TTIP, OGM E PUGLIA. BRUXELLES-ROMA-LECCE: L’AUTOSTRADA DEGLI INTERESSI
di Eleonora Ciminiello______TTIP, OGM e Puglia, ovvero un trattato, degli organismi geneticamente modificati ed un territorio, si ritrovano “casualmente” tenuti assieme da un filo conduttore che può percorrersi da un capo all’altro, convergendo sempre verso i medesimi protagonisti.
Guardando infatti, allo stato attuale delle cose, la situazione appare sempre più limpida palesando anche i legami, ed il ruolo centrale di alcuni personaggi chiave di una storia, o potremmo dire di un caso, qual è quello che coinvolge queste realtà che non sono da considerare sconnesse fra loro, anzi.
Partiamo con il nostro viaggio da Bruxelles, dove incontriamo Paolo De Castro, coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento Europeo oltre che relatore permanente per il negoziato del trattato di libero scambio Ue-Usa, meglio noto come TTIP.
Per chi non lo sapesse, il TTIP è un trattato attraverso il quale si vorrebbero eliminare i dazi doganali ed abbattere le barriere non tariffarie negli scambi fra Europa e Stati Uniti. Per barriere non tariffarie nel trattato si intendono tutte le norme e le limitazioni previste in diversi settori, fra i quali quello sanitario e fitosanitario. In poche parole, attraverso quest’accordo si vuole produrre una libera circolazione di merci e servizi che rispetteranno una normativa comune, la quale magari sarebbe costruita in modo da far passare alla dogana anche quelli alimenti che oggi vengono bloccati perché potenzialmente nocivi per la salute umana, come le carni e i derivati OGM. A godere del trattato non sarebbero più i cittadini, bensì le multinazionali, con Monsanto in testa. Per capire cosa molti esperti pensano del TTIP riportiamo uno stralcio delle considerazioni che Holly Jarman, docente dell’Università del Michigan, ha pubblicato sull’European Journal of Public Health: «Il rischio per la salute pubblica è che i principi e le norme fondamentali saranno considerati come merce di scambio a favore di vantaggi economici».
La cosa più sconcertante del TTIP è che il Parlamento europeo ha facoltà di porre solo dei quesiti circostanziati alla Commissione Europea la quale potrebbe non rispondere per rispettare la riservatezza del trattato. Il Parlamento voterà il trattato così com’è solo quando il negoziato sarà completo decidendo d’approvarlo o respingerlo, senza alcun diritto né di accesso né di intervento sul testo. Al testo non hanno accesso nemmeno i governi degli stati membri, che per prendere visione del trattato devono recarsi presso le sale di lettura dell’ambasciata Usa a Bruxelles, senza possibilità di farne una copia o prendere appunti. Ricordiamo che il referente per il negoziato TTIP con gli Usa è Paolo de Castro il quale ribadisce ogni volta che glielo si chiede la necessità di accettare le condizioni imposte dagli Usa. A molti l’accordo sembra invece una totale svendita dell’Europa, e soprattutto dell’Italia, alle multinazionali farmaceutiche e fitosanitarie, nonché a tutte le lobby che gestiscono i servizi agroalimentari, sanitari, assicurativi e degli appalti pubblici americani, indubbiamente più potenti e quindi più competitivi.
Ma torniamo al viaggio che stiamo compiendo: perché una normativa fitosanitaria meno stringente ed una libera circolazione delle merci agroalimentari proveniente dagli Stati Uniti dovrebbero aver a che fare con gli organismi geneticamente modificati? Un legame immediato fra il TTIP e Roma può essere rinvenuto nell’ultima Legge sulla Stabilità.
