SE TRUMP BALLA L’INNO DEI GAY
di Giuseppe Puppo ________ Dopo che di recente Matteo Salvini aveva cantato pubblicamente ‘Generale‘ di Francesco De Gregori con Roberto Vannacci, pensavamo di aver toccato l’apice dei paradossi suscitati negli ultimi decenni dal sempre complicato rapporto e problematico fra musica e politica.
Certo, la musica non deve avere colori ideologici e certo le canzoni sono di tutti quanti. La realtà però è diversa e ha dato adito, in questo ultimo mezzo secolo, a discussioni infinite.
Pensavamo di aver toccato l’apice…
Ma il meglio, o il peggio, fate voi, doveva ancora venire.
Viene oggi.
Dopo aver ballato nei mesi scorsi per tutta la campagna elettorale sulle note di “Y.M.C.A.” sparata dagli altoparlanti prima e dopo ogni suo comizio, oggi Donald Trump ha invitato alla cerimonia dell’insediamento alla Casa Bianca i Village People.
Essi, pur dibattuti al loro interno e dopo aver criticato l’uso strumentale fattone dal futuro presidente, hanno accettato di buon grado e si dicono felici di esserci. E ti credo: una botta di popolarità stratosferica.
Con l’occasione, hanno negato che la loro canzone sia un inno gay, hanno negato tutto, anche l’evidenza.
L’evidenza dice il contrario.
“Y.M.C.A.” nacque nel 1978 per i giovani dell’organizzazione giovanile cristiana statunitense, YMCA appunto e celebra le inveterate preferenze sessuali omosessuali dei giovani che si davano appuntamento negli ostelli e nelle palestre dell’organizzazione come luoghi di approccio e di incontro.
Il testo del resto è pieno di riferimenti neppure tanto velati.
A suo tempo la comunità LGBT+ la elesse a canzone regina, definendola “inno gay”.
Ora è diventato l’inno musicale di Donald Trump, cioè del campione del politicamente scorretto e dell’avversario conclamato della così detta cultura woke, l’ideologia estremista che si oppone alle ingiustizie sociali o razziali nei confronti delle minoranze etniche e di genere.
A Washington, alla cerimonia, oggi ci sarà fra gli altri pure Giorgia Meloni.
Ballerà pure lei?
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