rovetta e, una volta giunti nei pressi del cimitero, di procedere con la fucilazione. L’identità del Moicano è restata ignota per molti decenni, dalle testimonianze raccolte e dagli atti del processo che seguì ai fatti si evince che venne paracadutato nella zona del Pizzo Formico ai primi di aprile del 1945, con il grado di capitano dell’intelligence inglese ai comandi di Manfred Czernin[7], per prendere poi contatti con le formazioni partigiane della zona, in particolare con la Camozzi (Giustizia e Libertà)[8]. A conferma della tesi che imputa a Paolo Poduje la responsabilità dell’esecuzione sommaria che avvenne a Rovetta, pochi anni fa il Moicano ha ammesso di aver ordinato la fucilazione dei repubblichini.

 

Il processo

 

La Procura della Repubblica di Bergamo aprì nel 1946 un procedimento penale che si concluse nel 1951 con una sentenza che stabilì di non dover procedere contro gli imputati, definendo la fucilazione non un crimine, ma un’azione di guerra poiché ufficialmente l’occupazione nel territorio bergamasco cessò il 1º maggio 1945.
CHI VINCE PUO’ MASSACRARE, “GUAI AI VINTI”.

 

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