L’amore inventato di Loredana De Vitis a teatro
L’amore inventato di Loredana De Vitis a teatro ( con nell’occasione la recensione di leccecronaca.it della raccolta di racconti della scrittrice leccese )
Sabato 21 luglio
Alla Casa Cantoniera Km97
Via della Ferrandina 5, prov. Lecce-Novoli (Le)
STORIE D’AMORE INVENTATO
messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello
* dall’omonima raccolta di racconti di Loredana De Vitis *
con Giovanni Carrozzini
musica Cristina Cagnazzo
introduce e conclude Dario Goffredo
Messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello è una rassegna ispirata alla raccolta di racconti di Loredana De Vitis ‘storie d’amore inventato’, vincitrice di Subway-Letteratura 2011 con ‘rossella e andrea. e Rossella e Andrea’.
Loredana De Vitis (Lecce, ’78) è laureata in Filosofia e lavora con le parole. Pubblicata in forma di autoproduzione, ‘storie d’amore inventato’ è una raccolta di racconti che Loredana presenta ininterrottamente dal settembre 2010 in giro per l’Italia nei fine settimana, e in Puglia anche dal lunedì al venerdì. A circa due anni di distanza, dopo centinaia di chilometri, tappe e presentazioni, la raccolta si apre alle libere interpretazioni di artisti che mettono in scena i cinque affanni d’amore raccontati dall’autrice: danza, musica, teatro e arti figurative interagiscono in cinque serate – una per racconto – ospitate in un casello ferroviario ristrutturato e divenuto uno “strano” contenitore: il Km97 (via della Ferrandina 5, sulla provinciale Lecce-Novoli), la casa di SUM, storica associazione che da anni si occupa di trovare spazi fisici e virtuali per le creatività.
Loredana si mette quindi totalmente in gioco affidandosi alla sensibilità artistica di
– Massimiliano Manieri, scrittore e performer (la prima serata, svoltasi sabato 17 marzo);
– Assunta Fanuli, che “ricerca e sperimenta il Sé attraverso la danza storica, il teatro e i costumi”
– Alessandra Pallara, coreografa e danzatrice (la terza serata, svoltasi sabato 9 giugno);
– Giovanni Carrozzini, studioso di filosofia;
– Lea Barletti, attrice.
Cinque racconti per cinque serate, ospitate tra marzo e settembre 2012 nel casello ferroviario ristrutturato dall’associazione Sum: il Km97. Ogni serata sarà documentata dalle immagini di Annalinda Piroscia e i testi di Ubaldo Villani-Lubelli.
LA QUARTA SERATA – LA STORIA
Sabato 21 luglio penultimo appuntamento al Km97 con messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello, rassegna in cinque atti ispirata a ‘storie d’amore inventato’ di Loredana De Vitis.
Dopo acqua e rose, gerani e cose, Questa è da bruciare e Voglio venire via con te, è la volta di “chatt’ami ti prego chatt’ami”.
Dal virtuale al reale e ritorno. Qual è il confine? Esiste davvero un confine? Se l’è chiesto Loredana scrivendo “chatt’ami ti prego chatt’ami”, la storia di un uomo e una donna che cominciano ad amarsi fingendo d’essere Merlino e Morgana nel mondo virtuale di Lot e finiscono per amarsi guardandosi negli occhi. Un classico dei nostri tempi, tratto da una storia vera, narrato attraverso i pensieri, i sentimenti e le azioni dei protagonisti, in chat, al telefono e… dal “vero”. Come andrà a finire? Merlino e Morgana sono quelli di Lot o quelli del primo incontro in stazione?
Introduce e conclude la serata il giornalista Dario Goffredo.
LA QUARTA SERATA – GLI ARTISTI
Giovanni Carrozzini
Giovanni Carrozzini (leccese, classe ’82), dottore di ricerca in discipline storico-filosofiche all’Università del Salento, è uno dei maggiori studiosi del pensiero di Gilbert Simondon, considerato il massimo filosofo della tecnologia del Novecento. Oltre ad aver pubblicato svariati volumi incentrati proprio sulla figura di Simondon (Gilbert Simondon: per un’assiomatica dei saperi. Dall’“ontologia dell’individuo alla filosofia della tecnologia”, “Gilbert Simondon filosofo della mentalité technique”, “Gilbert Simondon filosofo delle tecniche” ), Giovanni si occupa di epistemologia e di storia e filosofia delle scienze e delle tecniche, ed è curatore della monumentale, prima traduzione italiana integrale del capolavoro del filosofo “L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione” con annesso commento storico-critico analitico (Mimesis 2012). Attualmente è collaboratore scientifico del Centro internazionale insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti”.
Cristina Cagnazzo
Cristina Cagnazzo impugna per la prima volta una chitarra a dodici anni, e non la molla più. Dal 1999, come cantante e musicista, in diverse formazioni spazia dal punk al metal, dal grunge all’hard rock. Nel 2007 fonda la band Shotgun Babies, che ha all’attivo un centinaio di concerti, un demo cd, due videoclip, concorsi vinti, un album autoprodotto, un singolo in uscita e tre compilation, di cui una statunitense. Il gruppo, che ha già in varie occasioni accompagnato Loredana De Vitis nelle presentazioni dei suoi racconti, è presente nella sezione relativa alla musica contemporanea del libro “Le ragazze del rock”, della giornalista de “Il Manifesto” Jessica Dainese.
