DOPPIA CORSIA, COMPLANARI, PISTA CICLABILE E MEGAROTATORIE, IL FARAONICO AMPLIAMENTO DELLA SQUINZANO – CASALABATE, UN’ ALTRA OPERA INUTILE E DEVASTANTE. ECCO CHI LA VUOLE, PERCHE’ E SOPRATTUTTO PERCHE’ PROPRIO ORA
di Eleonora Ciminiello______
Una strada e un progetto d’ampliamento da un lato, la salvaguardia del paesaggio naturale, archeologico ed artistico dall’altro. Storie d’ordinaria amministrazione, direbbero alcuni, che in Salento assumono sempre più le sembianze di storie d’ordinaria follia.
Siamo sulla Squinzano – Casalabate, ritornata nel mirino dell’amministrazione provinciale solo recentemente. Per comprenderne il perché dobbiamo fare un passo indietro.
Il progetto dell’ampliamento della Squinzano – Casalabate risale a decenni fa, quando l’amministrazione si accorge della pericolosità di un tratto di strada che, semi deserta durante quasi tutti i mesi dell’anno, comincia ad affollarsi, come ogni strada salentina, nei mesi estivi, ed in particolar modo ad agosto. Per ovviare alle folli corse dei conducenti che, finestrini abbassati, percorrono questa strada nel mese più caldo dell’anno, l’amministrazione stende un piano: non un piano d’ampliamento qualsiasi, ma uno di quei piani che palesa come la civiltà e lo sviluppo di una società corrono di pari passo alla distruzione dell’ambiente. E’ così è, infatti, e per comprenderlo basta dare uno sguardo alla pianta del progetto. Doppia corsia, complanari, pista ciclabile ed un numero di rotatorie ancora imprecisato su un percorso di appena sei chilometri.
L’amministrazione provinciale vuole mostrare in grande il suo grado altissimo di civiltà, e quanto tenga allo sviluppo del suo territorio. Chi pagherà i danni? L’ambiente ovviamente, e dietro di lui, gli abitanti del Salento, per i quali si prospetta un altro lembo di territorio cementificato e nudo, ed un’enorme quantità di denaro pubblico che si trasforma in asfalto.
A dircelo chi si è accorto che il progetto dell’ampliamento della Squinzano – Casalabate è stato ripescato dai cassetti della Provincia leccese, ovvero il coordinamento NOAmpliamento di cui sono portavoce l’artista Tania Pagliara e Giuliana Mastroleo del comitato Alba Nuova Difendiamo il Territorio, un coordinamento formatosi spontaneamente per fermare lo scempio che seguirebbe se si desse realmente vita all’ampliamento.
Le portavoce informano, infatti, che l’opera inciderebbe in maniera quanto mai significativa sul territorio circostante, perché in esso dimorano beni naturalistici, archeologici e culturali di valore inestimabile.
Partiamo dalla natura: per la realizzazione della nuova strada e delle relative rotatorie è necessario eradicare almeno mille alberi di ulivo (anche se, guardando al progetto, si pensa a qualche migliaio), la maggior parte dei quali secolari. Un danno all’ecosistema incalcolabile quindi, perché tale eradicazione non renderebbe solo il paesaggio completamente diverso ma inciderebbe anche sulla flora e sulla macchia mediterranea che ovviamente, andrebbe distrutta. Non solo. In virtù della legislazione straordinaria introdotta con il Piano Silletti ed in riferimento alla recente normativa UE con la quale si definisce il Salento come “zona infetta”, gli ulivi eradicati non potrebbero più essere ripiantati altrove, perché considerati come specie potenzialmente pericolose.
Alla desolazione di non essere circondati più da esemplari meravigliosi di ulivo, si affianca una devastazione archeologica e artistica molto importante. Nell’aprile 2012, infatti, proprio lungo la Squinzano – Casalabate, l’appassionato di archeologia e storia salentina, Filippo Montinari ha rinvenuto un menhir monolitico (nella foto), unico nel suo genere in territorio squinzanese, e nei suoi pressi una pietra discoidale, con graffiti che fanno pensare che sia un disco solare. Due ritrovamenti di enorme importanza dal punto di vista archeologico, perché testimoniano la presenza di insediamenti antichissimi, andando ad ampliare il patrimonio pugliese e salentino in maniera molto incisiva. Filippo Montinari e Tania Pagliara, già nel 2012, comprendendo l’importanza del ritrovamento hanno sin da subito tentato di far riconoscere ed inserire il sito all’interno del catalogo delle opere archeologiche censite. Ma a tutt’oggi, l’operazione di censimento, è risultata un buco nell’acqua. E c’è di più.
