DALLE ‘CANNE’, ALLE ‘PASTICCHE’, FINO AL MICIDIALE FENTANYL DI ADESSO. A leccecronaca.it LA DOTTORESSA MARIA GRAZIA MARTIN RACCONTA IL SUO LUNGO IMPEGNO PROFESSIONALE DI CONTRASTO ALLE TOSSICODIPENDENZE DEI GIOVANI
di Giovanni Gemma ___________
«La lotta alle droghe è una sfida continua e complessa, che richiede un adattamento costante delle strategie.» La complessità è il punto centrale delle raccomandazioni di Maria Grazia Martin, 70 anni, di Torino, psicoterapeuta dalla lunga carriera, autrice e professionista dell’ambito del contrasto alle droghe.
L’abbiamo intervistata su leccecronaca.it proprio su questo multiforme problema.
La ringraziamo per i numerosi spunti, dall’origine sociale delle dipendenze alla sua esperienza operativa, dalla trattazione scientifica delle droghe al recentissimo ed attuale problema del Fentanyl.
Lei è stata per lungo tempo impegnata professionalmente nella lotta alle droghe – e anche oggi si tiene aggiornata su quanto accade. Vorrei chiederLe, nella sua visione, un breve panorama storico: come si è evoluta questa lotta?
Il fenomeno della diffusione delle sostanze stupefacenti è di origine multifattoriale, si è evoluto enormemente. Inizialmente, prevaleva un approccio repressivo, focalizzato sulla criminalizzazione del consumo e sullo smantellamento delle reti di spaccio.
Col tempo, si è compresa l’importanza della prevenzione, del trattamento e del reinserimento sociale, con un’attenzione crescente alla salute pubblica e al rispetto dei diritti umani.
I servizi sanitari per le dipendenze sono strutturati su tutto il territorio italiano ed in prevalenza si occupano del trattamento e della cura di soggetti affetti da dipendenze patologiche da sostanze stupefacenti o alcol e da disturbi del comportamento. Le istituzioni devono adottare un approccio più integrato e comunitario nelle strategie di prevenzione. Le attività di prevenzione si svolgono nel setting scolastico e nelle attività di Outreach, presso i luoghi del divertimento giovanile. È fondamentale la collaborazione tra diverse agenzie educative: scuola, famiglia e servizi alla cura per creare una rete di supporto per i giovani.
Tutto ciò quanto ha inciso sulla sua vita?
Questo percorso ha inciso profondamente sulla mia vita professionale, facendomi maturare una visione più complessa del fenomeno e dell’importanza di un approccio multidisciplinare. Mi ha permesso di aprire una finestra su questo fenomeno, che si stava manifestando, conoscendo bene i meccanismi dall’interno, non soltanto come osservatore esterno. Ho trattato nella mia carriera professionale – quaranta anni – migliaia di giovani affetti da uso, consumo e dipendenza da sostanze stupefacenti, alcol e gioco d’azzardo patologico.
Abbiamo lavorato su più fronti. Da un lato, abbiamo rafforzato i servizi sanitari per le dipendenze attraverso i percorsi di cura, di recupero e riabilitazione. Dall’altro, abbiamo investito in attività di prevenzione nelle scuole e nei luoghi di aggregazione giovanile, puntando sull’informazione e sulla promozione di stili di vita sani. Abbiamo anche promosso la formazione degli operatori e il potenziamento delle strutture di accoglienza e cura, le comunità terapeutiche.
Avete avuto un riscontro di efficienza/efficacia delle vostre strategie?
Alcune delle strategie implementate hanno portato a risultati positivi, come una maggiore consapevolezza tra i giovani riguardo ai rischi delle droghe e un aumento dell’accesso ai servizi di supporto. Tuttavia, il problema delle dipendenze è complesso e richiede un continuo adattamento delle politiche di riferimento.
Credo che certamente gli interventi siano stati efficaci, tuttavia il lavoro è sempre in corso, in quanto il fenomeno è in continua evoluzione. Le politiche devono evolvere con i tempi e rispondere alle nuove sfide legate alle dipendenze, specialmente con l’emergere di nuove sostanze e modi di consumo.
L’approccio deve essere fondato sui risultati di efficacia che rispondono ai criteri scientifici e non ideologici. Gli interventi preventivi di Outreach sono rivolti agli sperimentatori e consumatori. L’educatore, gli operatori pari, lo psicologo hanno un ruolo nella relazione di prossimità e sostengono i giovani verso la consapevolezza e all’autotutela, nel non farsi troppo male, tramite interventi infopreventivi e di counseling, di sostegno e con la consegna di materiale sterile, per la prevenzione delle malattie correlate. I progetti sono presenti in molte regioni italiane: Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte – ed in Europa: Germania, Francia Portogallo.
