Domani sera a Lecce “la marcia della pace”/ Il programma dell’importante manifestazione nazionale organizzata dalle organizzazioni cattoliche. CON L’ADESIONE MOTIVATA E CONCRETA DI leccecronaca.it
Un capodanno alternativo, all’insegna della pace. La Quarantacinquesima Marcia nazionale per la pace quest’anno è a Lecce, domani 31 dicembre, vigilia della giornata mondiale per la pace, che si celebra il primo gennaio di ogni anno. Il tema della marcia sarà proprio quello scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la giornata: “Beati gli operatori di pace”.
Organizzata da Conferenza Episcopale Italiana – Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro, Arcidiocesi di Lecce, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Pax Christi, con il patrocinio del Comune di Lecce, la Marcia nazionale per la pace vuole essere “una risposta concreta degli uomini di buona volontà all’invito che il papa rivolge affinché tutti si sentano responsabili riguardo alla costruzione di un’unica e grande famiglia umana”.
Quest’anno, poi, la Marcia nazionale per la pace si svolge nel contesto dell’Anno della fede, voluto da Benedetto XVI nel cinquantennale dal Concilio Ecumenico Vaticano II, e rappresenta un’opportunità in più per condividere “le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo”, che, come spiega il papa nel messaggio di quest’anno “testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio”.
Il programma prevede un percorso di circa tre chilometri, che partirà dalla parrocchia di Santa Maria delle Grazie in Santa Rosa e si concluderà in Cattedrale. Qui è prevista la messa alle ore 22:30, che sarà presieduta dall’arcivescovo di Lecce, Domenico Umberto D’Ambrosio, e sarà trasmessa in diretta nazionale su Tv2000. Durante il cammino sono previsti dei momenti di sosta, la preghiera per l’ecumenismo e brevi testimonianze sull’annuncio del vangelo della pace.
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Fin qui il comunicato degli organizzatori cattolici.
leccecronaca.it aderisce all’iniziativa, che reputa comunque un momento di testimonianza e di affermazione.
Vogliamo aggiungere però qualche riflessione più pratica e concreta, perché constatiamo che gli organizzatori rimangano sul tema troppo sul generico e temiamo che si limitino a esercizi retorici.
Abbiamo risentito, rivisto e riletto in occasioni simili, in passato, dichiarazioni che lasciano l’amaro in bocca e testimoniano quanto lunga sia ancora la strada da percorrere per arrivare al traguardo della pace.
Eppure, per noi contemporanei, per noi postumi di Hiroshima e Nagasaki, per noi approdati al nuovo secolo e al nuovo millennio, proprio questa è la metà, capace di nobilitare l’umanità: costruire una cultura della pace e far cadere finalmente senza “se” e senza “ma” ogni idea possibile di guerra.
La guerra deve diventare un tabù, un elemento negativo in toto, da esecrare e da annullare come pratica in ogni dove, come è oggi, per esempio, lo schiavismo: e quanti secoli ci sono voluti per arrivare a considerare tale lo schiavismo! Bene, è ora che tale considerazione universale arrivi anche per la guerra.
Per questo non ci piacciono le dichiarazioni piene di retorica e di ipocrisia, quindi di una violenza ingannatrice inaudita, le solite dichiarazioni, lo stanco repertorio che ogni volta i politici snocciolano come granelli di un rosario laico.
Non è questione di centro-destra, o di centro-sinistra, anzi. Romano Prodi riuscì a essere peggiore anche in questo. Ancora, anzi, il momento in cui l’Italia è stata più in guerra dal 1945 a oggi è stato col governo di Massimo D’Alema, il quale, nel 1999, fece attivamente partecipare l’ Italia alla criminale distruzione operata dagli Americani della Jugoslavia, fra l’altro a pochi chilometri dai nostri confini e con le basi operative nel nostro territorio: ecco come egli stesso rivendicherà con orgoglio e con chiarezza tre anni dopo quanto successe: “Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L’Italia si trovava veramente in prima linea.“
Vorremmo pure ricordare, per quanto riguarda la sinistra radicale, che i vari Pdci e Rifondazione comunista – che pure all’epoca si divisero – hanno poi sempre sostanzialmente sostenuto tutte le scelte compiute dai governi di centro-sinistra, e questo storicamente, dalle “operazioni di polizia internazionale” in Iraq, quando erano in Parlamento.