LA QUARTA SERATA – LA SCENOGRAFIA
Come nei precedenti appuntamenti, artwork polimaterici della pittrice Monica Lisi saranno utilizzati come una “scenografia”.
In contemporanea, il casello ospiterà tavole illustrate ispirate ai racconti. Gli autori sono Federico Bollino, fumettista e illustratore salentino, e Margherita Morotti, autrice tra l’altro della copertina “rossella e andrea. e Rossella e Andrea” (Subway edizioni, Milano 2011).
“Laureata in filosofia e lavora con le parole”- dicono di Loredana De Vitis le brevi note biografiche in coda a “Storie d’amore inventato” ( www.ilmiolibro.it – 8 euro – oppure nelle librerie Feltrinelli ), un agile ed elegante volumetto, di cinque brevi racconti, il suo esordio nella narrativa.
Forse perché con le parole ci lavora, ma delle parole la De Vitis ha un gran rispetto Sa- e lo dimostra – che esse possono diventare leggere e frizzanti, come le atmosfere che nella narrativa creano e dilatano, ma pure pesanti come pietre, come macigni, quando segnano la vita quotidiana: quindi, comunque, importanti.
“Che vantaggi dà studiare filosofia? A che serve?” – chiede a un certo punto uno dei suoi personaggi, il più riuscito, delineato a tutto tondo in poche battute, il belloccio di turno, sedicente artista e falsamente alternativo, stiloso quanto in autentico, in fondo noioso e banale, perfetta attualizzazione dei vitelloni di provincia del nuovo secolo e del nuovo millennio. A pensare e a far pensare, a riflettere e a far riflettere, a cercare, a organizzare, ecco, a questo serve la filosofia, e scusate se è poco: a dare alle cose della vita, se non un senso, almeno una spiegazione, senza di cui tutto sarebbe più grigio e amorfo.
Poi, la De Vitis sa- e lo dimostra – che parlano le cose, che divani, armadi, mensole, specchi, occhiali, libri, quaderni, collane, a saperle ascoltare, dicono di noi e degli altri più e meglio di quanto potremmo in altri modi desumere, parlano le strade, le stanze, gli appartamenti, le stazioni ferroviarie: ne colga più e meglio, l’autrice, senza paura, ché in tale capacità ha uno dei suoi punti di forza, quello che altrimenti potremmo soltanto meno efficacemente comprendere. Mancano invece i suoni, i rumori, ed è uno spunto di ulteriore conquista creativa, per la scrittrice, quando, in un futuro più o meno prossimo, giocoforza si cimenterà con la dimensione dilatata del racconto lungo, o del romanzo. Là l’aspettiamo, per un naturale assestamento del suo stile, che già c’è, ( riconosciuto di recente anche in un altro racconto da un premio importante per giovani scrittori, quale il concorso nazionale Subway-Letteratura 2011 ) ma che, per curiosità devo dire naturale, attendiamo al varco di situazioni più complesse e articolate.
Se, come dice un’altra protagonista di questi racconti, ci inventiamo l’amore per sopravvivere, l’amore che descrive la De Vitis dal suo osservatorio privilegiato di trentenne impegnata e attenta tanto a guardare, tanto a riflettere su quel che vede intorno a sé, è quello “inventato”, appunto, leggero, frammentato, fluido, evanescente, dei nostri giorni, di una generazione di nuovo to young to die, to old to rock’n’roll; sono ragazzi già troppo vecchi per sogni adolescenziali e aspettative rivoluzionarie, ma pure troppo giovani per poter in qualche modo accedere a un’organica assunzione di responsabilità; e i loro amori sono precari come i lavori che sono costretti ad accettare.
Aver saputo cogliere questa “educazione sentimentale ( cito a mia volta una citazione di un’altra protagonista, che ne ha paura però e quindi lascia subito cadere ) rimasta incompiuta, questo disagio di fondo, senza l’agio di porsi contro, in una sostanziale accettazione, con l’alibi dell’impossibilità a reagire, in una rassegnazione senza rimedio, è di Loredana De Vitis il merito principale, che ne fa già una buona scrittrice e ne anticipa potenzialità a lungo respiro e di lungo corso. Intanto – buona lettura! – l’invito è a godersi i cinque racconti di questa sua opera prima: fra le pagine chiare e le pagine scure, molto rimane della condizione esistenziale di un’intera generazione, della sua identità sminuita, della sua realtà parcellizzata. Una coppia che scoppia, ma, pur scoppiata, continua, neanche più per solitudine, o viltà, ma per disperazione. Una serata fra amici, che nella provincia profonda diventa “evento”, dall’insostenibile leggerezza dell’essere inappagato. Una relazione clandestina, di un’amante che scopre di colpo quanto essa sia squallida, ancorché romantica, o eccitante. L’amore al tempo della chat, dal virtuale, al reale, e ritorno. E l’ultimo racconto che non ho capito bene: ci riuscirete di certo meglio voi, ve ne lascio il compito, e la sorpresa.
( Rdl )
Category: Cultura