Inoltre, in Piemonte, le attività previste degli interventi di prevenzione rientrano nei Livelli essenziali di assistenza e sono regolamentati da una legge regionale.
Tra gli interventi posti in essere si effettua il drugchecking che offre un’analisi chimica della sostanza e una consulenza individuale alle persone che fanno uso di sostanze psicoattive, nell’intento di consentire l’accesso alle offerte di prevenzione e di riduzione del danno a persone facenti uso di sostanze in modo ricreativo, difficilmente raggiungibili. Il drugchecking permette inoltre di osservare le tendenze e le dinamiche del mercato delle droghe e del consumo di sostanze illegali, nonché riconoscere tempestivamente l’insorgenza di nuove sostanze.
L’identificazione di nuove sostanze è segnalata al Dipartimento di Politiche Antidroga del Ministero della Salute e all’EMCDDA di Lisbona. Occorre delineare una nuova cultura della prevenzione e della cura che prevede di coinvolgere diversi attori: famiglia, scuola, circoli, parrocchie, centri sportivi, centri d’aggregazione giovanile, centri musicali, servizi preposti alla cura della persona – Ser.D, consultori, centri di salute mentale.
I giovani di allora sono i genitori di oggi. Ritiene – anche al di là del suo impegno professionale – che si sia fatto un buon lavoro nel contrasto alle dipendenze?
Interessante la riflessione circa i giovani di allora sono i genitori di oggi. Vorrei sottolineare come quella generazione, credendo erroneamente che i diritti sono acquisiti una volta per sempre, oggi spesso mostra segni di disimpegno sociale, pubblico. Ciò non raramente si è anche tradotto, purtroppo, in un astensionismo o in una certa indifferenza alle questioni collettive. All’opposto, i giovani attuali – in cui credo molto – sono stati spesso lasciati nell’ombra, non ascoltati, non coinvolti, proprio mentre manifestavano un alto tasso di attivismo. Direi: viva i giovani!
Per precisazione scientifica, nel libro È proibito proibire, che ho curato insieme ad Elena Zumaglino, si delinea l’evoluzione della famiglia, passando dalla famiglia normativa degli anni Settanta alla famiglia affettiva del periodo attuale. La famiglia affettiva si riferisce a un ambiente familiare in cui i genitori – o comunque i caregiver – esercitano un controllo e una protezione eccessivi sui propri figli. Questo comportamento può manifestarsi in vari modi.
Può farcene alcuni esempi?
Sì, ne posso dire diversi. Sovraccarico di attenzione: i genitori sono eccessivamente coinvolti nella vita dei figli, monitorando ogni aspetto delle loro attività quotidiane. Difficoltà nell’indipendenza: i ragazzi possono avere difficoltà a sviluppare competenze sociali e capacità di autogestirsi, poiché i genitori tendono a fare tutto per loro.
Risposta alle emozioni: i genitori iperprotettivi possono avere difficoltà a tollerare la frustrazione o il dolore emotivo dei figli, cercando di proteggerli da qualsiasi esperienza negativa, il loro obiettivo è di crescere figli felici, senza trasmettere regole e confini necessari per identità più strutturate – e non vengono educati alla gestione della frustrazione e ad eventuali insuccessi della vita. Senso di colpa: i genitori possono sentirsi in colpa se non riescono a proteggere i figli da situazioni o esperienze difficili, aumentando così la loro ansia e il loro bisogno di controllare.
Impatto sulla crescita: i bambini cresciuti in un ambiente così protettivo possono sviluppare ansia, bassa autostima e difficoltà di adattamento sociale poiché non hanno avuto l’opportunità di affrontare sfide e risolvere problemi da soli. Relazioni interpersonali: questi ragazzi possono avere difficoltà a instaurare relazioni sane e a stabilire confini, poiché spesso sono abituati a una dinamica familiare in cui ogni loro bisogno è stato soddisfatto senza sforzo.
Insomma, alla fin fine, grandi responsabilità ricadono sulle spalle dei genitori.
