NINO DI MATTEO: DALLA TRATTATIVA STATO-MAFIA ALLA RIVOLUZIONE CULTURALE
di Eleonora Ciminiello____«Ma com’è possibile che lui va avanti? Nino di Matteo, quando ha indossato per la prima volta la toga, sedeva accanto alla bara di Paolo Borsellino. E credo che questo spiega tutta la sua vita, e la vita di tutta una generazione di magistrati che vogliono rendere giustizia all’Italia e a tutti noi».
Con queste autentiche e importanti parole, Petra Reski, giornalista d’inchiesta tedesca, accoglie il magistrato Nino di Matteo intervenuto all’incontro su La Mafia dal colletto bianco, organizzato da l’associazione Spazi Popolari e Anita Rossetti, il Centro servizi Interuniversitario per l’Innovazione Didattica, il Dipartimento di Storia Società e Studi sull’Uomo e dalla Facoltà di Scienze della Formazione Scienze politiche e sociali dell’Università del Salento.
Uomo fermo di Matteo, che dinanzi alla platea è come un fiume in piena, parla di legalità, di giustizia, di memoria, di rivoluzione culturale.
Non un personaggio o un eroe, ma un «cittadino come tutti gli altri che crede nell’utilità di quello che fa», così si definisce. L’invito alla riflessione di Nino di Matteo, rivolto ad una sala gremita di uomini, donne e ragazzini, è accolto con l’assoluto silenzio e la massima attenzione: è come se i presenti fossero lì per nutrirsi di quella verità tanto scomoda da rendere quest’uomo obbiettivo di ordini di morte.
Il discorso prende avvio proprio dall’essenza del tema della giornata, ovvero La Mafia dal colletto bianco che di Matteo traduce nella «capacità della mafia di infiltrarsi, di condizionare anche pesantemente l’attività della politica come delle istituzioni».
Per l’esistenza stessa del sistema mafioso è quindi indispensabile la collaborazione, il patto, “la trattativa” con lo Stato: usando le parole di un mafioso importante, di Matteo spiega al pubblico il nocciolo dei legami fra Stato e Mafia «se cosa nostra non avesse avuto, e non avesse ancora oggi, gli agganci che ha, sarebbe solamente una banda di sciacalli, di criminali ordinari, niente di più. Sarebbe un’associazione destinata a scomparire in poco tempo a fronte di una normale azione repressiva dello Stato. Invece, si dicevano Riina, Brusca, Provenzano, siamo diventati così potenti grazie alle collusioni, alle amicizie con la politica e con pezzi dello Stato».
La Mafia trae quindi forza da quelle parti della politica e delle istituzioni che sono colluse con essa, e da banda di sciacalli si trasforma in un gigante irrefrenabile, perché chi ha il DOVERE di frenare, spezzare, sciogliere quei legami, SI OPPONE, non perché quei legami non riesce a vederli, ma perché è colluso, perché è esso stesso Mafia, perché si è trasformato nell’elemento cardine di questo sistema.
Il primo messaggio che ci raggiunge è quindi questo: ciascuna organizzazione mafiosa, da Cosa Nostra alla ‘Ndrangheta, dalla Camorra alla nuova Sacra Corona Unita, non sarebbe un pericolo per gli uomini giusti e per l’intero sistema economico e sociale, se non esistessero politici e porzioni delle istituzioni a tutti i livelli, conniventi con essa.
Ed è un messaggio che ciascuno di noi vive quotidianamente, perché la mafia non si esprime attraverso il suo braccio militare ma lo fa soprattutto attraverso l’adozione di metodi mafiosi nell’esercizio del potere, da parte di dirigenti, membri delle istituzioni, amministratori, politici. A differenza delle altre democrazie avanzate, in cui la criminalità resta un capitolo circoscritto rispetto alla storia nazionale, «In Italia, invece, la questione criminale è stata ed è intrecciata inestricabilmente con la storia nazionale, perché i protagonisti di quella storia criminale, sono stati settori della classe dirigente, e questo non è un fenomeno solo recente». La Mafia dal colletto bianco è quindi la mente del sistema mafioso, che si compone di politici come di professionisti, di imprenditori e di membri della pubblica amministrazione, i quali sfruttano il loro potere per corrompe, piegare al favore, comprare in cambio di un voto, al fine di controllare il territorio, modellandolo sui propri interessi.
Gli infiltrati in politica sono fondamentali: infiltrando degli elementi mafiosi all’interno delle istituzioni è possibile acquisire denaro pubblico ma anche agganciare uomini politici di più alto livello ed ottenere da loro protezione. In quest’ottica si comprende bene come il fine ultimo della mafia sia la pacifica convivenza con le istituzioni, che vengono controllate, dall’interno, dai mafiosi. La mafia non è solo quella militare, quella “che spara, che uccide”: la mafia, quella di Cosa Nostra, come quella presente in tutta Italia è gestita dai colletti bianchi, i quali ricorrono ai crimini come soluzione finale.
La visione riduttiva della Mafia, come organizzazione criminale, è spesso fuorviata dall’informazione, un’informazione che tace, che preferisce non parlare, che preferisce attendere i comunicati stampa evitando di scavare per mettere in luce la realtà. L’informazione, quella viva, vera, che indaga, è scomparsa. Anche quando un’informazione autentica continua a persistere viene spesso osteggiata dalle redazioni, le quali favoriscono il silenzio e l’omertà su tematiche che possono danneggiare i colletti bianchi di turno.
E’ per questo che i cittadini devono cercare, pretendere la verità nell’informazione, operare, dice di Matteo, quella rivoluzione culturale che parta dalle loro coscienze «una rivoluzione culturale che ponga fine allo strapotere del metodo mafioso», anche tenendo viva la memoria, «il bene più prezioso che abbiamo».
Non si dovrebbe mai dimenticare chi è stato dichiarato colpevole di alcuni gravi collegamenti con l’organizzazione mafiosa, da Andreotti a Dell’Utri, così come non si dovrebbero mai dimenticare le stragi, da Piazza Fontana a quelle di mafia. Non si dovrebbero mai dimenticare i nomi degli esecutori materiali delle stragi, ma non si dovrebbero nemmeno mai dimenticare i mandanti di quelle stragi, come vorrebbe il sistema politico.
Svelare quelle verità permette di non essere più sotto il ricatto del potere mafioso, consente di rendere l’Italia una democrazia libera, una democrazia vera.
Memoria, rivoluzione delle coscienze, ricerca della verità, capacità di non piegarsi e di non cadere nella rete delle opportunità: lezioni di vita in una sala in cui non esiste tensione o paura. Pensando all’ordine di morte che pesa sul magistrato di Matteo, pensando all’energia ed alla limpidezza delle sue parole, ci si rende subito conto che questa è una giornata storica, una giornata documento per ogni anima di chi vi ha partecipato, una giornata che spinge tutti a impegnarsi a cambiare lo Stato delle cose, perché con uomini come lui e attraverso un popolo pronto a lottare per essere libero dai condizionamenti che la mafia impone, “questa terra sarà bellissima!”.
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