CAMILLI: IL MERCATO DEL LAVORO SI E’ SGRETOLATO
Il mercato del lavoro ormai evidenzia uno sgretolamento senza precedenti.
La disoccupazione media nel nostro Paese viaggia su livelli da record europeo.
Se poi si analizza il tasso di disoccupazione sulla fascia degli under 40 il tasso è spaventosamente vicino al 39% con alta percentuale di disoccupazione femminile e con l’ingresso di una nuova categoria,quella degli scoraggiati.
Che siano ormai lontani gli anni d’oro di percentuali ad una cifra è di tutta evidenza ma, in un vecchio continente attrezzatosi per contrastare il blocco asiatico ed il blocco a stelle e strisce, non era
immaginabile una defaillance così repentina e così profonda da rendere inutile ogni forma di programmazione cautelativa.
Inutile cercare oggi le responsabilità che, comunque, andrebbero spalmate negli ultimi 10/15 anni su tutti coloro che, avendo interessi da tutelare sul libero mercato, non hanno esitato a scegliere soluzioni di garanzia per il mantenimento e/o accrescimento di patrimoni personali, a scapito della classe dei lavoratori.
Se è vero che la classe operaia va in paradiso è certamente altrettanto vero che l’inferno lo vive nell’era contemporanea.
Chi avrebbe dovuto vigilare, studiare, prevedere e, laddove necessario, opporsi alla scelleratezza dei costumi ed all’infido affascinante richiamo della finanza, ha fallito nel compito ed anzi, molto spesso, si è reso complice volontario in cambio di piccole rendite di posizione.
I sindacati si sono trasformati in
accoglienti dimore per “non lavoratori” e
per qualche esponente politico non più
spendibile nel mercato del consenso ma
anche, ed è ancor più grave, in fucina
inesauribile di nuovi “politici di
professione” e le sedi in autentiche “sedi di
partito”.
Si potrà obbiettare che alcuni sindacati si
sono mossi apparentemente in difesa dei
lavoratori ma sarebbe più onesto dire che
alcuni sindacalisti hanno usato il
grimaldello della “necessità sociale” per
scardinare le resistenze di parti politiche
affini resesi disponibili all’accoglienza,
negli scranni dorati della casta, in cambio
di un mantenimento di fatto di privilegi e
scelleratezze.
Oggi la piazza partecipa ai mega concerti
immaginando quelli come forma di protesta
senza censura e non si accorge della
strumentalizzazione in atto consumata
intorno al tavolo dell’inciucio e
dell’opacizzazione della reale volontà di
agire e dello sviluppo.
La nostra industria pesante è ormai
asfittica e si regge sulla devastazione
ambientale legittimata dai provvedimenti
legislativi, i cui effetti si vivono e si
consumano sulla pelle dei cittadini, con il
ricatto costante di una possibile ulteriore
riduzione della capacità lavorativa (I.L.V.A.
di Taranto).
L’incertezza generale sul futuro del nostro
Paese incide poi in termini drammatici
sulla piccola e media impresa che, in
assenza di investimenti pubblici, è costretta
a rivolgersi (a tassi altissimi) al credito
bancario, che con il tacito assenso della
sfera politica, ha contemporaneamente
ridotto di oltre il 50% la propria
disponibilità di denaro da destinare al
sostegno dello sviluppo.
Insomma è ora di dirci chiaramente che,
quando si parla di Europa, s’intende
esclusivamente l’Europa della finanza, delle
banche, dei grandi flussi economici.
Un’Europa totalmente impegnata a
garantire i grandi patrimoni, omissiva nei
confronti della crescita e fortemente
impegnata all’auto conservazione nonché,
spesso, all’auto legittimazione.
Anche nei paesi storicamente schierati con
il comunismo ortodosso si è ormai inserito
il meccanismo proprio del libero mercato,
libero esclusivamente nell’imposizione di
forme di tassazione diretta e/o indiretta
finalizzata all’alimentazione di una casta
finanziaria legittimata e protetta da un
classe politica di garanzia.
Il primo maggio si è trasformato in un
appuntamento celebrativo della negazione
di uno dei diritti fondamentali dell’uomo: il
diritto al lavoro ed è difficilmente
immaginabile che un popolo possa sentirsi
libero di esprimersi se non è libero dal
bisogno quotidiano.
Dover sbarcare il lunario di questi tempi è
un’impresa assai ardua quindi come
possiamo noi immaginare di poter
esprimere il consenso e/o il dissenso se si è
costretti ad elemosinare i propri diritti a
chi dovrebbe rappresentare per dovere e
per mandato quel grido di dolore che
accompagna oggi la colonna sonora della
nostra vita?
Un inciucio tira l’altro e così si pensa di
andare avanti continuando nella politica
dell’auto conservazione ed immaginando di
poter trasformare il popolo sovrano in un
popolo suddito senza tener conto che ogni
corda, tesa all’estremo, prima o poi si
spezzerà.
Ufficio Stampa
Il Responsabile
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