LA VERGOGNOSA PRATICA DELLA COMPRAVENDITA DEI VOTI. VI RACCONTIAMO COME SI FA
Allora, in attesa che le indagini vadano avanti, compiute da chi è preposto istituzionalmente a compierle, a noi giornalisti il compito di documentare quanto è successo, come abbiamo fatto nei due lanci di questa mattina e di questo pomeriggio, per quanto possibile.
Giustamente e correttamente Giuseppe D’ Ambrosio non ha fornito dettagli in pubblico, riservandoli agli inquirenti: “Essendo un reato penale grave è partita un’ indagine e non posso pubblicare la mia denuncia che contiene particolari importanti per l’indagine stessa, come anche le persone coinvolte che presto saranno ascoltate dall’autorità competente”, ha ribadito ancora poco fa sul suo profilo Facebook,
Aspettiamo.
Ma nel frattempo cerchiamo di capirci qualcosa e di riflettere.
Allora, c’è qualcuno/a che a nome e per conto del candidato presidente della regione Puglia, nonché segretario regionale del Pd Michele Emiliano, chiede voti in cambio di soldi.
Un reato grave.
La legge esiste e parla chiaro. Più difficile farla applicare, perché spesso la compravendita dei voti, acquistati dai partiti, passa attraverso oliati meccanismi, talmente diffusi da essere diventati prassi abituale, su cui finora nessuno è intervenuto, anche perché è difficile trovare le prove.
Il primo è la nomina degli scrutatori. Benché ufficialmente riservata ai comuni ed effettuata da un apposito albo, le operazioni di nomina dei membri degli uffici elettorali, a parte il presidente di seggio, designato dall’ ufficio elettorale della Corte d’ Appello, e il segretario, che il presidente stesso si sceglie e si porta in maniera insindacabile (e questa è un’ altra anomalia) sono fatte senza trasparenza alcuna.
Sono anni, decenni, che ai seggi, a fare gli scrutatori, ci vanno sempre le stesse persone: ci vuole tanto a capire che esse sono in qualche modo amici e compagni del Pd e di Forza Italia? E che i soldi ad essi dato dallo Stato quale compenso per il servizi svolto siano considerati un regalo del loro partito?
L’ unico rimedio – proposto qua e là dal M5S, in questi due ultimi anni, ma regolarmente bocciato – è che le designazioni degli scrutatori sia effettuata per sorteggio, e riservata ai disoccupati, anche per dare loro un minimo di soldi, sia pur una tantum. Niente da fare.
Ma questo è ancora poco. Se avrete la pazienza di seguirci nel discorso, collegandoci con ciò al caso emerso oggi, vi diremo dove sta il resto, cioè come si comprano i voti.
Allora, il grosso dell’ operazione passa ogni volta attraverso i rappresentanti di lista, figura, per così dire, istituzionale, ammessa nel seggio a sorvegliare l’ andamento delle votazioni e allo scrutinio finale.
Tramontata l’ epoca delle ideologie, in cui i “militanti” lo facevano per passione, cioè per amore, da anni, da alcuni decenni, i partiti pagano i loro rappresentanti di lista. Con le dovute eccezioni ancora oggi, come per il M5S. Ma gli altri, quasi tutti gli altri, no. Pd come Forza Italia.
Vengono individuate e privilegiate persone che più o meno ruotano fra le conoscenze dei vari esponenti e con ciò sensibilizzate e portate a votare il determinato partito, mentre avrebbero volentieri votato altri, e che, infine, comunque, non disprezzano di vendere il loro voto. Non solo: magari si chiede loro, per ottenere questo incarico, di “procurare” altri voti, come la denuncia di Giuseppe D’ Ambrosio sembra chiaramente documentare, regolarmente retribuiti. Dieci euro a voto? OK, il prezzo è giusto. Senza scontrini e senza fatture, ovvio: e i soldi sono quelli del finanziamento pubblico ai partiti, le decine di milioni di euro che ad ogni elezione lo Stato versa ai singoli partiti e alle singole liste, a cui, come è noto, nessuno ha rinunciato, tranne il M5S.
Nel caso di preferenze, poi, i vari candidati della lista si dividono le nomine a rappresentante, e chi ha più forza e più soldi ne ottiene ovviamente di più, pagandoli spesso di tasca propria.
Siccome per ogni seggio ogni partito può al massimo nominare un rappresentate effettivo e uno supplente, i “posti” disponibili sono spesso insufficienti, e pertanto si aprono le contese di cui abbiamo detto, fra i singoli candidati, che privilegiano persone capaci di portare voti in più fra i loro amici e conoscenti, a un tanto a voto.
Infine, c’è un ultimo mezzo: il così detto “rappresentante del candidato”. A differenza del rappresentante di lista, il rappresentante del candidato non ha rilievo istituzionale, né burocratico, insomma, è un escamotage, per cui un candidato chiama intorno a sé persone, le sensibilizza, con tale sedicente carica, per dirla con un eufemismo, cioè le paga, in cambio del voto loro e dei loro conoscenti, e le manda a votare col proprio santino in tasca, oltre che a girovagare per i seggi.
Questo è quanto, senza andare alla mafia e ai pacchetti di voti mafiosi. Questa è la prassi abituale, su cui nessuno finora è intervenuto.
Essa incide soprattutto nelle elezioni amministrative, regionali e soprattutto le comunali.
Facciamo un esempio.
Lecce città ha 101 sezioni elettorali, diciamo 100 per comodità di discorso.
Leviamo, per le ragioni che abbiamo detto prima, presidente e segretario. Leviamo pure i tre o quattro scrutatori, che comunque rispondono ai criteri prima evidenziati e che più spesso rispondono al partito che di riffa o di raffa li ha messi là, e che comunque i soldi li prendono dal Comune, cioè dallo Stato.
Rimangono duecento rappresentanti di lista per ogni partito.
Un buon candidato, buono nel senso di economicamente preponderante, all’ interno del proprio partito se ne assicura almeno qualche decina, facciamo 50 sempre per comodità.
Oltre ai soldi che dà loro il partito, di solito equivalenti a quelli dello scrutatore, il nostro buon candidato li premia a 10 euro a voto in più da ognuno di essi assicurato.
Almeno a stare al tariffario para – emiliano.
Nel tariffario para – pugliese, a Lecce città, alle ultime elezioni comunali, il prezzo era di 30 – 50 euro.
Mettiamo che ognuno di essi assicuri una media di 5 voti e costi quindi una media di 150 euro.
Poi ci sono i rappresentanti del candidato.
Il nostro buon candidato ne avrà almeno un centinaio, sempre in media del valore di 5 voti e di 150 euro di costo.
Risultato: ecco così comprate, al modico costo di poco più di ventimila euro, insomma, un investimento che è un vero affare, dato i ritorni che una legislatura di cinque anni assicura, almeno 750 preferenze in più, capaci di garantire l’ elezione sicura, al nostro buon candidato.
Così si fa nelle elezioni amministrative, a parte altre serie di operazioni clientelari.
Nelle regionali il meccanismo è più sofisticato, più oneroso, ma pure più soddisfacente, per chi è lo mette in pratica, per i ritorni, di notorietà di immagine, e di interessi economici, che assicura.
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