Quanto alle più recenti “missioni di pace” in Afghanistan, come con patetici eufemismi sono generalmente chiamate le guerre al servizio dell’imperialismo americano al tempo della globalizzazione che abbiamo e stiamo attuando, col pretesto di “portare la democrazia”, ristabiliamo la realtà, ridiamo un senso alle parole: si tratta di scusa bella e buona per coprire interessi economici e strategici ben precisi.
Non ce l’abbiamo poi, sia chiaro, con i soldati americani: vengono dalle famiglie più povere, dalle periferie diseredate e sfortunate e, per sfuggire alla miseria e all’emarginazione, sono anch’essi vittime, come quelle che vanno a provocare all’estero, soprattutto fra le popolazioni civili, vecchi, donne e bambini.
Ce l’abbiamo con i banchieri, i fabbricanti di armi, e i politici, democratici, o repubblicani che siano, americani, loro servitori. Nessuno poi si permetta di dirci che non abbiamo a cuore i soldati italiani: li abbiamo a cuore, fremo per loro, perché i soldati italiani sono i figli del popolo, e so che essi ancora di più vanno a combattere, a soffrire, e spesso a morire lontano da casa per lo stesso motivo che, come una scelta obbligata, ha spinto o loro coetanei americani: trovare uno stipendio, un lavoro per vivere, che altrimenti non potrebbero avere.
A maggior ragione, che i più vengono dal Sud; molti, poi, moltissimi, da quel Salento dove stanno le nostre radici. Li abbiamo visti da vicino, i soldati italiani che hanno combattuto in Jugoslavia e in Iraq, e che combattono ora in Afghanistan, lasciando stare il Libano e tutto il resto; li abbiamo guardati nei loro occhi lucenti, nei loro volti puliti; e abbiamo parlato a lungo con loro, magari in dialetto, in uno dei lunghi e caldi pomeriggi d’estate, al mare, sotto l’ombrellone, o seduti al tavolo di qualche pizzeria, d’inverno, a dicembre, o gennaio, insieme agli amici, quando, periodicamente, ogni volta ritornano a Lecce: e li abbiamo sentiti fratelli.
Sono figli di muratori e di contadini, che si guadagnano la giornata, quei pochi euro, senza assicurazioni, contributi, mutue e ferie quando pure viene loro pagata, cuocendo la pelle al sole scottante, e raffreddandosela sotto la tramontana, per dieci ore al giorno.
Non è questo il punto.
Il punto è che ci manca ancora quasi del tutto la cultura della pace di cui dicevamo prima e che dobbiamo urgentemente cominciare a costruire.
Vorremmo invece ricordare quello che recita l’articolo 11 della nostra Costituzione, cioè le fondamenta del nostro ordinamento civile e sociale:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Ecco, no? Netto, preciso. Non c’è proprio niente da aggiungere, o da levare; niente da interpretare, o da discutere. C’è soltanto da rispettare, cosa che non hanno fatto tutti i nostri Presidenti del Consiglio e Presidenti della Repubblica ( e proprio essi! ) dal 1990 a oggi.
Come ognuno può facilmente constatare da sé, nel tono, nel lessico, nella sostanza stessa delle dichiarazioni dei politici in tema manca completamente la cultura della pace: c’è ancora sempre e soltanto il trionfo della guerra.
Ora, certo, sono processi lunghi e difficili. Ma da qualche parte dobbiamo pur cominciare.
Ognuno di noi può farlo, cominciando, per esempio, a capire di una contabilità nemmeno più drammatica, bensì mostruosa, se presa dalla guerra in Iraq, all’ultima “offensiva” di Israele ai danni dei Palestinesi, fino alla Libia e all’Afghanistan ancora in corso: si tratta di centinaia di migliaia di vecchi, di donne, di bambini, estranei e innocenti, caduti sotto le bombe con cui gli Americani credono di poter esportare la democrazia e il modello neocapitalista della globalizzazione.
Cioè i banchieri, cioè i fabbricanti e i mercanti di armi: e “Non ci sono guerre giuste”, come diceva e scriveva in un verso dei suoi Cantos Ezra Pound spiegando poi che fintanto che ci saranno ingiustizie sociali ci saranno sempre guerre e che non ci può essere la pace senza giustizia sociale, o almeno un sistema economico più equo, una ridistribuzione delle ricchezze e dei beni almeno più corretta.