Di fatto, con la Legge di Stabilità 2016 il Ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina ha stanziato 21 milioni di euro al CREA per la ricerca genetica biotech. Usando le parole del Ministro Martina «Non siamo all’anno zero e vogliamo mettere a frutto le grandi professionalità dei nostri ricercatori, riconosciute anche a livello internazionale. Investiamo sulle migliori tecnologie per tutelare le nostre produzioni principali, dalla vite all’olivo, dal pesco al pero. Obiettivi chiari e ben definiti, con un percorso che guarda al futuro della nostra agricoltura. Anche in Europa va condotta una discussione definitiva perché queste biotecnologie vengano pienamente riconosciute, anche sotto il profilo giuridico, diversamente dagli Ogm transgenici», e continua «Il Piano triennale prevede iniziative di ricerca in laboratorio, a legislazione vigente, con biotecnologie più moderne e sostenibili come il genome editing e la cisgenesi. Questi strumenti possono consentire infatti un impegno mirato di miglioramento genetico senza alterare le caratterizzazioni produttive del sistema agroalimentare, migliorandone le performance anche rispetto alla resistenza alle malattie. Su questo approccio si sono espresse favorevolmente le principali società scientifiche italiane tra le quali Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Società Italiana di Genetica Agraria (Siga), Società Italiana di Biologia Vegetale (Sibv)».
Visto che spesso e volentieri si usa giocare con le parole abbiamo deciso di capire cosa sono la cisgenesi e il genome editing. Entrambe sono considerate delle tecniche utili a modificare geneticamente un organismo, tecniche che dai sostenitori OGM vengono considerate un po’ come un cavallo di troia perché capaci di saltare le barriere delle regolamentazioni contrarie agli organismi transgenetici. In buona sostanza la cisgenesi, branca dell’intragenesi, modifica un organismo vegetale utilizzando il DNA della sua stessa specie. “L’Efsa (European food safety authority) ha recentemente concluso che le piante cisgeniche presentano rischi simili a quelli ottenuti con il miglioramento genetico convenzionale, mentre i rischi delle piante ottenute per intragenesi sono assimilabili a quelli delle piante transgeniche”.
Stesso risultato per il genome editing, tecnica biotech di ultima generazione attraverso la quale l’uomo crea un errore all’interno del DNA della pianta per aggiustarlo a suo piacimento. Risultato? Un organismo che in ogni caso non esisterebbe mai in natura.
Non è che il Ministro Maurizio Martina, in assoluto silenzio e continuando a sostenere che l’Italia è contraria agli OGM ha voluto accogliere la richiesta, pervenutagli dai ricercatori baresi, di aprire la ricerca agli Organismi Geneticamente Modificati? La lettera, firmata da tutti i presenti all’ultima Giornata di Medicina Vegetale svoltasi a Bari, di cui abbiamo già parlato qui, appare come un lasciapassare silente. Su un argomento di questa portata, non si dovevano forse chiamare in causa i cittadini? Uno strano legame quindi fra la volontà pressante di De Castro di aprire ai mercati statunitensi e quella di Martina di garantire più cibo, più produzione, più reddito attraverso un’agricoltura costruita ad hoc.
Figlio del sud Italia, Paolo de Castro è originario di San Pietro Vernotico, un comune coinvolto, assieme a tutto il Salento, nel caso sul Disseccamento Rapido degli Olivi.
Più e più volte De Castro ha proclamato la necessità d’agire in fretta per fermare il batterio, mostrando di preferire la soluzione più rapida per abbattere non il microscopico organismo, bensì gli ulivi del Salento. Probabilmente lui, ha conosciuto gli emeriti professori che si sono occupati della questione, da Vito Nicola Savino a Giovanni Martelli, da Angelo Godini a Francesco Faretra, presso l’Accademia dei Georgofili, di cui tutti sono soci. Alcuni sarebbero invece portati a pensare che De Castro sia entrato in contatto con loro per via della sua carica di coordinatore scientifico presso il Ciheam di Parigi (sbandierata sul suo portale ufficiale), l’ente che trova una delle sue sedi italiane nello IAM di Bari, ma in realtà sul sito del Ciheam non vi è traccia di lui.
Quale legame quindi fra il TTIP, la Legge di Stabilità e la Puglia, e nella fattispecie, il Salento?
In vista di scambi commerciali fra Usa e UE privi di dazi doganali e provvisti di norme fitosanitarie più “morbide”, e grazie ad una Legge di Stabilità aperta al genome editing e alla cisgenesi, come poteva essere utilizzato il Salento tormentato dal disseccamento degli ulivi?
Non possiamo dirlo, ma è strano che il 27 aprile 2015, in piena “crisi disseccamento”, viene inaugurata la Banca della Terra, affidata da Legacoop alla Cooperativa Agricola Nuova Generazione di Martano.