È importante che i genitori trovino un equilibrio tra la protezione e l’autonomia, consentendo ai figli di fare esperienze, affrontare sfide e sviluppare le proprie capacità. Questo può aiutarli a diventare adulti autonomi e sicuri di sé. Con l’emergere della famiglia affettiva, nella società contemporanea, gli affetti e i sentimenti hanno preso il sopravvento, trasformando i ruoli parentali in relazioni più paritetiche, basate sul dialogo e sulla confidenza con il padre e la madre. I ruoli genitoriali sono interscambiabili.
Anche i padri hanno la necessità di strutturare la relazione sul piano affettivo, non riconoscendosi più in un ruolo normativo. In proposito, interessante è quanto scrive Maggiolini in È proibito proibire: «I genitori indulgenti sono benevoli e poco esigenti in tema di disciplina in quanto ritengono sbagliato interferire con la libertà del figlio e porre dei limiti alla sua volontà. Ciò facendo non sono una guida e non insegnano il valore del limite.»
La famiglia affettiva non è più alleata della scuola, che non “comprende” le capacità e/o le difficoltà dei figli, non è allineata al progetto educativo familiare. La famiglia considera il proprio figlio come il migliore, ma ciò non trova riscontro né in classe, né con i pari. Tornando al contrasto alle dipendenze: abbiamo registrato risultati positivi, soprattutto in termini di riduzione dei consumi in alcune fasce d’età e di aumento delle richieste di aiuto.
Tuttavia, la lotta alle droghe è una sfida continua e complessa, che richiede un adattamento costante delle strategie. Credo che sia stato fatto un buon lavoro, nel diffondere una maggiore consapevolezza sui rischi delle droghe. Le dipendenze rimangono un problema serio e le nuove generazioni affrontano sfide diverse, legate anche alla diffusione di nuove sostanze e alla facilità di accesso tramite internet.
Ci sono differenze tra gli stupefacenti di trent’anni fa e quelli che si trovano ora?
Certamente ci sono differenze significative. Le sostanze di oggi sono spesso più potenti e pure, e ci sono nuove sostanze sintetiche. Inoltre, il modo di consumare e le culture che ruotano attorno all’uso di sostanze sono cambiate.
La diffusione di nuove sostanze psicoattive (NPS) rappresenta una sfida ulteriore, data la rapida evoluzione del mercato e la difficoltà di identificarle e controllarle. Le NSP sono spesso utilizzate da giovani consumatori, che sono alla ricerca del divertimento, del piacere, di socializzazione e di ricerca d’identità. Questo ha prodotto una sorta di normalizzazione dei comportamenti, che prima erano stigmatizzati, creando un nuovo tipo di consumatore che sa come gestire il proprio uso di sostanze.
La scelta delle sostanze è correlata a ciò che fa stare bene. Scelgo in base a ciò che mi serve e quindi scelgo in base al mio bisogno. L’uso è contemplato come ricerca del piacere e degli stati di eccitamento, attinenti all’area della socialità, oppure come mezzo per ridurre l’ansia, l’angoscia, l’incertezza, e per meglio rispondere alle richieste dell’ambiente di vita.
Per informazioni, usate categorie per classificare le varie droghe?
Le sostanze stupefacenti possono essere classificate in base ai loro effetti, che sono generalmente divisi in diverse categorie ben delineate dalla DrugWeel e così suddivise: stimolanti, empatogeni, psichedelici, dissociativi, cannabinoidi, sedativi e oppioidi. Ogni categoria ha le proprie caratteristiche.
Potrebbe darcene una rapida panoramica?
Certo. Stimolanti “Eccitanti/uppers”, aumento di energia, aumento della frequenza cardiaca, euforia, pupille dilatate, paranoia, ansia, eccitazione sessuale, impotenza sessuale, comedowns. Empatogeni “Amato/loved up”, connessione, calore, empatia, comprensione, sudorazione, eccitazione, sbalzi d’umore, depressione. Psichedelici “Viaggi/trips”, connessione spirituale, sensi intensificati, allucinazioni visive o uditive, ansia, panico, problemi di salute mentale.
Dissociativi “Fuori dal corpo/out of body”, euforico, fluttuante, disconnesso, rilassato, intorpidito, spaventato, incapace di muoversi. Cannabinoidi “Fatto/sconvolto”, calma, fame chimica, fluttuante, ridanciano, sensuale, rilassato, paranoico, pigro, ansia, bocca asciutta, problemi di salute mentale. Sedativi “Animato/vivace”, sicuro di sé, euforico, rilassato, comportamento a rischio, astinenza, perdita di sensi, coma, vomito, morte.
