GALATINA: ACQATERRA LIVE – Intervista a EMIAN PAGANFOLK
Ascoltare gli EMIAN PaganFolk è come intraprendere un viaggio…
Dalla Cultura dell’area Celtica a quella del Nord Europa passando per Ballate
Medievali e Canti Sciamanici. Arpa e voce di Aianna Egan, percussioni e violino di
Emain Druma e le corde di Rohan rapiscono lo spettatore, anche il più disattento,
come le sirene facevano con i marinai, accompagnandolo su cime innevate, in
boschi incantati e lungo fiordi scandinavi, per ritrovare, infine, nell’io più profondo,
un sentore arcaico e selvaggio che l’uomo ormai ha perso da tempo, il tutto in
perfetta sintonia col Cosmo.
Nonostante il progetto esista da soli 2 anni, gli EMIAN PaganFolk vantano la media
di 60 concerti l’anno tra festival e locali di tutta Italia. A ottobre 2013 vincono il
concorso del Ferrara Buskers Festival nella categoria “Artisti Accreditati”. A Marzo
2014 il trio annuncia la pubblicazione del primo full-length dal titolo
“ACQUATERRA”, che vedrà la luce il mese successivo e al quale seguirà un lungo
tour promozionale in tutta Italia. Nello stesso periodo si unisce alla band il batterista
Máirtín Killian, nuovo membro della band, arricchendo l’impatto live delle loro
performance. Clicca per ascoltare
EMIAN PaganFolk sono:
Aianna Egan: arpa irlandese, voce
Emain Druma: percussioni, violino, flauti, voce
Rohan: basso, bouzouki irlandese, cori
Máirtín Killian: batteria e percussioni, chitarra, cori
EMIAN PAGANFOLK intervista
Entrare nel mondo (musicale e non) di Emian PaganFolk significa addentrarsi in una selva di simboli dai collegamenti ben precisi. Il primo riguarda proprio il nome: cosa significa Emian?
Emian è la fusione dei nomi Emilio e Anna. Per noi e per molte delle persone che ci seguono invece, è diventato un vero e proprio luogo fisico in cui noi stessi viviamo. È una casa, una famiglia, una cerchia di amici e conoscenze, un posto accogliente in cui poter essere parte di un pensiero creativo.
In bella evidenza anche la “qualità” del vostro folk, che definite “pagano”: spiegateci meglio di cosa si tratta.
Il Pagan Folk è un concetto astratto, molto personale. Ciò che noi definiamo “Pagan Folk” è quella tipologia di folk che prende ispirazione dalle antiche tradizioni musicali, nel caso nostro quelle del Nord Europa, delle culture Sciamaniche e delle aree Celtiche, tradizioni appartenenti a popoli e a territori che sostanzialmente venivano definiti Pagani per scelte religiose o etiche, scelte che contemplavano il rispetto e l’amore per la natura e i suoi esseri o degli Dei che allegoricamente rappresentavano ogni evento climatico o comportamento animale o evento personale. Ci ispiriamo a quella parte del mondo che, fondamentalmente, è riuscita a conservare la propria origine Pagana senza metterla all’indice.
Non dimentichiamo che il termine “pagano” è nato come dispregiativo per coloro che vivevano al di fuori delle città “civilizzate”. In un certo senso pagane erano le persone che non volevano mischiarsi alla frenesia e al caos cittadino, che si tenevano lontane dal potere, che volevano mantenere un rapporto sincero con la Natura ed i suoi cicli, curarsi con le erbe, ritualizzare le fasi importanti dell’anno, danzare e fare musica per il proprio villaggio. Il nostro Pagan Folk è vicino a questa scelta di vita e lo vorremmo comunicare attraverso la nostra personale elaborazione del folk.
Siete campani ma guardate all’Europa del nord: quali sono gli elementi delle tradizioni celtiche e scandinave che vi hanno colpito di più? quanto c’è di “mediterraneo” invece nella vostra musica?
