LE POLVERI NERE DELL’ ILVA SULLE E NELLE CASE DEL QUARTIERE TAMBURI A TARANTO. UN DOSSIER DI PEACELINK, UN’ INTERROGAZIONE DEL M5S
(Rdl)______Un dossier presentato l’ altra settimana dall’ associazione ‘Peacelink’ ha evidenziato la presenza nell’ aria tarantina di polveri nere prodotte dallo stabilimento Ilva che si depositano sui balconi e sulle finestre dei palazzi, sui tetti, al suolo sui terreni.
Vengono inalate, ingerite, assorbite attraverso la pelle.
Un fenomeno già ampiamente denunciato dai residenti, ma sempre sottovalutato dai responsabili, che si unisce a tutti gli altri scarichi velenosi nell’ atmosfera, con un’ estensione di decine di chilometri.
Fulvia Gravame e Alessandro Marescotti, nel corso di una conferenza stampa tenutasi in piazza De Vincentis, al rione Tamburi, sottolinearono il fatto che: “Solo una parte delle polveri industriali che ricadono su Taranto viene monitorata dalle centraline previste dalla legge. Quindi, finora, l’ impatto sanitario di migliaia di tonnellate di polveri è rimasto invisibile alle centraline dell’ Arpa”.
Esse “sfuggono” cioè ai monitoraggi effettuati dall’ Agenzia Regionale per l’ Ambiente: non esistono dati ufficiali né in merito alla composizione chimica, né alla relativa tossicità, non rientrando esse nei parametri dei modelli previsionali adoperati nei comuni controlli.
Eppure derivano dai processi produttivi dell’acciaieria, nonché dai processi di combustione, quindi sono molto più tossiche di quelle rosse dei parchi minerali, dal momento che contengono diverse sostanze tra cui diossine, metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici .
I consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle hanno presentato oggi al riguardo un’ interrogazione all’ assessore all’ ambiente della Regione Puglia Domenico Santorsola.
Uno di loro, in particolare, Marco Galante, in un comunicato – stampa, ha così commentato: “Credo che non sia plausibile, ad oggi che vi sia una totale mancanza di informazione in merito alla presenza di tali polveri e alla loro elevatissima tossicità.
L’ARPA deve adeguare il suo modello previsionale a tutte le tipologie di polveri emesse dagli stabilimenti in funzione, affinché i cittadini possano ricevere le informazioni utili a tutelare la propria salute che è perennemente a rischio. Per tale motivo abbiamo chiesto all’Assessore Santorsola quali siano le misure che intende assumere per ovviare a questo problema.
Ciò che mi fa rabbia è che nonostante la presenza di studi e di dati epidemiologici che confermano il nesso di causalità tra l’attività dell’Ilva, l’inquinamento da essa prodotto e le malattie, nonché le morti, che ne derivano, ci sono ancora persone che sostengono pubblicamente la bonarietà e la imprescindibilità di questo stabilimento per il territorio jonico. Noi ribadiamo quanto abbiamo detto nel corso del convegno di qualche settimana fa: ‘Riconvertire si può’. Ed è fondamentale per tutelare diritti costituzionalmente garantiti come la salute ed il lavoro”.______
L’ ULTIMA DOCUMENTAZIONE nel nostro articolo di lunedì scorso
https://www.leccecronaca.it/?s=boccia
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Il Presidente dell’associazione Peacelink, Alessandro Marescotti ha dichiarato che tutte le polveri di diossina prodotte dagli elettrofiltri del famigerato camino E312 dell’Ilva, finivano a Manduria, luogo in cui sembrerebbe esserci stata un’azienda che si occupava di smaltire le diverse tonnellate di diossina contenute in sacchi di tela-plastica chiamati “big bag”.
Siamo dinanzi a un fatto gravissimo e chiedo al ministro Galletti di intervenire con estrema urgenza per fare luce su quanto dichiarato da Marescotti.
Durante un convegno Alessandro Marescotti ha precisato di aver ricevuto tale confidenza da un operaio che nel 2005 si occupava, inconsapevole del pericolo, di caricare i sacchi di diossina sul camion che li avrebbe poi trasportati dall’Ilva di Taranto a Manduria.
Sempre secondo quanto affermato da Marescotti tale notizia sarebbe stata inserita anche nella parte secretata dei verbali di una sua audizione presso la commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti tenutasi nella Prefettura di Taranto l’11 marzo scorso, durante la quale lo stesso Marescotti avrebbe fornito anche ulteriori utili particolari come le generalità dell’operaio ILVA e il nome dell’azienda manduriana dove erano destinati i sacchi con i rifiuti.
I media locali hanno ripreso questa notizia generando preoccupazione e paura tra i cittadini della zona. Non si ha notizia infatti dell’esistenza di siti idonei ad accogliere rifiuti di quel tipo a Manduria mentre si conosce, attraverso le indicazioni circa la tracciabilità della diossina fornite da Ilva, come unico sito autorizzato ed esclusivo quello di Orbassano, in provincia di Torino. Se tutto questo venisse confermato ci troveremmo dinanzi a episodi di assoluta gravità per l’ambiente e per la salute dei cittadini su cui il governo deve indagare immediatamente e attivarsi di conseguenza.