Nord sud (ovest est) Usi e costumi d’Italia PERIFERIE di Un Italiano Vero
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PERIFERIE
Lecce in pratica non ha periferie, almeno nel senso delle grandi città del Nord. Non ha sobborghi degradati. Alcuni comuni si insediano, o lambiscono, i confini amministrativi della città, che arriva fino al mare, pur senza essere, sempre nel senso tradizionale, città di mare. E’ una città da amare.
Negli anni Sessanta, c’era un conglomerato di palazzine degradate, in un’area marginale, che la perspicace fantasia popolare, forse memore della guerra allora non da molto conclusa, aveva denominato “Stalingrado”.
Sempre in quegli anni, il piano INA del ministro Amintore Fanfani creò in campagna un quartiere “periferico” a regola d’arte – è proprio il caso di dirlo, per funzionalità, ordine e decoro – che diede una casa di proprietà a chi non avrebbe mai potuto permetterselo, tanto meno oggi e guarda se ci tocca rimpiangere – ma tant’è – il regime democristiano di una volta: quella ”Santa Rosa” che oggi è parte integrante, comoda e tranquilla, della città.
Negli anni Settanta, il centro sinistra spostò, eliminandolo, Stalingrado, nella così detta zona 167, dal nome di un altro piano di edilizia popolare nazionale, architettonicamente e logisticamente, però, brutto e infelice: contro il degrado di quella e della limitrofa zona “167 bis”, Lecce lotta ancora, con esiti alterni, ma tutto sommato accettabili.
La storia urbanistica di Milano è stata cantata – è il caso di dirlo – dalla celebre canzone del ragazzo della via Gluck che tutti conoscono.
Oggi sta sempre là, poco lontano dalla stazione centrale, ma è diventata appunto quasi centrale, ed è abitata da cinesi e arabi, ammassati in quei casermoni anonimi, dove non ci passa nessuno, eccetto essi, a meno che non ci si voglia andare apposta.
Negli anni Sessanta nacquero enormi, smisurati, squilibrati nuovi insediamenti urbani di palazzoni sgangherati già appena finiti di costruire e contro il degrado di queste e altre zone la metropoli lotta ancora, con esiti alterni, ma tutto sommato negativi.
A Torino invece le periferie furono pensate e realizzate per contenere, o, meglio, isolare, le famiglie di meridionali venuti al Nord a lavorare.
Del quartiere “Le Vallette” bisognerebbe fare un patrimonio dell’Unesco per la bruttezza.
Ma ci sono altri quartieri, soprattutto nei grossi centri, alcuni fra i cinquanta e i settantamila abitanti, che si legano al capoluogo senza soluzione di continuità urbana, che sono architettonicamente e logisticamente peggiori: certi sono sopravvissuti alla fine dei regimi comunisti e stanno ancora là, dove pure il Pd, ex Pds, ex Pci, alle elezioni continua a prendere appunto percentuali bulgare.
In uno di questi, Beinasco, c’è un centro commerciale, naturalmente della Coop, che è stato per anni e anni l’unico mega insediamento del genere, prima che essi iniziassero a diventare numerosi e ha scandito, specie nel rito della spesa operaia del sabato, la vita di due generazioni.
Oggi a Torino c’è un altro iper Coop. Sta dentro la metropoli piemontese, nel mezzo di una zona ricostruita ex novo in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006, con i palazzi che incombono tutto intorno, con le loro luci e le dinamiche che sembrano quelli dei mattoncini della Lego, sullo sfondo, quando si vedono, in un calo di afa e smog, le montagne delle Alpi.
Ci sono le rampe d’accesso, i mega – parcheggi dove se non ti orienti preventivamente poi non ti ci ritrovi più, le indicazioni per uscire e accedere alla viabilità ordinaria strampalate se non del tutto assurde, le ringhiere e gli scalini, i negozi delle catene più importanti di abbigliamento ed elettronica, sempre gli stessi, il cinema, o, meglio, tante sale cinematografiche tutte insieme, con i biglietti elettronici, i bar dei pop corn e i lecca lecca.
Anche a Lecce c’è quell’ iper Coop, identico, anzi, che dico identico? Uguale, perfettamente uguale.
Basta levarci lo sfondo dei palazzi della Lego e delle montagne, e poi è proprio del tutto uguale: medesimi e medesime, le rampe d’accesso, i mega – parcheggi dove se non ti orienti preventivamente poi non ti ci ritrovi più, le indicazioni per uscire e accedere alla viabilità ordinaria strampalate se non del tutto assurde, le ringhiere e gli scalini, i negozi delle catene più importanti di abbigliamento ed elettronica, sempre gli stessi, il cinema, o, meglio, tante sale cinematografiche tutte insieme, con i biglietti elettronici, i bar dei pop corn e i lecca lecca.
Una paradigmatica esemplificazione di quella che abbiamo imparato a chiamare la globalizzazione.
Category: Costume e società