Sì, siamo Campani, eccetto Emilio che è Salentino. Sostanzialmente le nostre culture non sono molto diverse dalle culture Pagane del Nord Europa…. Si amano le danze, le feste, la sacralità della musica come componente esorcizzante del malessere personale. Crediamo che la scelta di guardare verso il Nord faccia parte di un flusso di scambio a largo respiro, oseremmo dire che coinvolge il DNA di ogni essere Umano. Le mescolanze tra popoli avvengono da millenni, non si ha più un limite che ci porta a collocare la determinata provenienza di un genere musicale o di un altro. Ad esempio: nella scala musicale delle aree Celtiche ritroviamo la pentatonica dell’Oriente, in quella del Nord Europa c’è il sentore della scala musicale del Sud Italia. I tempi ritmici si somigliano… Questo sarebbe un bel discorso da approfondire durante il nostro percorso personale da musicisti. Le tradizioni Celtiche e Scandinave ci hanno colpito non solo per questo ma anche per le atmosfere che evocano.
Abbiamo in comune il mare, questo grande e antico mezzo di comunicazione che porta novità, vita ma anche guerre e morte. In Salento ci sono scogliere e piane che evocano il paesaggio Irlandese, in Irpinia ci sono fiumi, cascate, boschi di conifere che evocano i paesaggi tipici del Nord. Di mediterraneo c’è la luce, il sole, il magma sanguigno che ci scorre dentro e che è tipico della gente del Sud. Questo è l’elemento in più che vorremmo fosse sempre visibile. E poi ci sono gli strumenti. Emilio ha inserito negli Emian una bella dose di percussioni mediterranee: la darbouka, il bendir, il tamburello Salentino…
Ci sono gruppi o artisti ai quali tenete in modo particolare, che vi influenzano musicalmente o che considerate come “bussole”?
Tutti e quattro veniamo dalla conoscenza della musica tradizionale Irlandese e delle aree Celtiche, il nostro percorso musicale parte principalmente da lì, a parte Anna che ha studiato Arpa classica al Conservatorio di Avellino. Da musicisti aperti non escludiamo nessun genere, accogliamo qualsiasi cosa, dal metal alla musica Classica. Le influenze che abbiamo sono variegate. Abbiamo adottato il termine Pagan Folk grazie a una band Olandese, gli Omnia, che abbiamo conosciuto quasi contemporaneamente prima ancora che esistessero gli Emian, quando ognuno di noi era coinvolto in differenti progetti musicali anche di influenza Celtica. Quando ci siamo conosciuti è stato come un colpo di fulmine! Ci siamo trovati all’unanimità su quale strada volevamo percorrere. Possiamo sicuramente considerare loro come la nostra bussola iniziale.
Una delle cose che maggiormente colpiscono dell’esperienza Emian è la notevole mole di live accumulati in soli due anni: possiamo dire che Emian è principalmente una creatura da concerto?
Più che “creatura da concerto” è “creatura da contatto”. Noi ci sfamiamo e saziamo di live, abbiamo bisogno di suonare per gli altri e con gli altri, di creare un contatto con le persone. Di interagire e lasciare qualcosa, di portare a casa i sorrisi, gli sguardi, le piccole coccole che ci vengono date attraverso i complimenti o i consigli e talvolta attraverso le critiche.
Dalla performance sul palco – o nei luoghi della natura da voi amati e frequentati – alla realizzazione di un disco: è stato un passaggio naturale o entrare in studio ha creato qualche malessere?
Come dicevamo prima, veniamo tutti da vari progetti musicali, nel caso di Danilo e Martino anche attuali, che inevitabilmente hanno portato e portano ad entrare in sala, anche solo per creare una demo di presentazione. Nonostante ciò è sempre emozionante entrare in studio. C’è la paura di perdere il “click nella cuffia”, l’ansia di prestazione, il timore di non spiegarsi bene con il fonico per eventuali effetti o modifiche… alla fine però và sempre tutto per il verso giusto e lavorare a un disco diventa quasi un lavoro artigianale di cura e cesellatura.
