LA POLEMICA SU CARLO TAVECCHIO. DA QUALE PULPITO VIEN LA PREDICA?

| 17 Agosto 2014 | 0 Comments

Da ultima e non per ultima è nata la diatriba, politica o meno, fondata o meno, sulla elezione di Carlo Tavecchio alla Federcalcio. Di sicuro ne esce malconcia la credibilità del calcio e delle su componenti, come se non bastasse quanto già avvenuto prima. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it. Per dovuta esperienza posso esprimere questi pareri. Per quanto riguarda le battaglie di civiltà posso dire che sono battaglie contro i mulini al vento. Non perché esse non siano fondate, in quanto, come specialista del campo, proprio perché ho scritto “Sportopoli, lo sport truccato”, posso garantire che i temi sollevati sono già stati pubblicati sui giornali con degli articoli, da me o da altri, come di seguito indicato, e nulla è scaturito.

Eppure i nemici giurati di Tavecchio hanno avuto una bella visibilità dai soliti giornali. Come nel caso di Massimiliano Nerozzi per La Stampa, giornale degli Agnelli, contrari a Tavecchio. “Figc, l’ex vicepresidente dei Dilettanti, Ragno: Tavecchio non è eleggibile. Magari sarà una questione di cavilli, che sono poi la versione giuridica della buccia di banana. «Guardi che Carlo Tavecchio non è eleggibile», dice con voce pacata Luigi Ragno, 74 anni, ex sottotenente dei carabinieri («ma solo nei venti mesi di leva»), ex direttore di banca, e per trent’anni in Federcalcio. «Basta leggere l’articolo 29 del nuovo statuto della Figc: la riabilitazione è espressamente richiamata in riferimento a provvedimenti disciplinari sportivi, e non quando si parla di condanne penali, dove invece non è indicata. Poi però non ho idea di come andrà, perché ne ho viste di tutti i colori». Specialmente tra il 1999 e il 2000, quando da vice presidente della Lega Nazionale Dilettanti Ragno si trovò proprio al fianco di Tavecchio, al suo primo mandato: il numero uno aveva fatto alcune operazioni bancarie «con gravi irregolarità», secondo Ragno, che aveva presentato immediate dimissioni. «Era il 24 ottobre 2000 – ricorda oggi l’ex vice presidente – e scrissi una lettera a diversi organi federali, anche per tutelare la mia persona: con i precedenti che all’epoca aveva Tavecchio, e che tutti conoscevano, non si potevano lasciare venti miliardi di lire in un conto di private banking, e con una sola persona con potere di firma, lui». Non successe nulla. «L’unico risultato fu che il collegio dei revisori minacciò di querelarmi per diffamazione: bene, risposi, almeno chiariremo tutto davanti a un tribunale. Ho sempre tenuto tutti i documenti. La denuncia non arrivò mai». ? Quindici anni più tardi, tutto può ruotare ancora attorno alle precedenti condanne di Tavecchio (totale, 1 anno e tre mesi) nonostante furono pene sospese e con non menzione sul certificato penale. Su questo tema si erano innescate interpellanze parlamentati, ma Tavecchio aveva alzato lo scudo: un parere sulla sua candidabilità richiesto alla Corte Federale nel 1999, e la riabilitazione ottenuta in base all’articolo 178 del codice penale. Tutto vero, ma discutibile, almeno secondo alcune fonti vicine alla giustizia sportiva della Federcalcio. «Ricordo che emettemmo un parere – dice il professor Andrea Manzella, illustre costituzionalista ed ex presidente della Corte – e molto ben motivato. Certo, era il 1999, e tenemmo conto della normativa sportiva e penale dell’epoca». Nel frattempo, lo statuto della Figc è cambiato quattro volte, l’ultima il 30 luglio scorso, con decreto del commissario ad acta, il professor Giulio Napolitano.?  Il punto è l’articolo 29, dove l’inciso «salva riabilitazione», è indicato solo nella frase dei provvedimenti sportivi, non nel periodo seguente, quando si parla di «condanne penali passate in giudicato per reati non colposi» con pene detentive superiori a un anno. Interpretazione letterale: se l’estensore avesse voluto prevedere la riabilitazione anche per le condanne penali, l’avrebbe specificamente indicato. «Forse è la sorpresa di Malagò», sorrideva ieri un giurista. Dopo di che c’è pure la lettura favorevole a Tavecchio, ovvero in linea con i principi giuridici generali: in fondo la riabilitazione, tra le altre cose, serve proprio per evitare gli effetti deteriori che una condanna produce sotto il profilo sociale e lavorativo. Se ne può discutere, insomma: come potrebbe poi decidere di fare il Coni, come organo di sorveglianza, tenuto a ratificare i risultati dell’assemblea”.

