leccecronaca.it incontra…Christian Imbriani

| 2 Novembre 2012 | 0 Comments

“Sono sempre innamorato, ma con con fatica e intelligenza”

Favorevolmente sorpresi dai suoi multiformi interessi, dal suo dirompente entusiasmo e dalla peculiarità della sua arte, abbiamo incontrato il giovane artista leccese Christian Imbriani, per conoscerlo e farlo conoscere meglio.

Lo abbiamo fatto parlare, un po’ a ruota libera, per meglio consentirgli di  raccontare di sé e degli altri.

Ne è venuta fuori una testimonianza d’arte e di vita, che siamo lieti di condividere con i lettori– protagonisti della nostra community.

 

1)Quando si è scoperto artista? Cioè, per meglio dire, che cosa significa per lei essere artisti?

Diventato professionista, ho compreso d’essere sempre stato un artista a tutti gli effetti. Sin da piccolo preferivo analizzare il mondo da una prospettiva critica e costruttiva, fornendo opinioni tramite la dimostrazione di tesi personali, non tralasciando l’estro espositivo e la creatività del pensiero che diviene gesto; crescendo ho poi acquistato una retorica che ne ha complicato la comprensione, ma questa è una variabile imprevedibile del carattere!

Gli esecutori che si possono misurare sui diagrammi della quotidianità e dell’interesse privato sono soltanto dei surrogati d’artista; l’arte che soffre di abitudini, malata di routine, è una meteora che scompare quando meno ci pensi. Per essere degli artisti bisogna essere generosi ed amare l’Arte a qualunque prezzo.

L’artista è un medium che ha nel segno (di diversa forma e entità) il suo convenzionale mezzo e metodo di comunicazione, carico del fascino dirompente della sua identità, unito al sapore mitico della scoperta dell’universo.

 

2) Qual è la Sua formazione?

Formazione tradizionale per il settore in questione. Ciò che ha veramente fatto la differenza è la fortuna d’aver trovato dei docenti validi al momento giusto, che han formato la mano in virtù della mente, e bisogna averne di questa fortuna nella scuola italiana d’arte!

Lo studio e il lavoro personale, fatto di sperimentazioni e verifiche continue – impiegando intelligenza e senso estetico (oggettivo e soggettivo) – sono i risultati formativi che ho sempre perseguito, alla ricerca della contemporanea perfezione.

Sono sempre stato un autodidatta che non ha mai disdegnato un ottimo consiglio!

 

 

 

3) Come commenterebbe il Suo stile?

Lo stile è presente nel tuo DNA dalla nascita, si evolve ma non si cambia, e in tal caso, si compie una violenza alla propria essenza più intima.

Lo stile è un modo di fare incondizionato e non consiste nel produrre certi soggetti, forme, colori o note ma, è piuttosto una traccia indelebile dell’autore: bisogna essere coraggiosi e cercare sempre nuovi soluzioni, non accontentarsi e evolversi in continuazione per far emergere e imporre il proprio stile.

 

4) Ci può parlare della Sua arte più in particolare?

Le opere d’arte sono dotate di una indipendenza tale da permettere loro di vivere autonomamente. Il mio compito è quello di promuovere, valorizzare e tutelare la loro esistenza; perché è giusto staccarsi dalla centralità dell’autore e focalizzare l’attenzione sul suo operato che, di per sé, è molto più interessante. Garantisco uno standard qualitativo e intellettuale elevato alle mie produzioni, accontentando la domanda della committenza (esterna o personale), lasciando parlare solo i risultati.

Trovo difficoltà ad essere soddisfatto del mio lavoro a causa di una feroce, indomita e allucinata volontà di riuscita, e ritengo che questo baluardo di credibilità, dia maggior spessore a ciò che faccio.

 

5) Cosa La porta ad iniziare una nuova opera?

Un’attitudine nel produrre arte, dal concepimento dell’idea alla proposizione pubblica dell’opera. Un’indole creativa che si offre all’altro con il suo operato fisico, compiendo un servizio pubblico tramite qualcosa di tangibile con le mani e l’anima. Il riscontro è l’interesse che susciti, la strada che spiani, l’utilità che proponi.

 

6) Metodo di lavoro?

Documentazione, progetto, realizzazione.

Ogni fase è soggetta a revisioni continue che garantiscono l’organicità del processo creativo e la sua buona riuscita. Le verifiche sugli sviluppi possono portare anche all’abbattimento dei risultati ottenuti se s’è travisata la proprietà concettuale del lavoro, e questo accade solo nelle sperimentazioni e studi.

