Avetrana, Salento, Italy

| 5 Marzo 2012 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo

Beh che volete? Negli anni scorsi ero andato a Cogne, a Novi Ligure, ad Erba, a  Garlasco…C’ero andato per studiare dal vivo e in diretta, per scrutare ansiosamente dai fatti di cronaca più eclatanti, quelli che sono entrati irresistibilmente nel nostro immaginario collettivo, che cosa cambia, nel bene e nel male, anzi, al di là del bene e del male, nella nostra vita quotidiana, nella nostra organizzazione sociale, nella nostra identità di contemporanei.

Non appena ci saranno novità sostanziali andrò anche a Brembate.

Intanto, turista non per caso, da studioso, da testimone, da critico del tempo, per di più là dove, nella fattispecie, stanno le mie radici ( imprescindibili: sono importanti, anzi, che dico importanti? Sono fondamentali, le imprescindibili radici, perché questa terra è la mia terra ) sono andato anche ad  Avetrana.

Non appena ci saranno novità sostanziali andrò poi anche a Brembate.

 

L’ Alessandra ha portato a Sarah i fiori del bene, i primi di una ancora incerta primavera, nel lento inverno del Salento, e un bigliettino semplice, ma sentito, di sincera commozione; io le ho portato i miei pensieri, e un anelito di una verità che pur mi sembra ancor lontana.

 

Avevo già scritto in presa diretta delle morti parallele di Sarah e Yara ( scusandomi per l’autocitazione, rimando chi fosse interessato alla home page del mio sito personale ) e ne trarrò le conclusioni soltanto in presenza di fatti certi degli sviluppi successivi.

 

Intanto adesso dovevo andare proprio là.

 

Benché, soltanto da un punto di vista amministrativo, si trovi in provincia di Taranto, Avetrana, per storia e geografia, per lingua e costumi, fa parte del Salento.

Da Lecce è facile e breve arrivarci.

Lasciatevi alle spalle la città e prendete la strada che porta direttamente all’approdo più vicino della costa jonica, a Porto Cesareo.

Senza entrare nella rinomata località, appena prima, un’altra strada, costiera, vi conduce a Torre Lapillo, prima e poi a Torre Colimena, un’altra delle storiche costruzioni di cui sono piene entrambi i lati del Salento proteso nel mare infinito, poco reale baluardo contro le invasioni saracene e molto palliativo di speranza, affermazione di salvezza.

Dalla torre al centro abitato si può arrivare agevolmente anche a piedi.

Le case basse tipiche dei paesi del Salento, lo slargo col municipio e le vie d’intorno alberate, congestionate dalle macchine vecchie usate inutilmente, o impropriamente parcheggiate, dei residenti, le scuole, la farmacia, i negozi a conduzione famigliare.

Non ci posso credere, un carretto come negli anni Cinquanta con ogni genere di mercanzia in vendita al dettaglio; poi pure quello – mestieri antichi sopravvissuti incredibilmente – dell’arrotino.

Il benzinaio indifferente al giorno e in attesa dei rari clienti sulla piazza ci guarda un po’ complice, un po’ stranito fin dal primo passaggio, mentre cerchiamo di orientarci e continuiamo a passargli davanti senza fermarci.

Capisco che siamo arrivati nei pressi di via Grazia Deledda quando un’auto dei Carabinieri si mette dietro a noi e ci segue passo passo. Tranquillizzo l’Alessandra, al volante: non ce l’hanno con noi, almeno fino a che giriamo tranquilli; deve essere la prassi, ancora adesso, per tutti i forestieri.

Infatti, per quanto non fosse la nostra meta, passiamo dalla via a lungo assediata dalle dirette televisive e dalle impietose e devastanti curiosità più morbose.

E’ un tratto del paese dominato da un silenzio assordante. Si respira l’isolamento. E’ come se un cordone sanitario l’avvolgesse per tutto quanto il perimetro che si percorre girandola in ossequio alle due stradine a senso unico che la delimitano.

La casa di Michele Misseri ci appare nascosta alla vista da teloni verdi, lunghi e larghi, di quelli usati dai contadini per la raccolta delle olive, spianati sul davanti a ridosso del cancello per tutta la loro ampia estensione.

Non siamo “i soliti curiosi”, neanche ci fermiamo. I carabinieri ci abbandonano quando troviamo la vicina strada che porta al cimitero.

 

Fuori dal paese, con due alti cipressi davanti che si vedono da lontano, al camposanto di Avetrana c’è il silenzio del vento e dell’aria della campagna.

La tomba di Sarah è subito all’inizio, appena varcata la porta d’ingresso.

E’ una specie di monumento, ma un monumento al cattivo gusto. Non per la foto, grande e suggestiva, della ragazzina, giustamente in evidenza, nemmeno per la composizione in sé della struttura, anzi umanizzata, direi, addirittura, insomma, ingentilita, nobilitata, addirittura, dai fiori e dalle altre ancor oggi numerose presenze dei visitatori, ma per la targa didascalica posta sulla base.

Potevano bastare le parole del ricordo: e invece qualcuno ha creduto opportuno elencare l’origine, la provenienza, gli autori, i collaboratori, i partecipanti, gli sponsor insomma, addirittura, in perfetto stile da spot pubblicitario e del resto, purtroppo, in perfetta simbiosi col clima televisivo in cui tutta quanta questa triste e a tratti assurda vicenda si è consumata e si sta ancora dibattendo.

Ne capiremo meglio gli esiti e gli sviluppi con le verità giudiziarie che verranno fuori dai processi, a cominciare dal primo attualmente in corso.

L’impressione è che ancora una volta e già subito la verità vera sia diversa da quella processuale, che tanti aspetti debbano ancora mergere, o essere individuati.

L’altra impressione, quella che si ricava direttamente in loco, invece, è di isolamento, estraneamento, alienazione, assurdo: quelle tende che coprono la casa dei Misseri ne sono l’icastica rappresentazione.

Avetrana, paese del Salento, all’estremo sud, di povertà atavica; di emigrazioni continue, in cerca di un minimo di benessere, se non altro di un sistema in cui poter vivere; faticosamente alla ricerca, caso per caso, di riscatto, di protagonismo; di inverni lenti e di estati dirompenti; di campi e di stradine di campagne, di viti e di olivi; di onore e di rispetto; di chiacchiere e di pettegolezzi di paese, di protagonismo contemporaneo quale risposta all’isolamento atavico, ecco, Avetrana, dopo l’orda massmediologica ha steso finalmente quel pietoso velo del silenzio intorno a vittime e carnefici, un velo verde, come quelli che i suoi contadini mettono d’autunno sulla terra rossa, sitibonda, dove raccolgono dai secoli dei secoli le olive fatte cadere dai tronchi contorti e scheletrici, simbolici e metafisici.

Category: Costume e società

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