LECCE, L’ ORO, IL SANGUE E LA STORIA
di Valerio Melcore______
Siamo nei pressi di Porta Rudiae, il sole sta tramontando e siamo bloccati nel traffico cittadino con la nostra bella e spaziosa auto, quando una giovane famiglia al completo, madre, padre e due figli, a bordo della loro bicicletta, ci “sfreccia” davanti superando la fila di auto. Le foto lasciano a desiderare, scattate dall’interno della macchina, quando il giorno sta per lasciare il posto alla sera, in rapidissima sequenza con un cellulare tenuto con una mano, mentre l’altra stringe il volante.
Scattate velocemente prima che quella che sembrava un’immagine d’altri tempi, svanisse.
La scena viene comunque documentata, e ci riporta ad un’Italia di qualche anno fa, anzi di diversi decenni fa, quando nella provincia salentina le persone, ancora con la testa infarcita di retorica fascista, erano convinte che i figli fossero una benedizione del cielo, e quando un uomo magari disoccupato proprio nel periodo in cui stava per diventare padre, preoccupato per la sua situazione economica confessava ad un amico le sue paure per il nuovo figlio che arrivava, si sentiva rispondere ” non ti preoccupare, i bambini quando nascono, la pagnotta se la portano sotto il braccio”, oppure, ” ma cosa stai a pensare, dove mangiano tre mangiano quattro”.
C’era ancora chi canticchiava: “contro l’oro il sangue fa la storia” , ed erano convinti che la storia appartenesse ai loro figli, ai quali sicuramente il futuro avrebbe riservato un destino migliore del loro.
Ognuno per i propri figli sognava un avvenire grandioso, e non importava se in quel momento in casa non c’era una lira, e si andava a fare la spesa con la” libretta”, per poi fare i conti con il salumiere alla fine del mese. Era il tempo in cui l’uovo di gallina era il re della tavola, sostituendo la più costosa carne. Ci si spostava in bicicletta, o magari su un Motom, su una vespa Piaggio o su una Lambretta, e non era raro vedere un ciclomotore con a bordo tre o quattro persone. Se la casa era piccola ci si stringeva, nelle stanze si montavano delle tende tenute su da due chiodi, per separare gli spazi e garantire un minimo di intimità.
Poi la storia è cambiata, anche nel Salento ha preso piede un’altra retorica, meno grandiosa, meno sognante, non più uomini che dovevano fare la storia, non più parte di un popolo che doveva avere un ruolo importante nel mondo, ma singoli individui, monadi alla ricerca del proprio piacere. E a questo bisognava sacrificare tutto, anche i figli.
Già i figli, che poi sono un prolungamento del nostro essere, è l’unica cosa che resta dopo la nostra morte, l’unica eredità che lasciamo del nostro passaggio terreno, eppure li abbiamo sacrificati sull’altare del Carpe Diem.
L’aborto come pratica comune, il figlio visto, non più come un dono di Dio, ma come un problema da risolvere, da eliminare, per non bloccare la propria carriera, o sacrificare la prossima vacanza già prenotata da tempo in qualche paese tropicale. Per fare un figlio c’è sempre tempo. Poi il tempo passa, e quando la carriera è al culmine, e tutti i personali ed egoistici desideri esauditi, si pensa a fare un figlio, ma, il tempo è passato e anche l’orologio biologico è andato avanti.
Il figlio non arriva, e allora si ricorre ai medici, alle cure di ormoni, alle inseminazioni artificiali, e quando neanche queste bastano, si adottano i figli di altri.
Insomma uno strano comportamento, unico nel mondo animale, una popolazione la nostra, che uccide i propri figli in giovane età, e in vecchiaia poi alleva i figli degli altri.
Nel mondo animale esiste un uccello, il cuculo, che con il suo comportamento in qualche modo ci ricorda un po’ il nostro.
Quest’uccello, come molti sanno, quando altri tipi di volatili hanno preparato il nido e deposto le uova, in mezzo a queste furtivamente ne depone uno suo. Gli ignari genitori adottivi covano amorevolmente anche l’uovo del cuculo, il quale ha la caratteristica di schiudersi prima degli altri ed appena nato con l’aiuto del dorso, si sbarazza delle altre uova non ancora schiuse presenti nel nido rimanendo quindi come unico ospite. I genitori adottivi vengono ingannati da questo comportamento e nutrono il cuculo come se fosse un proprio piccolo.
Ecco noi assomigliamo un pò a questi pennuti, evitiamo di far nascere i nostri figli e alleviamo quelli degli altri.
Dalla ricerca del benessere per la propria famiglia, dall’acquisto degli elettrodomestici, dell’auto, che avrebbe permesso, tra le tante altre cose di portare la famiglia al mare, magari a Porto Cesareo o a Gallipoli, si è passati alla ricerca del piacere personale, l’io egoistico ha preso il sopravvento, la cultura, la moda, la politica, ci hanno spiegato che il singolo, che l’individuo è al centro dell’universo, anche a danno della famiglia, dello Stato, anche al di sopra e prima dei propri figli.
Un popolo così è normale che scompaia, ed infatti sta scomparendo, gli Italiani che muoiono sono più di quelli che nascono, altri popoli prenderanno il loro posto.
Popoli poveri, che investono sul loro futuro, perchè investono sui figli, ancora una volta, “contro l’oro”, contro il consumismo sarà il “sangue a far la storia”.
La bici della foto è emblematica, la bici montata da una famiglia che sorpassa auto di grossa cilindrata, vuote, guidate da signori o signore sempre più ingioiellati e sempre più anziani, che non hanno figli che li assistano e che li proteggano nella loro vecchiaia, e a cui donare il frutto del loro lavoro.
La bicicletta che si muove grazie alla pedalata, al sangue che pulsa nelle vene, ad un cuore che si sa sacrificare per la sua famiglia, sorpassa le auto che si muovono solo grazie all’oro nero.
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