Poi ci sono i vari momenti di passaggio: dal trovare i titoli del disco o dei brani, dalla scelta della copertina alle foto da inserire…. Sembra poco ma in queste semplici cose devi racchiudere un’idea, una sensazione, il messaggio che vuoi mandare. Deve diventare un lavoro di squadra e di sincronizzazione mentale. Lavorare in sala è un momento unico.
Acquaterra è un titolo a dir poco evocativo: cosa si cela dietro questa simbologia?
Acquaterra è un concept album in cui abbiamo voluto racchiudere molte cose. Innanzitutto due dei principi creatori dell’Universo, femminili. Un omaggio a ciò che ci ha ispirati a creare Emian: “alla nostra meravigliosa terra e alle sue acque”.
Nel disco ci sono molti suoni naturali: lo scorrere del fiume in Mother’s breath, che al suo interno contiene un’invocazione Pagana alla Natura e il cui video è stato girato proprio sulle sponde di un fiume; il suono del mare in A sailor’s tale, triste storia d’amore che ha per protagonista una donna che parte su una nave lasciando il suo innamorato infelice e solo; ancora il mare in Dúlamán, canzone dedicata ai raccoglitori di alghe d’Irlanda…
Poi ci sono le storie di terra: The last King’s march, brano dall’impronta Sciamanica, un omaggio ai grandi Re che hanno protetto fino alla morte la propria terra. Come il grande Re Irlandese Brian Boru nell’anno 1000 o i Nativi Americani; Dance in circle, un vero e proprio inno alla Terra che danza e si muove, movimento evocato appunto dalla danza a cerchio.
Poi c’è la simbologia dei nostri strumenti che ci ha aiutato nella scelta del titolo. L’arpa da sempre simboleggia l’acqua con il suo suono cristallino e il suo fluire mentre i tamburi evocano il battito della terra, il primo strumento che l’uomo ha saputo ricreare da quando è comparso sulla terra.
La copertina rappresenta il sunto di tutto ciò ma racchiude in sé un elemento in più: la fusione tra la Dea e il Dio, principi femminile e maschile, che hanno creato insieme il Tutto. La Dea adagiata con le sue radici sulla roccia dura, radici che si dipartono dall’albero che, con i suoi rami, rappresenta il Dio Cernunnos.
Gli otto brani sono prevalentemente composti da materiale tradizionale da voi riletto e riarrangiato: come vi siete orientati per la selezione dei pezzi?
Molti dei brani che abbiamo inserito rappresentano un po’ la chiusura di un cerchio, la chiusura di questi primi due anni degli Emian. Molti li conoscevamo perché venivamo da altri progetti in cui li suonavamo, altri ci son stati passati oralmente da amici, come nel caso di Odeno Oro (danza Macedone) o Medieval Drum dance di Joe Matzzie (entrambe fanno parte del set di Dance in circle), altri li abbiamo scelti ascoltando gruppi Irlandesi oppure navigando in rete.
Anche la strumentazione che usate è inconsueta: che tipo di ricerca c’è dietro la scelta degli strumenti?
A prescindere dagli strumenti personali che ognuno di noi ha scelto per vocazione, inseriamo altri strumenti sia per curiosità conoscitiva sia per le loro peculiarità sonore. Per adesso abbiamo inserito vari flauti overtone tipici della Siberia, qualcuno costruito da Emilio in PVC, che venivano utilizzati dai pastori di pecore durante i momenti di riposo; il doppio flauto Campano che richiama gli aulos dell’antica Roma; un jouhikko, strumento musicale della tradizione Scandinava anche questo costruito da Emilio; il bodhràn, tamburo della tradizione folk Irlandese suonato con un battente; la pandereta, altra tipologia di tamburello della tradizione musicale Galiziana; il bouzouki Irlandese, strumento che fa parte della famiglia dei mandolini e che prende origini dal bouzouki greco… è un continuo work in progress e non escludiamo che la nostra voglia di conoscenza ci porterà ad inserire anche altri strumenti come la ghironda.
Cosa vi aspettate da questo album d’esordio?
Cose belle.
Category: Cultura