OGM E SVENDITA DELLA TERRA: LA PUGLIA COME L’AFRICA?

| 11 Luglio 2016 | 1 Comment

di Eleonora Ciminiello______«Sono tanti quelli disposti a sborsare miliardi per garantirsi grandi superfici coltivabili, spesso solo nominalmente vergini, marginali o spopolate, e c’è chi è ben propenso a concederle. L’affare del secolo? È la terra».

Abbiamo deciso di aprire il nostro discorso con la quarta di copertina del libro “Corsa alla terra” del coordinatore dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici alla Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo Paolo de Castro, nominato, fra l’altro, relatore permanente per il negoziato di libero scambio fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, noto come TTIP.

Abbiamo scelto queste parole e vorremmo che i nostri lettori le tengano bene a mente, perché riteniamo possano spiegare l’assalto alla Terra, e ai suoi abitanti, che si sta verificando in Puglia ed in particolar modo in Salento.

Il 19 ottobre del 2000 a Firenze l’Accademia dei Georgofili, assieme ad altre accademie italiane, fonda l’Unione Nazionale delle Accademie italiane per le scienze applicate allo sviluppo dell’agricoltura, alla sicurezza alimentare e alla tutela ambientale: si chiama UNASA e la sua presidenza è affidata al professor Scaramuzzi, attualmente presidente onorario dell’Accademia dei Georgofili.

Ricordiamo che dell’accademia fanno parte l’europarlamentare Paolo de Castro, il professore dell’Università di Bari Giovanni Martelli, il ricercatore del CNR di Bari Donato Boscia, il dirigente del MIPAAF Bruno Faraglia, e i docenti (o ex) dell’Università di Bari Francesco Faretra, Angelo Godini e Pasquale Montemurro, ai quali si aggiunge Vito Nicola Savino, direttore del Centro Ricerche e Sperimentazione per la Formazione in Agricoltura “Basile-Caramia”.

A questi nomi, ormai noti per il caso “Disseccamento Rapido degli Ulivi”, se ne aggiungono altri, impensabili, di accademici onorari come Romano Prodi, Giorgio Napolitano, Cesare Romiti e Adriana Poli Bortone, tanto per citarne alcuni. Ebbene nel 2000, i Georgofili assieme ad altre accademie, dà vita a UNASA.

L’associazione ha lo scopo di fungere da aggregante fra tutte le accademie coinvolte per presentarsi al mondo istituzionale a tutti i livelli come unico referente con cui confrontarsi. È essenziale ricordare che l’accademia dei Georgofili ha più e più volte ribadito il suo sostegno alle innovazioni OGM, così come l’ha fatto Paolo de Castro nel suo scritto. Secondo l’europarlamentare il settore ricerca e agricoltura necessita di maggior protagonismo da parte delle strutture pubbliche, che dovrebbero portare avanti delle ricerche sugli OGM per motivi “etici”, evitando che i benefici ottenuti dai privati siano inaccessibili ai “poveri contadini”.

Beh, dal lontano 2011, quando il libro di De Castro viene pubblicato ci sembra che qualcuno l’abbia ascoltato: certamente l’Italia ed il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, il quale recentemente ha stanziato 21 milioni di euro alla ricerca attraverso il genome editing e la cisgenesi da applicare all’olivo, al pomodoro, agli agrumi e alla vite, per citare solo alcune fra le specie prescelte. Secondo il Ministero, queste tecnologie sono sostenibili.

Ma di certo sta cominciando ad ascoltarlo anche l’Europa, se la Commissione lo scorso 8 giugno ha approvato la commercializzazione di prodotti OGM pur senza avere il sostegno della maggioranza degli Stati Membri. La Commissione ha deciso quindi che sul territorio Europeo possono essere venduti quattro tipi di mais OGM e i loro prodotti derivati, dei quali uno, di proprietà della Monsanto, possiede un gene dimostratosi resistente al glifosate.