Ognuno continui poi come può. Cercando, per esempio, su internet quelle notizie che i nostri giornali e i nostri telegiornali non danno: scoprirà così che ( altro che “missione umanitaria”! ) in Afghanistan è in atto una vera e propria guerra, quindi dolore, distruzione, morte e sofferenze quotidiane.
Parlando con sé stesso, con i proprio amici, parenti, e conoscenti.
Anche così, semplicemente, come abbiamo cercato di fare noi qui adesso con noi stessi e con tutti voi, amici lettori protagonisti della nostra community, che avete avuto la pazienza di leggere questa nota.
i tutti i tagli di spesa e le manovre varate dal nostro governo, nemmeno una è stata indirizzata a ridurre le spese militari correnti, specialmente quelle per le così dette “missioni umanitarie”, che in realtà sono vere e proprie guerre al servizio degli Stati Uniti. Così, mentre in Italia la crisi viene fatta pagare ai più deboli e ai ceti medi sempre più poveri, all’estero le criminali campagne militari statunitensi non hanno risolto proprio niente di quello che a parole avrebbero dovuto risolvere, esportando, a suon di bombe micidiali, la così detta democrazia, ma anzi hanno aggravato la situazione, gettando quei Paesi nel terrore, nella disperazione, nella povertà.
Fra l’altro, continuano a fare vittime civili, su vittime civili. Soltanto gli industriali e i mercanti di armi si fregano le mani: quelli che sostengono il presidente Obama e gli interessi neoimperialisti degli Americani.
Il guaio è che più o meno direttamente con loro ci siamo anche noi Italiani. Berlusconi e Fini, Prodi e D’Alema, Monti e Draghi: non è cambiato niente. Che la smettano almeno di raccontarci la favoletta ipocrita dei nostri soldati che sono andati al fronte a distribuire le caramelle e i cioccolatini ai bambini.
I nostri soldati sono andati in Iraq e in Afghanistan ad aiutare le truppe di occupazione americane. Sono andati a fare la guerra.
Una guerra assurda, senza motivo. Una guerra degli Americani che uccide donne e bambini vittime innocenti. Questa è la guerra.
Non ci sono guerre giuste.
L’unica certezza, l’ultima speranza è che si affermi la cultura della pace. Una cultura che consideri la guerra un tabù, qualcosa di esecrando, da estirpare senza se e senza ma, da considerare come oggi si considera la schiavitù, la legge della jungla, l’incesto.
E’ un processo lungo: in fin dei conti, per esempio, la schiavitù ha dominato incontrastata per millenni e per secoli e relativamente da pochissimo, da pochi decenni, essa è stata almeno legalmente bandita.
Ora, tocca alla guerra: è la sfida del nuovo secolo e del nuovo millennio. Le nuove generazioni dovranno impegnarsi e riuscirci. Ma noi, pure noi, dobbiamo pur cominciare in qualche modo.
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“Inventing Peace Another focus in my lab is what we call “peace innovation.” We’re investigating how technology can help change attitudes and behaviors in ways that bring about global harmony. We know this is an idealistic project and we may fail. But given the state of the world, choosing not to pursue this line of research would be irrational. I created a Stanford course on Peace Innovation, and I was pleased with how the students performed. We’ve starting solving a big piece of the puzzle: creating simple and reliable methods to measure peace-related outcomes. (da:ww.bjfogg.com)
Sono parole di BJ Fogg, studioso dei nuovi mass media e delle tecnologie della persuasione contemporanee, fra i cui strumenti ci sono, come è noto, i social network, fra cui Facebook e un po’ tutti i blog. Ne mette in risalto le straordinarie potenzialità di comunicazione di idee e di diffusione di ideali. Ne ha uno anch’egli, lanciato con l’ Università di Stanford. Costruire la pace nel mondo e, fedele ai propri insegnamenti, sui grandi traguardo da raggiungere a piccoli passi, costruire la pace nel mondo entro i prossimi trenta anni.
