IL NATALE DEGLI ULTIMI A LECCE
di Giuseppe Puppo ________
Superate le macerie transennate con cui, a ridosso di piazza Sant’Oronzo, hanno ridotto il salotto buono della città, quelli che abitano nei salotti – bene, la chiesa di Santa Maria della Grazia appare un’oasi di tranquillità, appena saliti i pochi gradini che affacciano su via Ernesto Alvino.
Dentro c’è un coro che fa le prove di concerto, diffondendo benessere e armonia.
Ma è chiaro che ho sbagliato: la location, come dicono quelli che parlano bene l’italiano, della riunione che sto cercando, non è qui.
Infatti, ai locali della Comunità di Sant’Egidio si accede di lato, da via Vito Fazzi, salite due rampe di ripide scale, gelate dal primo freddo di stagione.
Trovo qui vera musica per le mie orecchie.
Sono una quarantina di persone, di tutte le età, i volontari che ieri sera si sono riuniti per iniziare a preparare in maniera concreta, a titolo organizzativo, l’evento, momento clou dell’Avvento: il pranzo di Natale con i poveri.
Con, non per, i poveri. Una grande famiglia, di chi non ha famiglia e che in questa cinica, ininterrotta partita a poker che si ostinano a chiamare vita, non ha in mano carte buone da giocare.
Gli ultimi.
I senza tetto, i senza fissa dimora, gli emarginati, gli esclusi.
Ci sarà una famiglia, ci sarà un sorriso, ci sarà una festa anche per loro, il giorno di Natale. Anche a Lecce. Come in tutto il mondo, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, ivi comprese le zone di guerra e per quelli che dalle zone di guerra arriveranno in posti più sicuri per l’occasione, dai così detti ‘corridoi umanitari’.
Lecce città del mondo, che ha smarrito identità appartenenza solidarietà, periferia di una metropoli globalizzata, problematica, anonima, ipocrita, indifferente, emarginata ed emarginante.
Di quelli che ordinano le piantine su Amazon, per illudersi di non essere soli.
E’ la solitudine, la vera povertà.
Ce ne sono una trentina di meno, qui, dico qui a Lecce, levati dalla strada e gratificati di un’opportunità con cui poter continuare a credere e sperare ancora, in un mondo che non ci vuole più, sopraffatto dalle speculazioni, dall’affarismo, dall’egoismo e dalla violenza. L’impegno della Sant’Egidio infatti si sviluppa per tutto l’anno, non si esaurisce in quest’iniziativa del pranzo di Natale con, non per, i poveri.
Beh, però è il momento clou. Una festa di famiglia.
Sono attesi circa duecento ospiti, che alla mezza del 25 dicembre andranno a festeggiare nella Chiesa di San Francesco di Paola in piazzetta dei Peruzzi, quel giorno riconvertita a laboratorio di accoglienza, inclusione, solidarietà e amicizia.
C’è tanto da fare.
La pasta al forno bisogna imbottirla, le polpette bisogna impastarle, e c’è da apparecchiare, da servire ai tavoli, da rigovernare. E da stringere mani fino a quel momento sconosciute, regalando un sorriso, prima ancora che un dono.
Chi voglia aiutare, insomma, è il benvenuto. Come chi voglia contribuire in altro modo, per esempio portando un regalo che sarà consegnato agli ospiti.
Un gesto concreto di pace.
E’ la guerra il nemico principale degli esseri umani.
Bisogna costruire la cultura della pace, che metta al bando odi e armi. Non dobbiamo mai smettere di crederci, e di levare incessante anche solo una parola di speranza.
E’ anche questo, direi forse soprattutto questo, il senso di questa iniziativa.
E rimuginando tutto quello che ho sentito, mi rituffo in un gomitolo di strade. Non fa più freddo. Tornando a casa, non sento altro che il caldo buono, e sto con le quattro capriole di fumo del focolare che si è acceso nel mio cuore.
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