Il megalomane ampliamento, inciderebbe anche sul complesso dell’ex Badessa, attualmente in vendita, che è stato per anni un istituto agrario di importanza cruciale non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Oltre al complesso, ad andare persi sarebbero anche le pajare, e tutti i muretti a secco, anche quelli edificati utilizzando i finanziamenti resi disponibili dall’UE, e quindi sottoposti a vincolo.
Paesaggio, cultura, archeologia, siti di importanza artistica e storica. Tutto vuole essere demolito in nome di una civiltà dittatoriale che pensa di potersi arrogare il diritto di eliminare, alla stregua di un tiranno, la storia, le tradizioni, la natura di un popolo e di un territorio.
Tania Pagliara e Giuliana Mastroleo si dicono concordi nell’ampliamento ragionato e nella messa in sicurezza della strada in maniera equa ed equilibrata, contrastando solo il progetto faraonico non solo in termini di consumo del suolo, ma anche di denaro pubblico.
Studiando i passaggi, le attese, e l’improvvisa urgenza di dar vita al cantiere dell’ampliamento, io mi chiedo PERCHE’ E SOPRATTUTTO PERCHE’ PROPRIO ORA.
Innanzitutto mi chiedo: qual è il senso di un progetto di questo genere, un progetto che intende sottrarre alla campagna suolo per costruire una nuova carreggiata a doppia corsia, che intende edificare delle circonvallazioni, che intende inserire una pista ciclabile, che vuole inserire almeno quattro, se non sei rotatorie, in un tratto di strada provinciale frequentato per un mese, al massimo due all’anno?
Non sarebbe più logico pensare ad una messa in sicurezza più consona rispetto al traffico realmente esistente su quel tratto?
Come mai, nonostante il ritrovamento di una testimonianza storico-archeologica di importanza cruciale, come quella del menhir, nessuno ad oggi, ed in particolar modo la Sovraintendenza dei Beni Culturali, ha voluto catalogare e valorizzare il ritrovamento, segnalandolo e proteggendolo come merita?
Perché da nessuna parte si riscontra la volontà di proteggere le pajare, ritenute a livello nazionale, ed ancor di più a livello mondiale, dei simboli della storia salentina?
Come mai non si tiene conto della presenza dei muretti a secco protetti da vincoli perché finanziati dalla Comunità Europea?
Ed in ultimo, perché si sceglie di eradicare e fare a pezzi centinaia e centinaia di secoli di storia del paesaggio rurale salentino, si decide di eradicare migliaia di alberi d’ulivo PROPRIO ORA? PERCHE’?
La mia opinione, così come quella di tanti salentini, è che qualcuno stia sfruttando la situazione. Qualcuno, proprio grazie alla determina della Comunità Europea ha deciso che questo sia il momento più propizio per mettere in atto piani di sviluppo sino a qualche tempo fa impraticabili, proprio perché andavano ad incidere su un paesaggio sottoposto a rigidi vincoli. Nessuno, solo qualche anno fa avrebbe mai potuto pensare di deturpare l’ambiente, ed ancor peggio eradicare ulivi secolari. Nessuno avrebbe mai potuto pensare di non tener conto dell’archeologia, della storia, della cultura senza doverne pagare le conseguenze.
Nessuno si sarebbe mai permesso di mettere in atto un ampliamento degno di una complanare newyorkese, su un tratto di strada provinciale che porta al mare. Ma ora tutto sembra lecito, pare che tutto si possa fare. D’altronde c’è l’emergenza, un’ emergenza che si sta spogliando sempre di più svelando quale sia la sua vera natura: quella che ha la maschera dei soldi pubblici, da spendere, sperperare in fretta, sino a quando la “malattia” non verrà svelata.
Ciò che diventa sempre più chiaro, in ogni storia che riguarda il Salento negli ultimi mesi è solo una cosa: la malattia non ha colpito gli ulivi, ma solo la mente umana di alcuni, che non è collegata alla loro coscienza, ma solo ai loro portafogli.
Category: Cronaca