IN MORTE DI GIORGIO ALBERTAZZI / UN SORRISO DI AFFETTO E DI MALINCONIA CREATIVA
di Giuseppe Puppo______
Nel 2011, una volta lo presi a parolacce, al telefono.
Oggi, al triste annuncio, sorrido, di affetto e di malinconia creativa, come sorrise lui quel giorno, anche se non lo vidi in volto.
Come continuerà a sorridere da quei “territori inesplorati da cui confini nessun viaggiatore ritorna” – per citare Shakespeare che egli tanto amava – dove, dopo un percorso di novantadue anni, adesso si trova, per continuare a illuminare a tutti noi le strade dell’ arte e della poesia, dell’ immagine e del teatro, che erano poi la sua esclusiva religione, adesso che se ne è andato dalle scene di questo mondo, ed è calato il sipario, per sempre.
Nel 2009, durante un agosto torinese di afosa solitudine, avevo scritto un lavoro teatrale sugli incontri decisivi di Ezra Pound e Pier Paolo Pasolini, pensando a lui.
Lo avevo conosciuto solamente a distanza, perché, con lucidi interventi di cultura, e, ovviamente, di teatro, collaborava all’ ‘Italia settimanale’, prima, e a ‘Il borghese’ poi, di cui io ero redattore.
Era già egli, all’epoca, fra gli anni Novanta, e i primi del Duemila, un ‘grande vecchio’. Lasciatasi alle spalle la guerra, “formica solitaria in un formicaio devastato”, piano piano aveva cominciato a ricostruire intorno a sé, affermandosi, nei decenni successivi, come attore, voce poetica, protagonista televisivo, ancor più, gradualmente, come attore e regista teatrale, misurandosi, sui palcoscenici del mondo, con i testi più prestigiosi della tradizione, da Sofocle, a Ibsen.
Era già un ‘grande vecchio’, il Maestro al quale chiedere consigli, e col quale fare esperienza, per centinaia di aspiranti attori teatrali, alla sua scuola della pratica, direttamente sul campo di battaglia del palcoscenico.
Rappresentando Ezra Pound, sia nell’ intervista con Pier Paolo Pasolini, sia nelle sene in cui ricostruivo il sodalizio amoroso con Olga Rudge, sapendo poi che anch’ egli lo adorava, mi veniva spontaneo pensare a lui, quale interprete, per quanto, me ne rendevo conto, il mio fosse un sogno di un giorno di mezza estate.
Basta, quando, dopo alcune settimane, finii di scrivere il testo, glielo mandai, con un pacchetto postale, stampato su fogli bianchi, all’ indirizzo romano. E poi me ne dimenticai.
Passarono un paio di anni, forse più.
Ero ancora a Torino, era un’ altra mezza estate. In quei giorni, mi telefonava sul cellulare, con chiamata anonima, con assurda regolarità e sempre verso le 16.00/17.00, poco prima che chiedessero gli sportelli, un tal Giacomazzi, impiegato della banca su cui avevo il conto.
Il cognome, me lo ricordo, perché era omonimo del famoso giocatore di calcio, capitano del Lecce.
Aveva esordito la prima volta dicendo: “Pronto?…Puppo? Sono Giacomazzi” e l’ incipit si ripeté uguale per alcuni giorni, quattro, cinque, sei volte, oramai, sempre a quell’ ora, sempre col numero nascosto.
Era successo che, per via di una spesa con la carta di credito mal calcolata, ero andato in rosso sul conto corrente di 67, adesso non mi ricordo bene, 67, o 77, o 87 euro, comunque di sicuro meno di cento, e, a detta di Giacomazzi, ciò costituiva un enorme problema per la filiale, per il nuovo direttore, per l’ intero istituto bancario nazionale, per cui dovevo assolutamente passare in filiale al più presto, a versare in contanti lo scoperto.
A nulla valsero le mie rimostranze, prima gentili, poi, di volta in volta sempre più stizzite: cliente da decenni, con l’ accredito dello stipendio che sarebbe arrivato alla solita data entro pochi giorni, proprio io, con le mie poche decine di euro di scoperto momentaneo, ero diventato oggetto di tanta attenzione, prima, e di tanto accanimento poi, mentre centinaia di milioni di euro sperperati dalla banca in bond, obbligazioni fasulle, prestiti ad amici e quant’ altro, non lo erano?!? E dai…Il fastidio di attraversare tutta quanta la città e andare a Canossa dal direttore ad ascoltare la sua ramanzina, per sessanta, o settanta euro…Insomma, era più forte di me…Ma le mie rimostranze passavano del tutto ininfluenti sull’ accanimento dell’ impiegato della banca, che, per più giorni di seguito, chiamava sul cellulare, numero anonimo, sempre più o meno alla stessa ora, e cominciava: “Pronto…Puppo? Sono Giacomazzi…”…
Quel giorno, ero a casa, appena rientrato, stanco morto, col caldo afoso, più o meno le 16/17, mi squillò il cellulare, “chiamata anonima”: “Pronto…Puppo? Sono Albertazzi…”, così disse quella voce, che non riconobbi e, preso già dal nervoso, di botto, senza lasciarlo proseguire, gli risposi: “Eh adesso mi ha proprio rotto i coglioni, neh?!? Ma si faccia furbo, ma per favore…ma basta…ma domani passo e glieli porto, questi sessanta euro di merda, così la smette, ma vaffanculo, vah…”.
La voce dall’ altra parte mi disse allora, cauta e tranquilla: “Non capisco…E’ lei Puppo? Sono Albertazzi“…
Io capii solamente in quel momento, e avrei voluto che una voragine mi si sprofondasse sotto ai piedi, e mi inghiottisse, e mi facesse scomparire per sempre.
Sorrise, Giorgio Albertazzi, sorrise subito, quella volta, e tutte le volte che in seguito mi chiamò al telefono.
Il mio lavoro, che aveva trovato il tempo di leggere solo dopo tanto tempo, gli era piaciuto assai. Ma il teatro non si improvvisa, ha bisogno di cura incessante e lavorio continuo… Avrebbe interpretato Ezra Pound; per Pier Paolo Pasolini aveva pensato a Kim Rossi Stuart; per la produzione, lo Stabile di Trieste…E dovevo raggiungerlo a Roma, o dove sarebbe stato possibile, per riscrivere certe parti, dietro suo consiglio…
Solo che poi non aveva mai tempo, la sua assistente segretaria meno di lui, Kim Rossi Stuart era impegnato, lo Stabile di Triste cambiò direttore, e col nuovo bisognò ricominciare tutto il discorso…
E insomma, alla fine non se ne fece niente.
Ma sorrideva sempre, Giorgio Albertazzi, come quella prima volta. Nel teatro ci va pazienza, amore incondizionato, dedizione assoluta e impegno continuo. Amore, insomma, senza limiti, come per la cultura in generale, amore che o c’è, o ce l’ hai, oppure è tutto inutile.
Questo mi ricordo di lui, la lezione che ho imparato da lui. Insieme alla convinzione che anche l’ inarrivabile, può arrivare, anche l’ impossibile può accadere, anche se poi spesso, ahimè, restiamo impreparati di fronte agli eventi.