IN AUMENTO I CASI DI BAMBINI ‘CON DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO’, CHE FARE?
di Stefania Isola * (avvocato – per leccecronaca.it)______Continua a crescere, in Italia, il numero dei bambini e ragazzi ai quali viene diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento o, più brevemente, un DSA.
Secondo il MIUR (e con il supporto dall’Associazione Italiana della Dislessia), i casi ammonterebbero a 187mila sull’intero territorio nazionale.
Di questi almeno 109mila soffrirebbero di dislessia, 39mila sarebbero affetti da disgrafia, 47mila da disortografia e 42mila da discalculia; i numeri, sfortunatamente, potrebbero essere approssimati per difetto.
Un censimento, fatto in provincia di Como, ha rilevato 3.555 casi, con un aumento del 50% in soli tre anni (erano 2370 nel 2013). I casi sono concentrati principalmente nella scuola media dove dislessia e discalculia raggiungono tassi del’8,8% nelle scuole statali e ben 12,4% nelle scuola paritarie.
Seguendo l’analisi del MIUR, questi numeri sarebbero dovuti, nelle scuole medie, “alle difficoltà del passaggio dalla scuola primaria alla secondaria” a causa di una “minore flessibilità didattica e meno disponibilità da parte dei docenti”, causando una “caccia alla certificazione” cui addebitare eventuali carenze formative.
A parere di Daniela Lucangeli dell’Associazione per il Coordinamento Nazionale Insegnanti Specializzati, quello che manca è la preparazione, visto che si proietta tutto sulla prestazione più che sulla funzione, ed il raggiungimento di determinati parametri è misurato senza andare ad analizzare la qualità dell’apprendimento del bambino.
Gli strumenti compensativi previsti per la didattica personalizzata (si pensi alla calcolatrice o ai programmi di video scrittura con correttore) diventano sostanziali solo differenziando le verifiche, analizzando le prestazioni ma allo stesso tempo anche come il bambino rielabora un apprendimento e comprendendo le cause degli errori fatti.
L’uso improprio degli strumenti non associato ad un metodo corretto porta ad un risultato che sembra conforme alle aspettative: andrebbe invece analizzato l’errore, “capire perché il bambino lo compie” e adattarsi di conseguenza. La tecnologia è indispensabile ma questa “è uno strumento, non un sostituto” ricorda Lucangeli, imprescindibile dall’approccio strategico (basti pensare all’Olanda in cui il Governo vietato ufficialmente l’uso dei correttori automatici).
Un punto dolente sono anche le diagnosi; infatti, un conto è il numero dei bambini con DSA un altro quello alunni con profili complessi per cui i spesso vengono etichettati come disturbi specifici quelle che la letteratura definisce “difficoltà nell’apprendimento”.
Infatti bisogna aggiungere quelle che sono conosciute come “learning difficulties” ovvero dei falsi positivi che, trattati opportunamente, possono permettere agli allievi di raggiungere i risultati scolastici richiesti.
Il problema è, quindi, spostato al riconoscimento dei DSA che troppo spesso viene frainteso con le difficoltà nella prestazione: “molti bambini che sembrano avere un disturbo del calcolo –afferma Lucangeli– in realtà non hanno difficoltà di apprendimento perché la didattica non esercita le giuste funzioni”.
Se si considera poi che i centri di neuropsichiatria sono obbligati legalmente a certificare una diagnosi affinché il bambino possa avere accesso al trattamento personalizzato, ecco che anche i bambini che avrebbero solo bisogno di “una mano” di colpo diventano affetti da DSA.
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