La Banca della Terra, istituita in Toscana con Legge Regionale n. 80 il 27 dicembre 2012, prevede la costituzione di un catastino di tutte le terre incolte o abbandonate, degli enti pubblici o di privati, che non hanno i mezzi o la voglia di gestirle, con l’obbiettivo di trasferirle con canone o a mezzo di altro tipo di contratto, ai giovani, singoli o associati.
La gestione delle terre censite dovrebbe spettare ad ART€A, l’Agenzia Regionale Toscana per le Erogazioni in Agricoltura. In realtà la promozione, il reperimento e l’accesso alla Banca della Terra è controllato da Legacoop, come si evince dal portale ufficiale. Legacoop si è impegnata a promuovere l’istituzione della Banca della Terra in diverse regioni, ed al momento 8 regioni italiane hanno sposato il progetto, una di queste è la Puglia. Il meccanismo è quindi quello di individuare una cooperativa di riferimento che compilerà un catastino per il censimento dei terreni abbandonati, incolti, o di privati: chi vorrà aver accesso alle terre per coltivarle dovrà necessariamente associarsi alla cooperativa di riferimento, o ad una consociata che ne fa parte.
L’avvio, in forma sperimentale, della Banca della Terra presso la Cooperativa Agricola Nuova Generazione di Martano è spiegabile, FORSE, guardando ai bilanci 2011/2012 e 2012/2013 del fondo mutualistico di Legacoop, denominato Coopfond dal quale si evince che la società partecipa ad Agricola Nuova Generazione Sc con 1.038.054€ nel 2012, mentre nel 2013 con 1.057.995€.
In Salento in che modo verrà utilizzato il censimento dei terreni? Quali specie o varietà si prevede di impiantare visto che gli ulivi monumentali, al momento dell’inaugurazione della Banca della Terra in Puglia, erano considerati “roba vecchia e improduttiva”?
Non lo sappiamo, e ciascuno può trarne le sue conclusioni, certo è che la Banca della Terra viene inaugurata durante un incontro moderato dal giornalista Tonio Tondo, al quale hanno partecipato, oltre al presidente della Cooperativa Agricola Nuova Generazione, Emilio Saracino, anche il direttore tecnico Codile Lecce, Vincenzo Parisi, il professore emerito dell’Università degli Studi di Bari, Giovanni Martelli, il direttore Aree politiche sviluppo rurale della Regione Puglia Gabriele Papa Pagliardini, e il vicepresidente di Legacoop Agroalimentare Angelo Petruzzella: l’incontro aveva come tema “Lotta alla xylella e Banca della Terra subito”.
Quindi, mentre in Europa Paolo De Castro spinge per chiudere l’accordo TTIP con gli Usa, e mentre a Roma il ministro Maurizio Martina stanzia 21 milioni per produrre organismi vegetali biotech, in Salento ad aprile 2015 si avvia la Banca della Terra, per censire tutte le terre pubbliche e private che non si vogliono coltivare, magari perché qualcuno dice siano “malate”. Ed una volta censite? Chi le avrebbe prese? Per coltivarci cosa? Magari, e diciamo solo forse, potevano essere utilizzate per partecipare alle sperimentazioni pagate lautamente da Martina, oppure per accogliere le nuove piantine del progetto POnTE, o forse ancora per avviare sistemi superintensivi con più alti guadagni.
Mille forse e ancor più domande, le cui risposte si nascondono in ciò che resta delle singole coscienze di tutti i protagonisti.
Il dato di fatto inoppugnabile resta comunque uno: l’autostrada Bruxelles-Roma-Lecce esiste, e più di qualcuno ha deciso che è la via più conveniente da percorrere.
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Notevole, qualcuno finalmente che inizia a capire e trattare l’argomento sul serio: il governo è chiaramente responsabile. Basti vedere il servizio realizzato dalle iene, gli arresti fatti e cosa non meno rilevante il maldestro tentativo del governo di svendere il made in italy, in particolare l’olio d’oliva. Per fortuna l’importazione a dazio zero di quantità illimitate d’olio dalla Tunisia al momento è bloccato, la proposta è italiana ovviamente, difficile pensare a una coincidenza