Il passato scomodo di Tavecchio, scrivono da par loro Tommaso Rodano e Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano. “Spuntano una denuncia per calunnia contro il super candidato alla Federcalcio e un dossier depositato in procura che lo riguarda. E si scoprono strane storie, dalle spese pazze fino al doppio salvataggio del Messina. Ogni giorno che passa, e ne mancano cinque all’annunciata investitura in Federcalcio, il ragionier Carlo Tavecchio arruola dissidenti, smarrisce elettori: resiste però, faticosamente resiste. Nonostante le perplessità di Giovanni Malagò (Coni), dei calciatori più famosi e di qualche squadra di serie maggiore o inferiore. Il padrone dei Dilettanti, che dal ‘99 gestisce un’azienda da 700.000 partite a stagione e da 1,5 miliardi di euro di fatturato, com’è da dirigente? Dopo aver conosciuto le sue non spiccate capacità oratorie, tra donne sportive handicappate e africani mangia-banane, conviene rovistare nel suo passato. E arriva puntuale una denuncia per calunnia contro Tavecchio, depositata in Procura a Varese due giorni fa, a firma Danilo Filippini, ex proprietario dell’Ac Pro Patria et Libertate, a oggi ancora detentore di un marchio storico per la città di Busto Arsizio. Per difendersi da una querela per diffamazione – su un sito aveva definito il candidato favorito alla Figc un “pregiudicato doc” – Filippini ha deciso di attaccare: ha presentato documenti che riguardano il Tavecchio imprenditore e il Tavecchio sportivo, e se ne assume la responsabilità. Oltre a elencare le cinque condanne che il brianzolo, già sindaco di Ponte Lambro, ha ricevuto negli anni (e per i quali ha ottenuto una riabilitazione) e i protesti per cambiali da un miliardo di lire dopo il fallimento di una sua azienda (la Intras srl), Filippini allega una lettera, datata 24 ottobre 2000, Tavecchio era capo dei Dilettanti dal maggio ‘99. Luigi Ragno, un ex tenente colonnello dei Carabinieri, già commissario arbitrale, vice di Tavecchio, informa i vertici di Lega e Federazione di una gestione finanziaria molto personalistica del presidente. E si dimette. “Mi pregio comunicare che nel corso del Consiglio di Presidenza – si legge – è stato rilevato che la Lega intrattiene un rapporto di conto corrente presso la Cariplo di Roma, aperto successivamente al Primo Luglio 1999 (…). L’apertura del conto corrente appare correlata alla comunicazione del Presidente di ‘avere esteso alla Cariplo, oltre alla Banca di Roma già esistente, la gestione dei fondi della Lega. Entrambi gli Istituti hanno garantito, oltre alla migliore offerta sulla gestione dei conti, forme di sponsorizzazione i cui contenuti sono in corso di contrattazione”. Quelle erano le premesse, poi partono le contestazioni a Tavecchio: “Non risulta che alcun organo collegiale della Lega sia mai stato chiamato a esprimere valutazioni in ordine a offerte formulate dagli Istituti di credito di cui sopra”. “Risulta che non sono state prese in considerazione dal presidente più di venti offerte di condizione presentate in busta chiusa da primarie banche che operano su Roma, le quali erano state contattate dal commissario”. “Non risulta che né la Banca di Roma né la Cariplo abbiano concluso con la Lega accordi di sponsorizzazione”. “Nella sezione Attività della situazione patrimoniale del bilancio della Lega non appare, nella voce ‘banche’, la presenza del conto corrente acceso presso Cariplo”. “Nella sezione Attività della situazione patrimoniale, alla voce ‘Liquidità/Lega Nazionale Dilettanti’ risulta l’importo di Lire 18.774.126.556, che non rappresenta, come potrebbe sembrare a prima vista, il totale delle risorse finanziarie dei Comitati e delle Divisioni giacenti presso la Lega, bensì è costituito da un saldo algebrico tra posizioni creditorie e posizioni debitorie nei confronti della Lega”. Segue una dettagliata tabella dei finanziamenti ai vari Comitati regionali, e viene così recensita: “Il presidente della Lega ha comunicato che ai suddetti ‘finanziamenti di fatto’ è applicato il tasso di interesse del 2,40%, la cui misura peraltro non è stata stabilità da alcun organo collegiale”. Il vice di Tavecchio fa sapere di aver scoperto anche un servizio di “private banking”, sempre con Cariplo, gestito in esclusiva dal ragionier brianzolo: “Nessun Organo collegiale della Lega ha mai autorizzato l’apertura di tale rapporto (…) e mai ha autorizzato il presidente a disporre con firma singola (…) Trattasi di un comportamento inspiegabile e ingiustificabile, anche in considerazione della consistenza degli importi non inferiore ai venti miliardi di lire”. Ragno spedisce una raccomandata alla Cariplo, e si congeda dai Dilettanti di Tavecchio: “Di fronte all’accertata mancanza di chiarezza, di trasparenza e di correttezza e di gravi irregolarità da parte del massimo esponente della Lega, non mi sento di avallare tale comportamento gestionale e comunico le immediate dimissioni”. Per comprendere la natura del consenso costruito minuziosamente da Tavecchio nella gestione della Lega Dilettanti, un caso esemplare è quello del Messina calcio. La società siciliana approda in Lnd nella stagione sportiva 2008-2009. La famiglia Franza è stufa del suo giocattolo, vorrebbe vendere la squadra, ma non trova acquirenti. Il Messina è inghiottito dai debiti. Dovrebbe militare in serie B, ma il presidente Pietro Franza non l’iscrive al campionato cadetto: deve ricominciare dai dilettanti. Il problema è che il Messina è tecnicamente fallito (la bancarotta arriverà dopo pochi mesi) e non avrebbe le carte in regola nemmeno per ripartire da lì. E invece Tavecchio, con una forzatura, firma l’iscrizione dei giallorossi alla Lega che dirige. L’uomo chiave si chiama Mattia Grassani, principe del foro sportivo e, guarda caso, consulente personale di Tavecchio e della stessa Lnd: è lui a curare i documenti (compreso un fantasioso piano industriale per una società ben oltre l’orlo del crac) su cui si basa l’iscrizione dei siciliani. In pratica, si decide tutto in casa. Nel 2011 il Messina, ancora in Lega dilettanti, è di nuovo nei guai. Dopo una serie di vicissitudini, la nuova società (Associazione Calcio Rinascita Messina) è finita nelle mani dell’imprenditore calabrese Bruno Martorano. La gestione economica non è più virtuosa di quella dei suoi predecessori. Martorano firma in prima persona la domanda d’iscrizione della squadra alla Lega. Non potrebbe farlo: sulle sue spalle pesa un’inibizione sportiva di sei mesi. Non solo. La documentazione contiene, tra le altre, la firma del calciatore Christian Mangiarotti: si scoprirà presto che è stata falsificata. Il consulente del Messina (e della Lega, e di Tavecchio) è sempre Grassani: i giallorossi anche questa volta vengono miracolosamente iscritti alla categoria. Poi, una volta accertata l’irregolarità nella firma di Mangiarotti, la sanzione per il Messina sarà molto generosa: appena 1 punto in classifica (e poche migliaia d’euro, oltre ad altri 18 mesi di inibizione per Martorano). Tavecchio, come noto, è l’uomo che istituisce la commissione “per gli impianti sportivi in erba sintetica” affidandola all’ingegnere Antonio Armeni, e che subito dopo assegna la “certificazione e omologazione” degli stessi campi da calcio alla società (Labosport srl) partecipata dal figlio, Roberto Armeni. Non solo: la Lega Nazionale Dilettanti di Tavecchio ha un’agenzia a cui si affida per l’organizzazione di convegni, cerimonie ed assemblee. Si chiama Tourist sports service. Uno dei due soci, al 50 per cento, si chiama Alberto Mambelli. Chi è costui? Il vice presidente della stessa Lega dilettanti e lo storico braccio destro di Tavecchio. Un’amicizia di lunga data. Nel 1998 Tavecchio è alla guida del comitato lombardo della Lnd. C’è il matrimonio della figlia di Carlo, Renata. Mambelli è tra gli invitati. Piccolo particolare: sulla partecipazione c’è il timbro ufficiale della Figc, Comitato Regionale Lombardia. Quando si dice una grande famiglia.”