Oppioidi “Invincibile”: sicuro di sé, indolore, sicuri/a proprio agio, euforici, pupille ristrette, dipendenza, allucinazioni, astinenza, overdose. In quest’ultima categoria è da inserire il Fentanyl, farmaco antidolorifico, molto più potente della morfina, di circa ottanta volte, svolge una funzione analgesica a rapida insorgenza e ha una breve durata d’azione.
Il problema del consumo, a prescindere dallo spaccio, non si è risolto. Trova però delle differenze tra la situazione attuale e quella in cui lei ha iniziato ad operare?
Quando ho iniziato a operare nella lotta alle droghe, negli anni Ottanta, il contesto era caratterizzato da un certo grado di stigmatizzazione nei confronti delle persone con problemi di dipendenza. La società tendeva a vedere la tossicodipendenza principalmente come un problema di ordine pubblico, e le politiche erano per lo più punitive. Questo approccio ha portato a una criminalizzazione dei consumatori, piuttosto che a un sostegno per chi cercava aiuto.
Nel corso degli anni, ho notato diverse differenze significative nella situazione attuale. C’è maggiore consapevolezza e comprensione riguardo alla tossicodipendenza come una questione di salute pubblica piuttosto che solo un problema criminale. Sono aumentate le iniziative di sensibilizzazione e informazione che promuovono la comprensione delle dipendenze come malattie complesse che richiedono un intervento integrato, talvolta emerge una rassegnazione verso la patologia.
Ma anche una evoluzione delle sostanze. Questo richiede un aggiornamento costante delle strategie di intervento e prevenzione.In cambio,alle informazioni e alle risorse di aiuto è notevolmente migliorato. Oggi ci sono più servizi disponibili – come hotline, centri di trattamento, e programmi di riduzione del danno, che offrono supporto a chi ne ha bisogno.E c’è una maggiore integrazione tra i servizi di salute mentale e quelli di trattamento delle dipendenze; questo è fondamentale, poiché molte persone con problemi di dipendenza lottano anche con problemi di salute mentale concomitanti.
Quindi si parla solo di fattori, per così dire, istituzionali?
Anche la cultura giovanile è cambiata. Oggi, i social media e la tecnologia hanno un impatto significativo su come i giovani percepiscono e si relazionano con le sostanze. Ci sono nuove forme di comunicazione e di socializzazione che influenzano anche le scelte riguardo al consumo di droghe.
Attualmente affrontiamo anche nuove preoccupazioni, come il consumo di sostanze digitali e il benessere psicosociale in un mondo sempre più interconnesso, che può portare a nuove forme di dipendenza. Intendo segnalare che in questo momento la carenza di personale sanitario nei servizi, può pregiudicare l’efficacia dei diversi interventi nella cura e nella prevenzione e disperdere le competenze e le esperienza acquisite nel campo delle dipendenze.
In sintesi, mentre il problema del consumo di droghe non è stato risolto e presenta ancora molte sfide, ci sono stati progressi significativi nella comprensione e nell’approccio al fenomeno. Questa evoluzione richiede un continuo adattamento delle politiche e delle strategie di intervento per affrontare le nuove realtà che emergono.
Facciamo un esperimento mentale. Se potesse ricominciare da capo il suo impegno, anche col senno di poi cambierebbe qualcosa?
Se avessi l’opportunità di ricominciare, potrei concentrarmi ancora di più sulla prevenzione e sull’educazione, cercando di coinvolgere i giovani in modo più diretto e innovativo, utilizzando strumenti digitali e sociali e con la Metodologia della Peer Education, utilizzata in ambito scolastico, validata dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze di Lisbona.
Si tratta d’una metodologia didattica che si basa su un processo di trasmissione di conoscenze ed esperienze tra i membri di un gruppo di pari, all’interno di un piano che prevede finalità, tempi, modi, ruoli e strumenti ben strutturati, costituisce una sorta di laboratorio sociale sul rinforzo di life skills, in cui sviluppare consapevolezze, testare nuove attività, progettare e condividere insieme, dando la possibilità agli studenti di migliorare la propria autostima e le capacità sociali, relazionali e comunicative.
Secondo lei, che motivi sottostanno al desiderio di provare le droghe? È possibile – come nel caso dell’acido lisergico negli anni Sessanta-Settanta – che ci sia anche una specie di liaison artistica?