Un rigore nel metodo permette di gestire più lavori contemporaneamente, traendone così dei benefici estetici: molte volte risolvo l’enigma di un quadro scrivendo o componendo musica.

I tempi di produzione devono rispettare i contratti stipulati con la committenza, senza proroghe o altre mancanze; nel cinema ad esempio, si deve esser rapidi e performanti, dimenticando le licenze della vita d’artista e concentrandosi sulle serrate scadenze tipiche di questa applicazione del mestiere.

 

7) Sensazioni provate all’inizio di un nuovo lavoro?

Il brivido dell’imprevisto deve aleggiare sempre durante il lavoro, in particolare all’inizio. Il metodo offre valori organizzativi e di gestione, ma un lavoro d’arte si crea nel presente e l’atto creativo è fatto di eventi non calcolabili che conferiscono veridicità all’opera. In caso contrario, s’è alla stregua delle macchine che compiono degli ordini.

Una profonda concentrazione permette di cogliere gli aspetti positivi dell’estro, portandoli senza filtri nella creazione in divenire.

C’è una  continua trasformazione della propria spiritualità per mezzo dell’Arte, in cui le sole opere sono le beneficiarie di questo simposio di sensazioni: è come essere costantemente innamorati, e per mantenere e far crescere un tale rapporto servono fatica e intelligenza.

 

8) La cultura serve per fare l’artista?

La conoscenza è sempre utile, non si trascende da essa. Bisogna sapere per formarsi un’opinione personale, per avere la nostra risposta ai “perché” delle cose. Il progresso è vincolato all’intelletto che elabora gli insegnamenti della conoscenza; è nel libro della vita che si specchia la storia dell’uomo.

 

9) Quali sono le Sue considerazioni sull’arte contemporanea?

Poca roba da estirpare dal marciume globale, ne deriva la difficoltà a trasmettere qualcosa di valido nel glitterato pecorume che affastella i media. Il risultato è una palese difficoltà nel sopravvivere in un ambiente logoro e cannibale di se stesso. Se non vendi l’anima, sei un soldato idealista armato di tecnica e estetica raffinate, che si fa strada in una giungla labirintica avvolta nelle tenebre. Chi si rivede in queste metafore, deve farsi sentire e unirsi agli altri che la pensano allo stesso modo, e lottare per il meglio – anche grazie l’ausilio del web – che per costituzione, potrà permettere quanto appena auspicato.

 

10) Quali artisti del passato sono più affini alla Sua sensibilità?

Fare dei nomi è storicamente inopportuno, ma posso dire che la mia sensibilità è affine a quella degli autori che han avuto la capacità di porre l’attenzione su quello che vale la pena di far vedere e che non sempre si vede, cogliendone il diverso, non il superfluo.

 

11) Infine – e veniamo all’aspetto peculiare, ultimo della Sua arte– sia nella scenografia, sia nell’illustrazione, Lei ha iniziato a lavorare per il cinema. Ci vuole spiegare codesto rapporto?

La situazione attuale del cinema italiano è critica e stazionaria, con una spiacevole inclinazione verso l’autodistruzione.

Un a cura può consistere nel “cavalcare” la crisi tramite una terapia d’urto, utilizzando a proprio vantaggio le difficoltà esistenti  (in primis i fondi) e rivedendo le politiche economiche, portandole alla pari delle elevate qualità delle maestranze nostrane, che tuttora sono costrette a annaspare nella scarsa validità dei prodotti cinematografici recentemente realizzati.

Non investire, o mal investire nel cinema (e di riflesso nella cultura) ha penalizzato le realtà sociali più sensibili come il Salento, che dopo l’apice del successo ottenuto nel 2009 con Mine vaganti  ha smesso di fare film con i salentini. La causa di questo disagio è direttamente imputabile alla deviata visione che si ha del Salento (edi tutte le sue tradizioni) fuori da esso, anche e soprattutto nel resto d’Italia fomentata. La mancanza di una strategia di sviluppo territoriale nel settore cinema, ha falsato l’immagine del nostro territorio, relegandolo al ruolo di “cartolina illustrata” ed esaurendone l’immaginario collettivo consumandone le location. Siamo stati depredati visivamente e violati concettualmente, ne sono un esempio le ultime pellicole che possiamo con imparzialità dire siano un teatro di storie ambientate in un generico sud. Mi dispiace quindi, prendere atto che al momento esiste un cinema del Salento e non nel Salento.

Una interessante soluzione da aggiungere a quelle già proposte, è la creazione di una scena artistica salentina, che promuova/monitori/tuteli il nostro territorio, rettificando in tempo utile eventuali “incidenti di percorso” quali il brano-video sul Salento di B. Antonacci.

 

Category: Cultura

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