«Denuncio Tavecchio. Carriera fatta di soprusi» dice Danilo Filippini a “La Provincia Pavese”. A quattro giorni dalle elezioni Figc, Carlo Tavecchio continua a tenere duro, incurante delle critiche e delle prese di posizione – sempre più numerose e autorevoli – di coloro che ritengono l’ex sindaco di Ponte Lambro del tutto inadeguato a guidare il calcio italiano. Tavecchio è stato anche denunciato per calunnia da Danilo Filippini, ex presidente della Pro Patria che ha gestito la società biancoblù dall’ottobre 1988 all’ottobre 1992.

Filippini, perché ha deciso di querelare Tavecchio?

«Scrivendo sul sito di Agenzia Calcio, definii Tavecchio un pregiudicato doc e un farabutto, naturalmente argomentando nei dettagli la mia posizione e allegando all’articolo il suo certificato penale storico. Offeso per quell’articolo, Tavecchio mi ha denunciato per diffamazione. Così, tre giorni fa, ho presentato alla Procura di Varese una controquerela nei suoi confronti, allegando una ricca documentazione a sostegno della mia tesi».

In cosa consiste la documentazione?

«Ci sono innanzitutto le cinque condanne subite da Tavecchio. Poi i protesti di cambiali per una somma di un miliardo di vecchie lire dopo il fallimento della sua azienda, la Intras srl. Ho allegato inoltre l’esposto di Luigi Ragno, già vice di Tavecchio in Lega Dilettanti, su presunte irregolari operazioni bancarie con Cariplo. Più tutta una serie di altre irregolarità amministrative».

Quando sono nati i suoi dissidi con Tavecchio?

«Ho avuto la sfortuna di conoscerlo ai tempi in cui ero presidente della Pro Patria. Quando l’ho visto per la prima volta, era presidente del Comitato regionale lombardo. In quegli anni ci siamo scontrati continuamente. Con Tavecchio in particolare e con la Federazione in generale».

Per quale motivo?

«I miei legittimi diritti sono sempre stati negati, in maniera illecita, nonostante numerosi miei esposti e querele, con tanto di citazioni di testimoni e prove documentali ineccepibili. Da vent’anni subisco dalla Federcalcio ogni tipo di abusi».

Per esempio?

«Guardi cos’è successo con la denominazione “Pro Patria et Libertate”, da me acquisita a titolo oneroso profumatamente pagato, e che poi la Federazione ha girato ad altre società che hanno usato indebitamente quel nome. Per non parlare della mia incredibile radiazione dal mondo del calcio, che mi ha impedito di candidarmi alla presidenza della Figc, come volevo fare nel 2001. Una vera discriminazione, che viola diritti sanciti dalla Costituzione. Sa qual è l’unica cosa positiva di questa vicenda?»

Dica.

«Sono uscito da un mondo di banditi come quello del calcio. E ora mi occupo di iniziative a favore dei disabili: impiego molto meglio il mio tempo».

Tavecchio risulta comunque riabilitato dopo le cinque condanne subite.

«Mi piacerebbe sapere in base a quali requisiti l’abbia ottenuta, la riabilitazione. E comunque, una volta riabilitato, avrebbe dovuto tenere un comportamento inappuntabile sul piano etico. Non mi pare questo il caso».

Insomma, a suo parere un’eventuale elezione di Tavecchio sarebbe una iattura per il calcio italiano…

«Mi auguro davvero che non venga eletto. Questo è il momento di cambiare, di dare una svolta: non può essere Tavecchio l’uomo adatto. Avendolo conosciuto di persona, non mi sorprende neanche che abbia commesso le gaffes di cui tutti parlano. Lui fa bella figura solo quando legge le lettere che gli scrivono i principi del foro. Comunque, ho mandato la mia denuncia per conoscenza anche al Coni e al presidente Malagò. Non ho paura di espormi: quando faccio una cosa, la faccio alla luce del sole».

