EASTER PARTY – L’ORSO

| 17 Aprile 2014 | 0 Comments

Domenica 20 aprile (ore 22.00 – ingresso 3 euro, riservato ai soci) ai Laboratori Musicali di Trepuzzi (Le), e non più al Molly Malone di Lecce come annunciato in precedenza, si festeggia Pasqua con il concerto de L’orso in collaborazione con Uasc, Lobello Records e CoolClub.

L’orso è un paesaggio. L’orso è quel paesaggio che attraversi in bicicletta quando dal paese ti dirigi verso la città. L’orso è la storia di quattro ragazzi, cresciuti tra Ivrea e Messina, Milano e Treviso, riuniti sotto il cielo della Grande Città. È il racconto dei loro vissuti che si incontrano nel precariato di un presente condiviso. È la registrazione delle loro insicurezze che sommate si fanno canzoni, diventando L’orso. Alle musiche e ai testi Mattia Barro (chitarra e testi da rapper), Tommaso Spinelli (basso Hofner e revisioni), Gaia D’Arrigo(archi e dolce cuore di mamma), Giulio Scarano (estro ritmico e bellezza olimpionica): quattro ragazzi che fotografano in musica il passaggio all’età adulta. Non fotografano il come eravamo o il come saremo, si soffermano invece su tutti quei momenti che vanno da un punto all’altro, dove c’è l’essenza di una crescita. Misurano la distanza euclidea tra i vent’anni e la maturità – a qualsiasi età arrivi – il segmento grigio che trasforma ognuno di noi.

Cantano del cambiamento nell’attimo in cui accade, piccoli menestrelli del divenire. Raccontano le oltre cento date live fatte fino a questo momento senza parlarne direttamente, dei quasi tre anni passati a stretto contatto l’uno con l’altro, del modo in cui ci si sente mentre si cresce. Perché di questo si tratta e mica è facile da raccontare. Il loro ultimo lavoro è un disco delicato, influenze twee-pop, predominanze acustiche, a volte segnate di melancolia (“Ottobre come settembre”), a volte più serrate (“La meglio gioventù”). Assorbono benissimo la lezione di Kings Of Convenience e di Belle & Sebastian (“Tornando a casa”, centellinando con maestria glockenspiel e banjo, o “James Van Der Beek” a cui aggiungono un rap quando nessuno se lo aspetta), svelano un amore trasversale per i Beirut (“Il tempo passa per noi” su tutte). Subiscono le distanze ma provano comunque a farne tesoro, a superarle auspicando tregue mentre attorno ancora tutti sparano (“Con i chilometri contro”). Si fanno invitare per un tè, per prendersi quattro minuti di calma, per ricordare, per proteggersi, per accordarsi (“Invitami per un tè”). Lanciano “Baci dalla provincia”, guardano la polvere sui dischi e sui libri intrecciando motivetti di fondo a colpi di chitarra (“Acne giovanile”). Dimostrano che si può aver imparato la lezione dei vari cantautori degli anni zero senza scimmiottarne i capostipiti, come in “Certi periodi storici”. Soprattutto, dimostrano di non tremare, fanno incetta di consonanti buone soltanto per l’enigmistica (“I nostri decenni”), perché in fondo il disco de L’orso non è un disco sull’amore, semmai è un disco sull’innamoramento, un mantra che nella ripetizione di un concetto lo costringe ad avverarsi, una sorta di educazione sentimentale, pulsazione continua che cerca un battito regolare. Declinata in musica, ovviamente. Perché i decenni passano, le abitudini cambiano e non puoi star fermo in un angolo ad aspettare che tornino.

Category: Cultura

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