Insomma, una rivoluzione verde, partita negli anni Settanta, poi interrotta da un pizzico di buon senso ed ora ripresa in nome del Denaro, ma non è tutto.

La necessità di produrre di più non è la sola a farsi spazio in questa nuova “rivoluzione verde ingegnerizzata”: è necessario accaparrarsi la terra senza apparire degli speculatori.

Le terre del Salento, così come la maggior parte di quelle dell’intera Puglia, hanno una proprietà molto frammentata: esistono migliaia di piccoli proprietari che producono il loro olio per l’autoconsumo, tuttalpiù ne desinano una piccola percentuale alla vendita, della quale non si occupano, lasciandolo fare alla cooperativa di appartenenza.

Pensando ai proprietari terrieri non possono non balzarci alla mente i nostri nonni: il legame culturale che stringe questi uomini all’ulivo è talmente grande che in nessun caso hanno mai pensato di venderli, disfarsene, né tanto meno decidere di coltivare altro, nemmeno se più redditizio.

La terra è il sangue dei loro padri, dei loro nonni, dei loro avi: come convincerli a venderlo per pochi spicci? Una fortunata coincidenza quella della comparsa di xylella fastidiosa sul territorio salentino? Forse, di certo un evento che concorre ad aggiustare tanti “piani”.

È un caso ad esempio che l’europarlamentare Paolo De Castro, assieme a Raffaele Fitto e Pantaleo Piccinno di Coldiretti Lecce, chiedono la SOSTITUZIONE di ulivi secolari con piante di leccino? La richiesta di cambiare in nome di una produttività innovativa è casuale?

Aprire al leccino non significa solo appoggiare una teoria che si fa strada sempre e solo sui giornali, e ultimamente anche su una rivista scientifica accreditata (dove è stata presentata peraltro lasciando inalterati errori grossolani), ma significa aprire a colture che vanno a modificare irrimediabilmente il paesaggio, significa accettare una produzione di massa che fa capo a colture da superintensivo.

Ci si aspettava forse che Coldiretti difendesse la terra? Forse i contadini del Salento non se lo aspettavano, visto ciò che ha fatto in passato: svendere le quote di vigneti e tabacco al Veneto, favorendo l’indebolimento del reddito agricolo al Sud, e quindi considerando il Sud e i suoi contadini l’Africa d’Italia.

La domanda che abbiamo posto all’inizio del nostro discorso “La Puglia come l’Africa?” è reale, e vuole spingere alla riflessione, soprattutto in virtù di alcuni dati.

Il Sud del mondo, e ci riferiamo all’Africa, è da sempre colpito dalla corsa alla terra, l’accaparramento, il cosiddetto grab landing. Per grab landing si è solitamente intesa l’acquisizione sfrenata delle terra, la speculazione sui terreni; oggi però ci troviamo di fronte ad accaparramenti terrieri che hanno alla base accordi che apparentemente sono legali ed hanno come comun denominatore pressioni da lobby commerciali che non hanno interessi solo nell’agricoltura, ma anche nel turismo, nello sfruttamento delle piante, nelle energie rinnovabili e non.

Partendo da questa definizione e dal convincimento che molti governi di facciata, dietro a belle parole come sostenibilità, fanno interessi di altri, come le lobby della ricerca e dei produttori OGM, ci rendiamo conto che solo teoricamente essi vanno incontro agli interessi della collettività, pensando a loro volta solo ad investire e guadagnare. Un esempio molto semplice che ci sovviene alla mente è l’ultimo investimento che conta 20 milioni di euro da parte del governo italiano per sostenere la produzione di olio pakistano: insomma l’Italia investe in OGM da produrre sul suo territorio e fornisce denaro per far produrre olio al Pakistan. Che olio sarà, con quali piante e con quale sostenibilità, ovviamente non è dato sapere.