Le motivazioni sono complesse e variano da persona a persona. Spesso entrano in gioco fattori sociali, psicologici e individuali, come la ricerca di evasione, il bisogno di appartenenza, la curiosità, la pressione dei pari. La liaison artistica, come la definisce lei, con l’uso di sostanze stupefacenti, è stata una condizione presente in alcuni casi negli anni Settanta, ma è fondamentale educare sui rischi. La vulnerabilità dei giovani è un tema complesso e multidimensionale che riguarda diversi aspetti della vita dei ragazzi e delle ragazze. Questa vulnerabilità può manifestarsi in vari ambiti, tra cui psicologico, sociale, economico e sanitario.
Può spiegarci meglio?
Ecco alcuni dei fattori chiave che contribuiscono alla vulnerabilità giovanile. Pressione sociale e culturale: i giovani spesso si trovano a dover affrontare pressioni significative legate alle aspettative sociali, alla conformità ai gruppi di pari e ai modelli proposti dai media. Questo può portare a problematiche come l’ansia, la depressione e l’insicurezza. Problemi economici e occupazionali: la difficoltà di entrare nel mercato del lavoro e la precarietà economica possono aumentare il senso di vulnerabilità tra i giovani, rendendo difficile la costruzione di una vita autonoma e stabile. Accesso all’istruzione: le disuguaglianze nell’accesso all’istruzione possono esacerbare la vulnerabilità. I giovani provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati possono avere meno opportunità di formazione e sviluppo personale.
Salute mentale e benessere: le problematiche di salute mentale sono in aumento tra i giovani, alimentate da fattori come il cyberbullismo, l’isolamento e ritiro sociale e la mancanza di supporto adeguato. Relazioni familiari e supporto sociale: le dinamiche familiari possono influenzare significativamente il benessere dei giovani. Una rete di supporto sociale debole o disfunzionale può rendere i giovani più vulnerabili a stress e difficoltà.
Discriminazione e problemi di identità: giovani che appartengono a minoranze etniche o LGBTQIA+ possono affrontare discriminazione e stigma, che influenzano ulteriormente la loro autostima e il loro benessere. L’uso diffuso della tecnologia può avere effetti sia positivi che negativi. Sebbene offra opportunità di connessione e apprendimento, può anche esporre i giovani a contenuti inappropriati e a rischi come il cyberbullismo.
In conclusione, affrontare la vulnerabilità dei giovani richiede l’impegno di tutta la società, inclusi educatori, famiglie, istituzioni e organizzazioni comunitarie. È fondamentale promuovere un ambiente che favorisca il benessere, l’inclusione e lo sviluppo delle competenze dei giovani, permettendo loro di affrontare le sfide in modo resiliente e positivo.
In diversi Paesi si è fatta, in Italia ancora no (se non per scopo terapeutico): come vede la legalizzazione della cannabis?
Personalmente, la legalizzazione della cannabis per uso ricreativo e terapeutico potrebbe avere vantaggi, come la riduzione del mercato nero e un maggiore controllo sulla qualità. Tuttavia, è importante che venga accompagnata da campagne di sensibilizzazione e programmi di prevenzione.
Non è raro vedere spot, pubblicità progresso e interventi istituzionali per sensibilizzare al problema delle dipendenze. Secondo lei, riescono a funzionare davvero?
Gli spot e le campagne di sensibilizzazione possono essere utili, ma la loro efficacia dipende dalla qualità del messaggio e dal modo in cui viene comunicato. È fondamentale che queste iniziative siano parte di un approccio più ampio e integrato, che coinvolga anche le comunità e le famiglie.
Per concludere, il consumo di droghe tra i giovani è un fenomeno complesso che richiede una comprensione profonda delle dinamiche sociali, culturali e psicologiche. È essenziale sviluppare approcci multidimensionali che considerino le necessità e le esperienze degli adolescenti, promuovendo al contempo una cultura di prevenzione e supporto comunitario.
Solo pochi giorni fa, nell’ultima puntata di PresaDiretta, abbiamo visto la «dimensione globale» d’una droga da lei già citata – il Fentanyl, la «droga degli zombie». Non le sembra che la superdiffusione in Occidente di questa sostanza sia legata anche al decadimento dei sistemi sanitari e che definirla appunto droga degli zombie non faccia altro che peggiorare lo stigma e l’esclusione delle vittime?
Per fortuna in Italia non sta causando i morti al livello della deflagrazione in America. Certo, bisognerebbe stare molto attenti: nel corso degli anni, come operatori, siamo riusciti a evitare tante vittime, ma non possiamo cullarci. La mancanza di personale e altre criticità dei sistemi sanitari attuali sono un ulteriore scoglio ad efficaci strategie di prevenzione.
