ALLA CANCELLIERI PIANGE IL TELEFONO

| 7 Novembre 2013 | 0 Comments
(RdL)
All’’estero evidentemente hanno un’’altra considerazione della politica e i politici si adeguano: al minimo sospetto, al primo peccato veniale da cui a torto, o a ragione, sono coinvolti, danno serenamente le dimissioni, e vanno a casa.
In Italia non si dimette mai nessuno.
Le eccezioni sono pochissime e fra di esse, le pochissime, sono pure quasi tutte estorte, per così dire, obbligate, anziché spontanee, per ragioni di opportunismo, o ragion di Stato addirittura.
Di solito, non bastano condanne penali e civili di ogni ordine e grado, e, aspetti giudiziari a parte, comportamenti di pessimo gusto e di infimo livello morale, anche dal semplice punto di vista sociale, niente: tutto continua come prima, tanto gli Italiani hanno la memoria corta e sono facili alla sottovalutazione, alla giustificazione e alla dimenticanza.
Ora, sapete bene che cosa ha fatto e che cosa non ha fatto la ministro Anna Maria Cancellieri, dopo i dialoghi telefonici, preoccupati e affranti, con il suo amico e confidente Antonino Ligresti, il quale le chiedeva di intercedere a favore della liberazione della figlia Giulia, finita come lui in guai giudiziari grossi come montagne, ancora in carcere per una truffa di centinaia di milioni (di euro, ovvio) ai danni di assicurati, azionisti e piccoli risparmiatori: e naturalmente messa agli arresti domiciliari dopo pochi giorni.
La sventurata rispose. Così rispose, chiarissima e rassicurante, lapidaria e accomodante: “Ho fatto la segnalazione”.
Così disse, memore certo di quanto a sua volta Antonino aveva fatto in tempi passati e recenti, a favore del proprio rampollo, Pier Giorgio Peluso, assunto dalla Sai di Ligresti per poco più di un anno e retribuito con quattro milioni di euro circa, prima di passare ad altro incarico in Telecom Italia, certo per propri meriti indubbi e senza nessun favoritismo, nessuna “segnalazione”, fin dagli sfolgoranti inizi di carriera in UniCredit.Ci vorrebbe la voce di Mario Merola per sottolineare questo italico intreccio di preoccupazioni diuturne per i propri figli, sì, perché, è vero, “I figl so piezz e core e nu sanna lassà”.Purtroppo, nella concezione della Cancellieri, questo vale solamente per i figli suoi, e per quelli dei suoi amici, non per quelli degli altri, perché, sempre da ministro, sia pur dell’Interno, nel precedente governo – Monti, ebbe a dichiarare quanto segue, nel commentare la dilagante, drammatica, disoccupazione giovanile: “Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”, giustificando il dramma del precariato, avallando la tragedia della parcellizzazione del lavoro, “just in time”, quando pure c’è, ignorando cinicamente e sostanzialmente disprezzando tutti gli altri genitori, incapaci di ascendenti forti come il suo e alle sue stesse segnalazioni impossibilitati.

Forse perché con le parole ci lavoro, ma delle parole io ho un grande rispetto. Le parole sono importanti, a volte pesano come macigni.
Credo che la ministro Cancellieri avrebbe dovuto già dimettersi un anno fa, quando pronunciò inopinatamente una frase come quella che le uscì di bocca.

Poi, so che cosa avrebbe dovuto fare, adesso: negarsi, come minimo, non scambiare nemmeno una parola con il suo amico e sodale Antonino, buttare il telefono via non appena avesse udito la sua voce. E invece…

Così, so che cosa dovrebbe fare adesso: dimettersi, così, subito, senza tentennamenti, e andare a casa, certo confortata da una di quelle pensioni d’oro che competono a tutti gli esponenti della casta come Lei. E invece…

Invece racconta barzellette, a mo’ di insistenza per restare al suo posto, come quella per cui avrebbe fatto centinaia di segnalazioni come per la figlia di Antonino, come se tutte le decine di migliaia di poveracci che a torto o a ragione languiscono in galera avessero il suo numero di telefono e potessero rivolgersi a Lei chiedendole di fare qualcosa. Almeno le barzellette di Silvio facevano ridere. Questa del telefono della Cancellieri invece no, fa piangere.

Ma non capisce – eppure, non dovrebbe essere difficile – che con il suo comportamento la Guardasigilli ha rafforzato il sospetto che in Italia in carcere ci stiano solamente i poveracci e che i ricchi riescano sempre, in un modo o nell’altro, a cavarsela? Il sospetto cioè che mina il fondamentale assetto teorico che la legge è uguale per tutti? E purtroppo il sospetto è l’anticamera della verità.

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Category: Costume e società

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