Ma l’accaparramento delle terre non è solo cosa da Sud del mondo. Ci chiediamo:

Se il Disseccamento Rapido degli Ulivi fosse stato presentato dai media, dalle testate giornalistiche, dalla scienza, dai referenti delle associazioni di agricoltori, Coldiretti e Cia in testa, per ciò che è, un insieme di fattori che si sono innescati su terreni privi di materiale organico, gli agricoltori come avrebbero reagito? La risposta è immediata, nutrendo il terreno e facendo di tutto per riavere ciò che i propri avi hanno affidato loro.

Perché allora è stata presentata xylella, senza alcuna prova scientifica, come unica causa, come madre del disseccamento, come la “peste”, il “killer” degli ulivi? Forse per eliminare in ciascun piccolo proprietario terriero la speranza ed insieme la voglia di curarli?

Si apre anche in Salento quindi, la questione dell’accaparramento della terra, dell’acquisto di terre a bassissimo costo da parte di privati. Ricordiamo l’incontro tenutosi a Martano il 24 aprile 2015 che legava il tema “Xylella” a quello della “Banca della Terra”: perché mettere assieme due cose così diverse?

Con le sue parole il vice presidente di Legacoop Angelo Petruzzella ce lo spiega: “La Banca della Terra, già positivamente avviate da Legacoop Agroalimentare, in altre Regioni, rappresenta uno strumento per far incontrare l’ offerta di superfici agricole da parte di  proprietari che non vogliono o non possono più condurre, per vari motivi, i loro terreni e la domanda da parte di agricoltori , singoli o in forma cooperativa, soprattutto giovani, che invece hanno bisogno di superfici agricole per ampliare o avviare nuove aziende agricole di adeguate dimensioni .

È una forma semplice con la quale affrontare il fenomeno ormai vasto di superfici non adeguatamente coltivate o addirittura abbandonate da proprietari che non sono più nelle condizioni di gestirle, ma è anche lo strumento per aumentare la dimensione aziendale per raggiungere un livello di efficienza in grado di fornire un reddito adeguato al conduttore e affrontare la sfida dell’innovazione.”

La Banca della Terra in Puglia è stata affidata in via sperimentale alla cooperativa agricola Nuova Generazione, presieduta da Emilio Saracino, nella quale convergono circa 300 aziende agricole del territorio: chi acquisterà i terreni che “i contadini convinti che non ci sia più niente da fare” stanno vendendo per pochi spiccioli? Vorremmo tanto saperlo, e soprattutto vorremmo sapere quali innovazioni vi saranno applicate.

Anche il governo dà il beneplacito all’uso delle Banche della Terra dovunque in Italia: l’ultimo collegato agricoltura dispone che siano istituite le Banche della Terra presso ISMEA.

Nel frattempo il 6 luglio 2016 il comune di Valenzano ha affidato le terre sottratte alla mafia all’Università di Bari, allo IAM di Bari, AGI, Confcooperative e Legacoop. Dal comunicato si legge: che la finalità è “Costruire un distretto locale della innovazione sociale, un sistema integrato tra ricerca e sperimentazione, imprese e cittadini per un nuovo modo di concepire il bene comune, gli spazi della comunità, la città metropolitana di Bari.”

La Puglia svende il suo patrimonio senza accorgersene. Il miglior modo per aggirare l’accaparramento? Costituire lobby che includono tante piccole e grandi aziende, fornendo loro l’aspetto di distretti in cui vengono portati avanti i principi di qualità ed eccellenza, spingere i piccoli agricoltori e le organizzazioni agricole a livello locale a partecipare dei processi innovativi, “aiutarli” ad apprezzare gli OGM e il superintensivo.

E come si fa con chi resta legato al suo patrimonio? Per loro c’è xylella, e i piani imposti da Regione, Governo & Co.

Category: Costume e società, Cronaca, Politica

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  1. Ciccio Scalinci ha detto:

    Cazzarola!!!

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