Dietro alla pericolosissima diffusione di questa droga c’è sempre un fattore: la disperazione, l’assenza di speranza. Questo è un punto importante che non possiamo dimenticare. E, dinanzi ad una tale complessità, è stata coniata questa espressione – droga degli zombie. Ma è appunto una definizione della stampa, in una società che si è trovata con un’ondata di decessi e non riesce a contenerla.
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Cresce la rete interistituzionale nell’interesse delle giovani generazioni
L’attenzione costante alle nuove generazioni per aiutarle a costruire un futuro più sostenibile e consapevole ha rappresentato il filo conduttore dell’incontro di oggi presso il Salone degli Specchi della Prefettura, nell’ambito del quale sono state rinnovate le intese alla base del “Protocollo d’intesa per la prevenzione e lo studio delle malattie respiratorie da droga e del disagio giovanile”.
Il documento pattizio, operativo sin dal 2021, ha consentito in questi anni di raggiungere importanti risultati per prevenire l’utilizzo di droghe da parte dei giovani studenti, attraverso la realizzazione di piani, programmi educativi e iniziative ad hoc, comprensivi di campagne di informazione e comunicazione mirate ad acquisire la piena consapevolezza dei danni alla salute, alla capacità di apprendimento e, più in generale, all’armonico sviluppo psico-fisico e sociale derivanti dall’uso prolungato e continuativo di sostanze stupefacenti e/o alcoliche.
I positivi riscontri raggiunti hanno portato tutti gli Enti firmatari a condividere sull’opportunità di rinnovare detta intesa, ampliandola con contenuti innovativi tesi a promuovere, alimentare e avviare campagne ed iniziative di sensibilizzazione, prevenzione e contrasto al cyberbullismo nonché ai fenomeni illegali della rete, così da favorire lo sviluppo di strategie coordinate per la promozione di una cultura dell’uso legale di internet per i ragazzi, per il potenziamento degli interventi preventivi e trattamentali, per la riduzione del rischio e della recidiva dei comportamenti penalmente rilevanti e per la prevenzione e trattamento di tutte le forme di prevaricazione connesse ad un uso distorto del web e della rete.
Un particolare focus riguarda i compiti degli istituti scolastici, quali sentinelle attive di legalità, chiamate a intercettare ogni possibile segnale di disagio e fragilità, oltre a comportamenti di devianza, così da favorire il tempestivo intervento degli organi e delle autorità competenti, così da anticipare la soglia di tutela dei ragazzi e da favorire percorsi educativi sempre più aderenti alle esigenze delle giovani generazioni.
Saranno poi avviate attività di studio con la regia dell’Università del Salento al fine di approfondire le cause e gli effetti delle malattie respiratorie da droga e per migliorare i percorsi di trattamento delle tossicodipendenze.
Fondamentale sarà, in tale quadro, l’azione di impulso delle parrocchie e delle Caritas diocesane di Lecce a supporto dei giovani e delle famiglie, che daranno un importante esempio di alta sensibilità nel segno del bene comune, come sottolineato dall’Arcivescovo di Lecce, Mons. Seccia.
Il Protocollo, promosso da Prefettura, Provincia di Lecce e Associazione A-MaRe-D, ha visto l’autorevole adesione dell’Arcidiocesi di Lecce, dell’Università del Salento, dell’Ufficio Scolastico Territoriale, degli Ordini professionali di Medici, Psicologi, Avvocati e Consiglio Notarile, nonché dell’Associazione Comunità Emmanuel ed è aperto all’adesione di ogni Ente ed Istituzione che vi abbia interesse.
Il Prefetto di Lecce ha evidenziato come l’uso di sostanze alcoliche e stupefacenti da parte dei minori sia una vera e propria piaga sociale di questo territorio, così come l’uso distorto della rete e dei social network, esprimendo così particolare apprezzamento per il lavoro finora svolto, anche con il fondamentale contributo dei volontari dell’Associazione A-MaRe-D, ed auspicando che, attraverso il rafforzamento della rete interistituzionale, sia possibile sensibilizzare i ragazzi di tutti gli istituti scolastici della provincia ai fini di una corretta percezione del rischio e del disvalore di comportamenti devianti.
IL CAPO DI GABINETTO
M. Sergi
Lecce, 20 marzo 2025
Agli organi di stampa