SEQUESTRATI GLI IMPIANTI ALL’ILVA DI TARANTO
La chiusura dell’ Ilva di Taranto, disposta ieri dalla magistratura con il sequestro degli impianti, e l’imputazione di gravi reati ai dirigenti, è un atto dovuto.
Sono passati anni senza che né l’economia, né la finanza , tanto meno, la politica ridottasi oramai a serva dell’economia finanziaria, abbiano saputo impostare una soluzione in prospettiva, a fronte di una possibile riconversione industriale, ma soprattutto a un disastro ambientale che è sotto gli occhi di tutti coloro vivono, o transitino per i due mari, prima ancora – ma qui con maggiore evidenza – nei dati epidemiologici sui residenti.
Allora, nel vuoto irresponsabile di potere, interviene la magistratura, nella società civile, se le si lascia il campo.
Non ce la sentiamo di unirci al coro che si sta levando in queste ore di una reazione scontata, per cui la chiusura non sarebbe una soluzione, da parte di tante forze politiche e sindacali.
Capiamo la protesta dei lavoratori e la loro disperazione di essere stati lasciati senza prospettive.
Però, ecco, il bene comune, il disastro ambientale, la mortalità galoppante, vengono prima di ogni altra considerazione.
Le scelte sbagliate del passato hanno presentato il conto e dispiace soltanto che a pagarlo siano stati i più deboli, non i veri responsabili.
Ma meglio tardi che mai.
Taranto è un a città magnifica e sfortunata, che dall’Ilva, dalle scelte dei politici dei decenni scorsi, dall’industrializzazione pesante, in luogo dell’agricoltura, della pesca, del turismo, ha avuto certo poco, in confronto a quanto ha dato, in termini di salute e di bellezza.
Una fine a volte può essere un nuovo inizio.
( Rdl )
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