Da parte sua Gianfrancesco Turano su “L’Espresso” ha messo un carico pesante, naturalmente buttandola in politica: Claudio Tavecchio, chi è il potente del calcio. L’impresentabile che piace tanto a destra. “Il brianzolo, celebre per le sue sparate su neri mangiatori di banane e donne handicappate, è diventato il padrone della Figc. Grazie a un piano che unisce affari e politica e ad amicizie influenti. Come quella con Galliani e Lotito. Il ragioniere, il geometra, il pedagogo. Claudio Tavecchio, Adriano Galliani e Claudio Lotito hanno i titoli di studio in regola. Sono loro la nuova Triade che tenterà di rilanciare il calcio italiano eliminato al primo turno ai Mondiali, bersagliato dalla violenza e dalle scommesse clandestine, squilibrato nella struttura e nei conti, surclassato nei risultati in campo. Alle elezioni della Federcalcio fissate in prima convocazione il giorno 11 di agosto 2014, il candidato Tavecchio ha ottime possibilità di essere eletto al primo colpo con la maggioranza qualificata di due terzi. Dal terzo ballottaggio basterà la metà più uno dei voti. L’unico avversario che ha qualche chance di farlo fuori è lo stesso Tavecchio, protagonista di uno show pre-elettorale indimenticabile a base di un mitologico “Optì Pobà”, calciatore della Lazio mangiabanane, dequalificato e senza “pitigrì” (pedigree). Le scuse successive sono state peggiori della gaffe: esibizioni di fotografie in compagnia di uomini neri, dichiarazioni sulla falsariga “molti dei miei migliori amici sono africani” e il provvidenziale intervento a sostegno del medico della nazionale del Togo. Kossi Komla-Ebri, residente in Ponte Lambro (Como), ha garantito per il candidato: «Quando Tavecchio era sindaco, abbiamo fatto un gemellaggio con Afagnan in Togo». Appena finito di scusarsi con i mangiatori di banane, è arrivata un’altra frase culto. «Prima si pensava che la donna fosse handicappata rispetto al maschio per resistenza ed altri fattori, adesso invece abbiamo riscontrato che sono molto simili». Gaffe del candidato alla presidenza della Figc, Carlo Tavecchio, che durante l’assemblea dei dilettanti, parlando dei giocatori stranieri, ha commentato: “Le questioni di accoglienza sono una cosa, quelle del gioco un’altra. L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che ‘Opti Poba’ è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così”. Tavecchio si è poi scusato: “Mi riferivo al curriculum”. Sulle sue cinque condanne penali a qualche mese, piccolezze per un dirigente politico italiano, nota che la più recente è del 1998 e la prima è del 1970. Nessuna traccia è rimasta sul certificato penale. Il saldo di queste dichiarazioni è che l’Unione europea, la Fifa di Sepp Blatter, l’Uefa di Michel Platini e il Coni di Giovanni Malagò farebbero volentieri a meno di Tavecchio. Lui, al momento, non se ne dà per inteso e si copre con un alibi storico: lo sport è indipendente dalla politica. Figuriamoci il calcio. Tirèmm innanz verso le elezioni dell’11 agosto. Cinematograficamente Tavecchio è l’anello mancante fra il Lambertoni del “Vedovo” e il cumènda brianzolo Cavazza della “Contestazione generale” (“alegher alegher…”). L’aspirante re del calcio è la quintessenza del ragiunàtt lombardo che entra in banca a 19 anni e per altri 19 è eletto primo cittadino di Ponte Lambro con le liste dello scudo crociato (1976-1995). Nulla di rivoluzionario. Nulla di rottamatorio, soprattutto. Ci è voluta la gaffe su Optì Pobà perché Graziano Delrio, plenipotenziario renziano per lo sport, iniziasse a dubitare dell’uomo che, fino ad allora, gli era parso il successore ideale del dimissionario Giancarlo Abete. In effetti, anche a non considerare l’uscita razzista, l’elezione di Tavecchio consentirà alla destra un takeover totale sullo sport più amato in Italia e nel mondo. Non è un caso se gli unici difensori del ragioniere comasco siano stati Daniela Santanchè e Maurizio Gasparri. Né c’è bisogno di insistere sulle simpatie politiche di Lotito o di Galliani, che da una posizione defilata rimane il vero dominus del calcio italiano, capace di mettere nell’angolo mister trenta scudetti Andrea Agnelli e, in