LA PROVOCAZIONE / “Qui tutto è lasciato al caso e al fatalismo”, IL MURO DI GOMMA DELL’INDIVIDUALISMO CRONICO CHE CONDIZIONA IL NOSTRO SALENTO
di Giovanni D’ Elia______
Una riflessione estrema e provocatoria sul modello sociale del Salento.
La più grave piaga del Salento è la frammentazione, l’individualismo, i personalismi, il curare il proprio orticello senza curarsi del “bene comune”. Mi pare di parlare una lingua straniera quando dico che tutto il territorio è casa nostra, mentre tanti puntano solo a curare il proprio orticello o il proprio campanile. E’ desolante e disarmante assistere inermi al perpetrarsi quotidiano di un modello ormai immutabile.
Chi leggerà queste parole probabilmente non capirà a fondo la tristezza nel prendere consapevolezza dell’essere disarmati di fronte a un modello sociale che si ripete da secoli e che si mostra servo di un colonialismo fatto di palesi menzogne assunte per vere.
Qui in Salento tutto è lasciato al caso e al fatalismo. Ad un certo punto bisogna anche prendere consapevolezza dei propri limiti e rinunciare a trovare la sintesi.
A ci fatia na sarda, a ci no fatia na sarda e ‘mmenza.
Questo proverbio me lo ripeteva continuamente mio nonno, grande lavoratore, quando ero bambino. L’ho perso quando avevo 13 anni, ma ho ancora il ricordo vivo dei momenti in cui me lo diceva.
All’epoca non capivo cosa volesse significare, ma lo avrei capito solo molto tempo dopo.
Solo ora, però, ho davvero dato un significato al proverbio che mi ripeteva continuamente.
E’ solo da cinque anni che vivo nel Salento. Quando torni a casa dopo una lunga esperienza fuori, vedi la realtà con occhi diversi. Me lo dicevano, ma non ci credevo. Mi dicevano che sarebbe stato difficile reintegrarsi in questa realtà quasi immutata dai tempi del latifondo, però sai com’è: sei armato di buone intenzioni e di tante idee e non dai credito a quelli che – a tuo avviso – cercano di frenarti.
In effetti avevano ragione.
Mi verrebbe da dire che “il Sud è un muro di gomma composto da menti retrograde”, ma poi sarei tacciato di qualunquismo. Allora mi limito a dire che la mia esperienza mi ha portato all’idea per cui la realtà in cui vivo è composta da un muro di gomma fatto di servilismo, colonialismo ed eccessi di individualismo cronico.
E’ l’individualismo il vero – enorme – problema.
Sembra quasi di vivere in un romanzo kafkiano fatto di tante prime donne che s’incontrano e si scontrano in perenni lotte per una sopravvivenza limitata a difendere il proprio orticello, al massimo – in un enorme gesto di generosità collettiva – il proprio campanile. Ma non di più. Il concetto di “bene comune” qui è mangiucchiato, tritato, sminuito e ridotto a un forfettario elemento vacuo e indistinto, quasi nebbioso, quasi fosse un obiettivo da raggiungere nei salotti radical-chic, nelle piazze al microfono o davanti alle telecamere, in cui l’ego si mostra in tutta la sua essenza, mascherandolo con concetti vuoti e triti e parole di largo consumo.
Odio questa gente. Quella che si nutre di applausi fini a sé stessi e di autoreferenzialità orientata all’alimentazione del Sé.
Questa, per me, è la sintesi di tutto ciò che questo territorio così martoriato – il Salento – sta vivendo in questi anni.
Detto in altri termini, qui sembra quasi impossibile cooperare per raggiungere un obiettivo comune. Perché è impossibile mettere insieme tanti individui il cui unico obiettivo è alimentare il proprio Ego.
A ci fatia na sarda, a ci no fatia na sarda e ‘mmenza.
Chi lavora per raggiungere un obiettivo, ottiene meno di chi si vive addosso. Lavorare significa mettersi in gioco, cercare di ottenere dei risultati. Chi parla e basta, ottiene tanti applausi, tanta considerazione, ma non cambia lo stato delle cose (volontariamente o no).
Bene. Preso atto di ciò, sono consapevole che è inutile lottare per il bene comune, quando il bene comune qui da noi è interpretato solo come un insieme disgregato e confuso di tanti beni privati.
L’orticello e il campanile sono l’unico obiettivo che si riesce a raggiungere in una miopia storicamente indotta e interiorizzata in secoli di conquiste.
Avete ragione, miei cari salentini, siamo stati conquistati per secoli. Avete ragione. Hanno razziato la nostra dignità.
Ma ora? Ora conoscete la nostra storia, o almeno dovreste conoscerla. Ora sapete perché siamo ridotti in questo stato. Però si continua a commettere gli stessi errori storici, quasi fosse un modello sicuro e immutabile da cui attingere le medesime informazioni, perché l’incertezza del nuovo spaventa e terrorizza