Noi di leccecronaca.it pensiamo che trenta anni siano pochi, che ne servano almeno trecento. Però è vero. Le grandi rivoluzioni non avvengono da un giorno all’altro, le grandi rivoluzioni avvengono nell’arco di molti e molti anni prima e dopo le date – simbolo. Ci sono voluti secoli per, per esempio, abolire la schiavitù e le leggi razziali: nei tanto additati a campioni di libertà Stati Uniti d’America – giova ricordarlo – le ultime leggi razziali sono state abolite negli anni sessanta, appena quaranta anni fa.
Vogliamo dire questo: ci sono i contesti storici e i processi storici che hanno i loro modi e i loro tempi, di cui bisogna sempre avere lucida consapevolezza, storicizzando quello che ci si trova ad affrontare.
E vogliamo dire soprattutto quest’altro: è a gente come BJ Fogg che vanno dati i Nobel per la pace, perché hanno avviato una grande rivoluzione epocale, di cui sono e saranno protagonisti attivi tutti coloro che, soprattutto nelle giovani generazioni, questa grande rivoluzione epocale, di costruire la cultura della pace, giorno per giorno si fanno artefici, anche semplicemente scrivendo, o leggendo, o diffondendo, qualche notizia, o qualche commento, su un qualche sito web.
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Quanto ci sia ancora da fare per costruire una diffusa e condivisa cultura della pace viene quotidianamente testimoniato dal silenzio assordante con cui l’informazione ufficiale copre quanto continua ad avvenire in Afghanistan, dove, come è noto, con il pretesto di scovare presunti terroristi, gli Stati Uniti d’America e i loro servi alleati hanno esportato una lunga e sanguinosissima occupazione militare, al fine consolidare i propri interessi economici e strategici e soddisfare le industrie di armi, oltre che quelle del petrolio, che sorreggono il potere e l’intero sistema, esattamente come avevano fatto in Iraq.
Una guerra dai costi ingenti, che però ha fatto la fortuna dei mercanti di morte e dell’alta finanza internazionale, a danno del popolo americano, la cui soglia di povertà continua quotidianamente ad innalzarsi, come del resto in Italia.
Gli stessi costi in termini di vite umane sono paurosi, pagati dai figli del popolo povero, da cui provengono i soldati americani mandati a morire in oriente, in termini di migliaia; e pagati soprattutto dal popolo iracheno, in special modo civili innocenti, vecchi, donne e bambini, in termini di centinaia di migliaia di morti, dalle seicentomila al milione di vittime.
Fra Afghanistan e Iraq non c’è differenza. Col pretesto della lotta al terrorismo, IN REALTA’ PER ESPORTARE IL LORO PREDOMINIO E PER USARE LE ARMI DELLE LORO INDUSTRIE, gli Americani hanno fatto migliaia di morti e decine di migliaia di feriti fra la popolazione civile, hanno aggredito e distrutto Stati sovrani, hanno aperto conflitti civili sociali inenarrabili e hanno provocato un’instabilità senza rimedio.
Come hanno fatto gli Israeliani in Medio-Oriente..
Sempre col pretesto della lotta al terrorismo.
Come ha detto qualcuno, state anche voi qualche anno senza casa, senza terra, senza vestiti, senza cibo e senza prospettive e poi vedete se non diventate anche voi terroristi.
Non ci sono guerre giuste. Ci vorranno decenni, forse secoli, perché l’umanità conquisti la cultura della pace, che la parola guerra diventi tabù.
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Fa paura la guerra.
Sarebbe bastato anche un solo morto per gli effetti indiretti delle armi all’uranio usate dagli Americani, accanto ai quali sono dieci anni che i soldati italiani combattono, al servizio dei loro interessi economici e strategici, dalla Serbia, al Kossovo, dall’Iraq, all’ Afghanistan.
Secondo il ministro della difesa Arturo Parisi, che ne riferì in Parlamento, nell’ormai lontano 2007 – ma è l’unico dato ufficiale esistente – sono “appena” 37 e 255 gli ammalati di gravissime patologie.
Secondo i famigliari, 170 e 2000.
Questo, per dire soltanto dei militari italiani, molti dei quali salentini.
Ma quelli delle altre Nazioni son forse meno importanti?
E le popolazioni civili colpite direttamente?
Bisogna costruire la cultura della pace, che consideri la guerra una ipotesi inverosimile, il massimo della disumanità: il prossimo traguardo, nel nuovo secolo e nel nuovo millennio, di civiltà per l’umanità.
Category: Costume e società