Lettera al Direttore

| 29 Settembre 2013 | 0 Comments

Riceviamo e come sempre pubblichiamo, anche se ci piacerebbe che le lettere fossero firmate, o quantomeno che la redazione del nostro giornale conoscesse il nome di chi ci chiede di pubblicare una lettera, magari per verificarne l’attendibilità. Pertanto noi diamo spazio ai nostri lettori, anche se anonimi, ma, ovviamente in questo caso non siamo in grado di dire se la storia è vera oppure no.

Ciò che sicuramente si coglie nella lettera è un linguaggio e quindi un’appartenenza politica e culturale ad un’area ben precisa. Il linguaggio è quello teso a denigrare la controparte per metterla in cattiva luce in anticipo prima di raccontare la propria versione dei fatti. L’altro è brutto e cattivo a prescindere, infatti dare del picchiatore e del testa calda a qualcuno che si rivolge all’avvocato per far valere i suoi diritti, a noi è sembrato fuori luogo. A Voi lettori il giudizio finale, noi pubblichiamo la lettera senza aver modificato neppure una virgola.
ndr

 

 

Come perdere la casa per una macchia d’umido

(una storia vera)

 

Questa storia comincia quando la dottoressa – che chiameremo Y – dopo essersi laureata in una città del nord, decide di tornare a vivere nella sua città al sud, e ivi compra un appartamento in condominio. A chi pensa che la sfortuna non esiste, e che ciò che governa il destino siano le nostre capacità, si fornisce materia di riflessione.

La dottoressa Y compra dunque appartamento in un condominio, ignara che nell’appartamento sotto al suo vive il signor Z. Il signor Z è stato un picchiatore fascista, una testa calda, trasformatosi con il passare del tempo in un commerciante borghese che si guadagna da vivere con la sua attività commerciale. Appena la vita gliene offre la possibilità, grazie alla compravendita di voti e alle sue amicizie di partito riesce ad interfacciarsi con la vita politica della città in cui vive. Beatamente inserito in una rete di compiacenti amicizie, diventa assessore comunale, consigliere, coordinatore…intesse affari, si procura protezione, si da da fare come può. Riesce persino, senza mai laurearsi, ad attribuirsi il titolo di dottore…Ebbene, ad un certo punto, durante un inverno innaturalmente piovoso, si dà il caso della rottura di un tubo del muro condominiale tra l’appartamento della dott.ssa Y e quello adiacente. Il risultato di tale combinazione è una macchia d’umidità sul soffitto di una veranda che Z si è condonata nel suo appartamento. Il sig. Z, o meglio sua moglie, con toni da isteria crescente, telefona un paio di volte alla dott. Y, che si affanna a cercare la causa di questa lamentata umidità: chiama periti, esperti nella ricerca di perdite occulte, geometri. Ma il sig. Z non è una persona come le altre, non aspetta che il problema sia risolto in maniera civile, né tantomeno si rende conto che vivendo in un condominio, non può “farsi giustizia” come se fosse nel far west. E’ un Finiano, uno abituato alle ragioni del più forte, siano esse buone o cattive: non aspetta nemmeno un mese, e adisce le vie legali, senza nemmeno mandare una lettera di avvertimento all’amministratore del condominio o alla sua coinquilina. A questo punto, approfittando della propria posizione politica nella vita amministrativa della città, fa intervenire la Polizia municipale a sirene spiegate per far constatare, con tanto di vigili in uniforme, che il soffitto di casa sua trasuda umidità. Nel frattempo la dott.ssa Y si è data da fare: analizzando tutte le possibili cause di infiltrazione d’acqua, ha capito che quello che perde è il tubo lesionato: lo fa sostituire immediatamente, e da quel momento le perdite d’acqua nell’appartamento sottostante cessano completamente. Ma quando si dice che il diavolo ci mette la coda, (e stiamo parlando di un diavolo venale, avido e corrotto) si intende proprio questo: la macchia d’umidità ha cessato di trasudare, d’accordo, ma la macchina della giustizia è stata scomodata e si è messa in moto. Il tribunale ha nominato un “esperto”, un CTU e poco importa che tale CTU sia figlio di un famoso costruttore che lavora per il comune, e che il nostro politico Z è appunto assessore comunale,  nessuno vede il conflitto di interessi. Vogliamo forse far peccato, pensare male? Ma no… Del resto, non si è forse ignorato il conflitto di interesse in casi assai più eclatanti? Non viviamo forse in Italia? Ovviamente il CTU scrive una relazione in cui 1) ignora completamente il fatto che le due parti vivono in condominio 2) dà la colpa della macchia esclusivamente alla dott.ssa Y. 3) chiede a lei che è priva (purtroppo) di un lavoro e non ad entrambi i contendenti le spese (salate) delle proprie perizie. C’era forse da dubitarne? L’avvocato della dott.ssa cita un articolo del codice in cui si impugna la richiesta di risarcimento perché “carente in fatto e in diritto”: c’è un’improcedibilità dell’azione in quanto si sta parlando di due case non isolate, ma di due case in condominio. Le parti coinvolte sono parti comuni ai sensi dell’articolo 1117 del cc. Assurdamente il tribunale rigetta tale richiesta! Ma fa di più: le uniche perizie cui dà credito sono quelle del CTU, vengono ignorate completamente quelle della dott.ssa Y. La stessa, per mancanza di denaro, non può che soddisfare in parte le assurde richieste del CTU, il quale ordina lavori per 5000 euro: distrugge, di fatto, il balcone e il prospetto della casa della dott.ssa Y. Cosa importa che tali lavori siano inutili, perché il querelante ha da tempo risolto il suo problema di umidità, e che ben tre perizie smentiscano le conclusioni del CTU? Passano anni: in tutto il primo grado di giudizio ce ne mette dodici. La dott Y, tra smantellamento del balcone, lavori e avvocati ha speso tutto ciò che aveva. Alla fine dei 12 anni un giudice monocratico decreta che la dott. ssa Y nonostante tutto, abbia torto: non importa nulla né del condominio, né del tubo rotto, né del conflitto di interessi tra gente che lavora per lo stesso Comune.. Le spese della causa, però, dalle iniziali 2000 circa, sono cresciute fino alla incredibile cifra di circa 14000 euro: cifra che la Y non possiede. Siamo soltanto – si badi bene! – al primo grado di giudizio: ciò nonostante i giudici dispongono l’immediato pignoramento dell’immobile  (unico bene di Y). Una domanda per tutte: se la casa pignorata fosse venduta all’asta, e nel secondo o terzo grado di giudizio, la giustizia capovolgesse la sentenza di primo grado, che ne sarebbe dell’unico bene di Y? I giudici non si perdono in simili quisquilie. Allo sbalordito avvocato di Y, rigettando il ricorso per annullare il pignoramento della casa, i giudici dell’appello sostengono che 13 mila euro non sono nulla, e che è bene pagarli. Il fatto che Y non disponga della somma e che tale somma non sia affatto irrisoria, a loro non interessa.  Dunque la casa resta pignorata: in mancanza di variazioni di giudizio, sarà venduta all’asta per ricavarne 14mila euro: il politico Z, faccendiere ed ex picchiatore, avrà i suoi soldi, e la dott.Y si aggiungerà alla lunga lista di persone che in Italia hanno avuto la sfortuna di andare ad abitare nel condominio sbagliato. Peggio per lei.

Category: Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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