Il disastro di Fukuschima
Le vere conseguenze a quasi due anni di distanza. Catastrofiche. Almeno siano un monito per orientare le scelte future. Chi per anni ha osannato l’energia nucleare come fonte inesauribile e sicura di energia – si parlava addirittura di “nucleare pulito” – dopo il disastro di Fukuschima, si è devuto ricredere. In Italia la nostra classe politica parlava addirittura di “federalismo nucleare”. Volevano costruire una centrale nucleare in ogni regione. Perfino a L’Aquila, poi rasa al suolo dal terremoto. La fetta della torta era troppo grossa per rinunciarvi. Inoltre dal marzo 2011, anno del disastro di Fukuschima, nel silenzio dei nostri media, la centrale non ha smesso di emettere radiazioni letali. E ora il governo giapponese deve ammetterlo. Nessuno sa esattamente in che stato siano i reattori collassati: si teme addirittura una imminente “liquefazione” del suolo. Bonificare Fukushima – ammesso che ci si riesca – richiederà 11 miliardi di dollari. Se tutto va bene, ci vorranno quaranta anni. Perfino la mafia giapponese, la famigerata yakuza, sta facendo la sua “parte raccapricciante”, nell’opera di bonifica. Non certo per spirito di patria, ma non per vedere distrutte le proprie attività e gli enormi interessi economici nel Paese. Infatti sta raccogliendo dalle strade poveracci senza tetto, gli homeless. Per una pagnotta vengono portati nella centrale nucleare e, senza adeguate protezioni, costretti ad eseguire le operazioni più rischiose. E ancora, dopo lunghe esitazioni, la Tepco – l’azienda privata proprietaria dell’impianto – ha dovuto ammettere che ci sono perdite e che almeno quattrocento tonnellate al giorno di acqua radioattiva finiscono nell’oceano. Secondo alcuni scienziati l’inquinamento radioattivo non avrebbe solo interessato le coste del Giappone, ma si sarebbe spinto fino alle coste del continente Americano. Secondo un recente studio condotto negli Stati Uniti, sarebbero molti gli esemplari di tonno pinna blu contaminati e pescati al largo della California, a ben seimila miglia di distanza dal reattore. ”L’Oceano Pacifico è distrutto”. Non ha usato mezzi termini lo yachtman australiano Ivan Macyayden, che nei giorni scorsi ha rilasciato un’impietosa intervista sulla condizione dell’oceano pacifico:“Dieci anni fa ho percorso il tratto di oceano tra Melbourne e Osaka impiegando un mese di navigazione; e non passava giorno senza che ci fosse un grosso pesce da catturare. Quest’anno ho provato a replicare la traversata, ma i pesci pescati sono stati solo due e, quel che è peggio, l’intera vita marina sembrava essere scomparsa. Niente uccelli, tartarughe, delfini o squali in vista; al loro posto detriti di ogni genere, in tale quantità e dimensione da rendere difficoltosa la navigazione.”
Tonio Leuci
Category: Costume e società