modo assai più agevole, il suo azionista Barbara Berlusconi, che avrebbe voluto in Figc un quarantenne invece del settantunenne presidente della Lega Dilettanti. Altri fan di peso erano in prima fila alla manifestazione romana sfociata nel numero su Optì Pobà. Tre su tutti: il membro del Cio Franco Carraro, l’ex numero uno di Figc e Lega Antonio Matarrese e il presidente della Lega di serie A e capo della comunicazione di Unicredit Maurizio Beretta, ferocemente soprannominato “dimmi, Claudio”, nel senso di Lotito. L’alto-brianzolo Tavecchio non sarà fine di ingegno come il basso-brianzolo Galliani. Sarà anche una figura debole, e perciò stesso gradita, rispetto allo strapotere della Lega di serie A. Sul web spunta il video di un’intervista alla trasmissione Report su RaiTre in cui il candidato alla presidenza del calcio italiano si esprime in questi termini sulle donne: “Noi siamo protesi a dare una dignità anche sotto l’aspetto estetico alla donna nel calcio”. Il video, risalente a una puntata del 5 maggio 2014, si sente la intervistatrice interdetta che chiede spiegazioni a Tavecchio delle sue parole. “Finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sotto l’aspetto della resistenza, del tempo, dell’espressione atletica. Invece abbiamo riscontrato che sono molto simili”. Ma non va preso sotto gamba. Nello sport italiano l’anzianità di servizio e la capacità di relazione contano molto. E qui Tavecchio non teme concorrenti. Il suo primo sbarco negli organi direttivi della Lega nazionale dilettanti (Lnd) risale al 1987, quando la poltrona di consigliere del comitato regionale Lombardia era giusto un’occasione per l’allora sindaco e presidente della Pontelambrese di rafforzare il consenso locale grazie allo spargimento di qualche contributo finanziario. Oggi, dopo quindici anni ininterrotti di Tavecchio alla presidenza nazionale, la Lnd è diventata una macchina colossale con 1,3 milioni di tesserati, 14 mila società iscritte e un fatturato complessivo che lo stesso Tavecchio stima in 700 milioni di euro all’anno, oltre un terzo di quanto fattura la serie A. In questi anni, il ragiunàtt di Ponte Lambro non ha smesso di allargare il suo perimetro d’impresa prendendosi in carico non solo il calcio femminile, ma anche il beach soccer e soprattutto il calcio a cinque, una delle realtà economico-sportive emergenti di questi anni. Per deformazione professionale l’ex dirigente della Banca di credito cooperativo Alta Brianza sa badare ai danè come pochi altri. Sul modello del Coni, ha dotato la Lega dilettanti di una società di capitali, la Lnd Servizi. La cassaforte della Lega ha un attivo di tutto rispetto (31 milioni di euro) che cresce di anno in anno grazie a varie operazioni immobiliari, finanziate da un prestito infruttifero di 20 milioni di euro da parte del socio unico Lnd e quindi anche dai contributi delle società dilettantische. Oltre a non pagare interessi sui 20 milioni, Lnd servizi ha aiutato le proprie prestazioni contabili tagliando dal 10 al 5 per cento le royalties dovute alla casa madre per l’uso del marchio. In questi anni, Lnd servizi ha comprato, ampliato e ristrutturato le sue due sedi principali a Roma in piazzale Flaminio e in via Cassiodoro, dove ci sono gli uffici della commissione impianti in erba artificiale, cuore del business dilettantistico. Una volta riservato agli amatori dei tornei scapoli-ammogliati, il sintetico è stato esteso all’attività agonistica e trasformato da Tavecchio in un affare dai contorni poco trasparenti con un andirivieni di collaudi di moquette, sottofondi e consulenze tecniche per l’omologazione che ogni anno muovono milioni di euro per sdoganare oltre 2 mila impianti con fondo artificiale. È una realtà che si concilia poco con l’enfasi tavecchiana sul volontariato sportivo e che ha già impegnato il presidente della Lnd come consulente del Ministero dell’economia sulla fiscalità dello sport dilettantistico. Il volontariato è bello e Tavecchio lo esercita anche fuori dai campi in sintetico come consigliere della Healthy Foundation guidata da Sergio Pecorelli, rettore dell’Università di Brescia, presidente dell’Agenzia