IL LECCE NON MERITA TUTTO QUESTO di Gabriele De Pandis
E bene sì, al fischio finale del sig. Ghersini tutti ci siamo resi conto dell’evidente flop stagionale di una squadra partita con l’intento di fare il vuoto ed arrivata al 16 di giugno a mani vuote dopo mille fallimenti in panchina ed in campo che hanno solo creato la conseguenza dell’agonia allungata fino all’ultimo atto del campionato.
Una cosa deve esser chiara nelle menti dei tifosi e degli osservatori (più o meno) neutrali: il Carpi, avversario peggiore che potesse capitare al Lecce, non ha derubato niente dimostrandosi più forte dei giallorossi negli scontri diretti prima nei due matchesdi regular season e poi nei playoff. La vittoria dei carpigiani è senza repliche, squadra onesta con una società capace di far calcio che ha avuto la giusta intuizione di affidare ad un vecchio condottiero di Serie C come Brini una squadra in forma fisica smagliante dotata di tanta corsa, umiltà e di qualche buona individualità che meriterebbe minimo la serie B come il terzino Letizia (classe ’90), l’esterno sinistro alto Di Gaudio (’89) e le punte comprimarie Arma e Kabine, giustiziere del Lecce con due calci da fermo sia all’andata che al ritorno.
Il fischio finale che ha sancito la vittoria del Carpi ha dato vita alla rabbia del pubblico che ha contestato sonoramente la squadra.
Purtroppo la contestazione ha subìto presto un’escalation che ha visto l’invasione del terreno di gioco di 200 facinorosi dalla porta destra della Curva Nord che hanno subito puntato gli spogliatoi per cercare di sfogare la propria rabbia contro i giocatori. Gli steward e la polizia hanno evitato il peggio, grazie all’uso dei lacrimogeni. La conta dei danni ha registrato la presenza della rottura delle panchine e dei plexiglas adiacenti le scale che conducono agli spogliatoi. La rabbia del pubblico di Lecce ha però registrato anche la continuazione al di fuori dallo stadio, con la guerriglia che si è scatenata all’esterno del “Via del Mare” provocando 8 feriti tra le forze dell’ordine ed una volante incendiata.
L’analisi dei fatti, e la naturale condanna per ogni atteggiamento violento, non deve però distogliere l’attenzione di noi tutti dal reale atteggiamento che questa squadra ha donato alla sua generosa platea: i fatti extracalcistici del dopopartita non devono distogliere l’attenzione dal perché questa squadra si trovasse in Serie C e dal perché, ahimè, ci è rimasta. Non sono stati certo i tifosi, accesi o meno, accorsi sempre (in quantità inferiore ai 12350 paganti di domenica scorsa) in casa e presenti in giro per il nord Italia in campi e stadi di grandezze che il Lecce non visitava dal lontano 1996.
L’atteggiamento dei giocatori in campo nella infausta giornata di ieri è stato sintomatico di un continuo approccio sbagliato e dozzinale della squadra rispetto all’inferno della Lega Pro.
Non poteva esserci avvenimento più sbagliato “politicamente” per la piazza leccese: le brutte immagini dell’assalto del terreno di gioco del “Via del Mare” in diretta RAI non fanno altro che spostare l’attenzione dal campo alla cronaca: “che incivili quei leccesi”, “meritano la C con dei tifosi così”, “pene esemplari”, “vogliamo il modello inglese”.
Premettendo il massimo sdegno per gli episodi accaduti sia dentro che fuori l’impianto di Via del Mare l’attenzione va anche focalizzata sull’atteggiamento di una squadra capace di dilapidare un campionato cominciato con un più 12 di vantaggio e finito con il peggiore degli insuccessi all’ultimo atto.
I dubbi sono legittimi: può una squadra all’improvviso tirare i remi in barca e da formidabile diventare macchinosa, timida e senza idee? Possono un nugolo di giocatori strapagati decidere il destino di un allenatore onesto che cerca (seppur con errori) di fare il suo dovere per cercare il successo di squadra ed il riscatto personale?
La realtà è ben diversa dalla conduzione di una stagione calcistica in modo professionale e soggetto a regole di comportamento e codici etici. Il successo iniziale dei giallorossi ha dato ai giocatori tempo per distogliersi dai loro impegni di campo e concentrarsi sulle marcature di (quanto?) giovani figlie di nobili rampolli del posto fiere delle loro conquiste poi nelle loro compagnie d’èlite.
Tutto questo è sempre successo nel calcio ma se affiancato a costanti figure barbine in campo è troppo: non si può affrontare la partita della vita con calciatori che si ostentano a praticare il loro gioco da oratorio o con altri che non riescono a tenere la palla al piede per più di due secondi per pura timidezza, non si può, questa squadra, questi tifosi capaci di veri sacrifici di ogni tipo non meritano questo.
L’episodio grottescamente più alto poi è ancora figlio della partita di domenica: c’è chi fa il diavolo in quattro dribblando anche le decisioni dei medici, decisioni giuste visto lo stato di forma ed un arto immobilizzato, ed entra in campo per il tutto per tutto subendosi anche le botte di difensori arcigni e poco attenti al sottile. Poi invece c’è chi, alla vista del Via del Mare pronto a ruggire si ricorda di infortunarsi durante gli esercizi di pallamano utili alla visione di gioco.
Il Lecce 2012-13 purtroppo è stato questo: la stragrande maggioranza di gente che ha pensato di essere qui per svernare in un campionato facilissimo, qualche giovane forse sopravvalutato che necessita di una guida vera e pochissimi veri uomini che ci hanno messo la faccia fino alla fine. A condire tutto questo minestrone di cattivo sapore l’atteggiamento della piazza: Lecce, la città dove lo sport preferito dai più (e dai più abbienti) è parlare schierandosi contro tutto e tutti criticando aprioristicamente ma non credendo fondamentalmente in nulla se non nella fierezza del proprio ego dotato dell’onniscienza. Atteggiamento che, ahimè, non è solo il leitmotiv dei commenti calcistici ma è il pane quotidiano anche quando si parla di cronaca, politica ed attualità. Chissà, in questa bella Lecce forse la crisi non esiste e la gente ha tanto alito per recriminar tutto.
Sta di fatto che la realtà, si spera, sarà ancora la Lega Pro. Una Lega Pro condita da tante incertezze e tanta transizione infatti dalla stagione 2014-2015 la Lega Pro sarà unica (non più C1 e C2 per intenderci) e la stagione 2013-2014 vedrà un campionato di Lega Pro 1 con zero retrocessioni con tutte le conseguenze del caso economiche e non per chi dovrà affrontarla.
Probabilmente il girone non sarà più il girone A delle tante trasferte nel lombardo-emiliano in campi modesti dove il Lecce poteva far da padrone. La realtà in caso di girone B significa passare per realtà solide e dotate di gran tifo ed ambienti caldi come Nocera, Pisa, Benevento, Perugia e Salerno (con il progetto societario di Lotito ambiziosissimo pronto a portare i granata campani subito in B).
È però troppo presto per pensare al futuro nonostante sia relativamente vicino, la delusione è tanta e le ferite ancora aperte.
Una cosa è certa in tutto questo scempio: non è la categoria che ha sancito l’immensa delusione della gente vicina al Lecce, ma lo stupro della maglia attuato da chi illegittimamente ha indossato i nostri colori in questa stagione preoccupandosi, a poche ore dal pari col Carpi, di raccogliere la buonuscita spettante e di andar via dal Salento. Ecco, Lecce non merita questo, merita una squadra di Uomini con la U maiuscola.
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