del farmaco e ginecologo personale dell’ex ministro forzista Mariastella Gelmini. Ma senza soldi non si canta messa e il cattolicissimo Tavecchio lo sa. Così appena ricevuta l’investitura a candidato per la Federcalcio, ai primi di luglio, mentre l’Italia si riprendeva dall’eliminazione al primo turno in Brasile, il ragiunàtt di Ponte Lambro ha concluso il suo progetto di spinoff regalandosi per il settantunesimo compleanno (13 luglio) la Lnd Immobili, dove sarà trasferito il tesoretto di fabbricati e terreni di Lnd servizi e dove continueranno gli investimenti per dotare ognuna delle venti regioni italiane di un centro federale di reclutamento. L’ultimo, in Molise, è stato acquistato a marzo e comporterà lavori per 1,2 milioni di euro. Che poi i grandi club puntino sul Molise – o sul Veneto o sull’Umbria – per rimpolpare le loro squadre, invece di andare a pescare il nuovo Optì Pobà in Africa è tutto da vedere. Anche l’altra idea-guida di riportare il settore tecnico della Nazionale a uno staff di allenatori cresciuti all’interno dei ranghi federali e non nei club sembra anacronistica rispetto ai tempi di Ferruccio Valcareggi, Enzo Bearzot e Azeglio Vicini. Un commissario tecnico oggi è un allenatore di primo livello. Pensare di pagarlo 200 mila euro all’anno significa perderlo in fretta, se è vincente. Ma il programma politico dipende poco o nulla da Tavecchio. La carta di navigazione per rilanciare il calcio italiano è stata scritta da due autori di serie A: Lotito e Agnelli. Al di là del folklore campagnolo sugli handicap femminili e sugli africani poco qualificati, Tavecchio o chiunque vincerà le elezioni avrà scarso margine di manovra rispetto al diktat della prima divisione. Certo, il laureato in pedagogia Lotito è schieratissimo con Tavecchio. Agnelli molto meno. C’è un pregresso di polemiche furiose che risale a tre anni fa quando la commissione federale rigettò la richiesta juventina di revocare all’Inter lo scudetto 2006 di Calciopoli. L’interistissimo Tavecchio si espose sulla ribalta del grande calcio difendendo la scelta della Figc, di cui era vicepresidente vicario, e respingendo gli attacchi juventini a Giacinto Facchetti. Agnelli non gliel’ha perdonata ma è abbastanza pragmatico per accettare le garanzie di Lotito che Tavecchio saprà stare al suo posto limitandosi a qualche battuta infelice di quelle che fanno la gioia dei social network e dei nostri concorrenti all’estero. Quindi, si porterà la serie A a diciotto squadre, si scremeranno le serie minori che già si scremano da sé con la crisi. E il resto continuerà come prima, con le grandi che perdono terreno sulla concorrenza europea e le piccole che tirano a campare con le plusvalenze e il factoring sui diritti televisivi scontato da qua a trent’anni, mentre tutti mostrano grande volontà di cambiamento nimby (not in my backyard). Su una cosa Tavecchio ha ragione. È quando gli scappa detto: «Ora devo occuparmi di questo bordello». Dopo 27 anni che lavora nella politica e nel calcio, forse sa di che parla.”

Ciò nonostante, per un eventuale ricorso di annullamento nulla ha potuto fare il Coni, pur pungolato. Per quanto riguarda il ricorso al Tar, già è stato presentato ma per altri motivi che quello della incandidabilità. Un ricorso al Tar del Lazio contro le regole di elezione del vertice della Federcalcio italiana e contro ogni altro atto legato a questo passaggio viene annunciato dal Codacons all’indomani dell’elezione di Carlo Tavecchio. Un ricorso non tanto contro il neo presidente o contro Albertini, se fosse stato questi ad essere eletto a capo del calcio italiano, quanto invece contro il meccanismo che – precisa Carlo Rienzi, presidente del Codacons – “esclude i primi fruitori dell’attività sportiva calcistica, e cioè i tifosi”. Secondo Rienzi, infatti, “i tifosi non hanno voce in capitolo, non possono dire la loro sulla presidenza, non è previsto il loro coinvolgimento attraverso una consultazione magari anche online”.

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia

Category: Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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